Sempre più forte la tentazione di ignorare le elezioni: l’Europa va a destra, ma Ursula si ostina con socialisti e verdi. Ecr pronto a dire «no» al Parlamento Ue. E il flirt del presidente con i responsabili dei disastri green spacca anche il Ppe. Giovedì prossimo possibili sorprese.
Più crescono i movimenti che contestano i vertici europei, accusandoli di essere distaccati dai problemi reali della gente, e più i partiti che guidano la Ue si rinchiudono nel castello, ignorando le istanze che arrivano dal basso. Come per le elezioni in Francia, il Sistema si difende ricorrendo agli espedienti, pur di poter continuare come prima, più di prima.
Abbiamo già commentato quello che è successo a Parigi, con l’alleanza di partiti che nulla hanno in comune al fine di escludere il Rassemblement national. La desistenza ha ottenuto il suo scopo, strappare a Marine Le Pen e a Jordan Bardella la vittoria e impedire alla destra di governare il Paese nonostante Rn abbia ottenuto il voto del 37% dei francesi. Ora la storia si ripete a Bruxelles, con qualche leggera variante, ma nella sostanza i Popolari e i Socialisti, vale a dire le due grandi famiglie politiche che da anni guidano l’Unione, fanno a gara nell’ignorare che in tutta Europa stanno nascendo gruppi che si schierano contro la politica delle porte aperte ai migranti e la strategia della transizione green. Il rinnovo del Parlamento europeo ha visto bastonata l’intera sinistra, da quella con venature social-comuniste a quella ambientalista. Nell’urna gli elettori hanno deciso di contestare le imposizioni dall’alto, con lo stop alla produzione del motore endotermico, che equivale alla fine dell’industria automobilistica europea, e il divieto di installare caldaie a gas, per favorire sistemi che rischiano di essere più costosi e meno efficienti. Il voto ha anche segnato una sconfessione dell’accoglienza indiscriminata di centinaia di migliaia di stranieri. Tuttavia, nonostante il successo del centrodestra in Italia e l’avanzata del Rassemblement national in Francia (ma un po’ in tutti i 27 Paesi europei si registra un aumento dei consensi per i partiti che si oppongono alle derive comunitarie), Popolari e Socialisti non sembrano intenzionati a cambiare direzione. Anzi, paradossalmente si preparano a virare ancor più a sinistra, nel tentativo di conservare il potere.
Infatti, tutto si riduce a una difesa della situazione attuale, con Ursula von der Leyen a caccia di una riconferma a qualsiasi costo, anche a quello di dover pagare dazio ai Verdi, ovvero proprio a quel movimento che ha voluto la transizione verde e che l’8 e il 9 giugno è stato punito dagli elettori. Quando aveva compreso la bufera che stava per abbattersi sulla cosiddetta maggioranza Ursula, la presidente Ue aveva cercato di rallentare la transizione green, scaricando anche Frans Timmermans, ovvero il socialista che negli ultimi anni ha incarnato la svolta ecologista dell’Unione. Ma evidentemente, quello della donna che da cinque anni guida l’Europa era un puro calcolo elettorale e non una convinta marcia indietro. Dunque, eccola pronta ad allearsi con gli ambientalisti pur di non perdere la poltrona.
La Von der Leyen apparentemente avrebbe i numeri per essere riconfermata anche senza i Verdi, ma la maggioranza è sulla carta, mentre in aula, a causa di un regolamento di conti fra Popolari e Socialisti, potrebbe non esserci. Dunque, ecco la necessità di imbarcare qualcun altro in grado di puntellare la nomina, insieme a quella dei commissari. Per riuscire a conservare l’incarico, l’ex ministra della Difesa voluta da Angela Merkel alla guida della commissione, si preparerebbe quindi a un’altra piroetta. Prima a favore delle misure green, poi tiepida e infine di nuovo sostenitrice delle scelte suicide degli ambientalisti duri e puri. Vedremo se l’inciucio messo a punto da tedeschi e francesi con l’aiuto dei polacchi e dei soliti olandesi reggerà alla prova del voto in Parlamento. Resta comunque che, a prescindere da come andranno le cose, Bruxelles pare non aver capito la lezione, perché mentre l’Europa vira a destra, i vertici dell’Unione se ne vanno a sinistra, nella speranza, forse, che con il tempo le cose cambino.
In realtà, è più facile che cambino i burocrati e i politici della Ue. Perché è vero che oggi hanno ancora i numeri per poter governare e ignorare le istanze che salgono dal basso, ma domani? Cioè, alla prossima consultazione elettorale sarà ancora così, oppure nel frattempo, sull’onda della spinta dell’elettorato altri Paesi svolteranno a destra? È molto probabile che l’establishment del Vecchio continente proceda indisturbato come se niente fosse accaduto e nulla potesse capitare. Ma fino a quando? Siamo sicuri che al prossimo giro la reazione non sia più forte di quella registrata nei mesi scorsi? Noi, no.