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Dopo l’arresto del candidato ultranazionalista, Matteo Salvini denuncia un attacco alla libertà. L’opposizione lo accusa di solidarizzare con i filorussi. Intanto, la magistratura impone il controllo giudiziario per 60 giorni.
La percezioneche si ha sull’intera faccenda che riguarda il voto e i leader romeni è quella di una democrazia in bilico, un po’ traballante, come uno sgabello con una delle quattro gambe più corta rispetto alle altre e perciò instabile. Dopo l’arresto di mercoledì scorso a Bucarest del candidato presidenziale filorusso Călin Georgescu, ieri il segretario del Carroccio, nonché vicepremier, Matteo Salvini, ha espresso piena solidarietà a Georgescu, definendo il suo caso un «attacco senza precedenti alla democrazia». Durante un videocollegamento, Salvini ha ribadito che quanto sta accadendo in Romania sarebbe un pericoloso segnale per la libertà di pensiero e la volontà popolare. «Uno schiaffo di stampo sovietico», ha dichiarato, sottolineando la necessità di un’attenzione internazionale sulla vicenda. In un post su X il leader dacico ha rinnovato la sua gratitudine a Salvini, definendolo «un grande difensore della libertà e della democrazia in Italia e attraverso l’Europa» e auspicando «l’inizio di una lunga amicizia».
Ovviamente non sono mancate le critiche delle anime belle: «Invece di lavorare, il nostro vicepremier si balocca a solidarizzare con i putinisti d’Europa. I passeggeri dei treni che non arrivano mai ringraziano». Lo scrive sui social Filippo Sensi del Pd.
Due giorni fa, Georgescu era stato fermato dalla polizia con il pretesto di un controllo stradale e portato in Procura per essere interrogato a proposito di presunte false fonti di finanziamento e presunte false informazioni fornite durante la sua ultima campagna elettorale. L’indagine, rapidamente estesa anche al suo entourage, ha condotto a perquisizioni in vari locali collegati al suo staff. Secondo i media, sarebbero stati trovati armi e denaro in quantità significative, nascosti in casa di Horatiu Potra, membro della sua sicurezza personale e pare ex mercenario vicino alla brigata Wagner.
I capi d’accusa sollevati nei suoi confronti sarebbero non meno di sei; tra questi figurano: l’istigazione ad azioni contro l’ordine costituzionale, comunicazione di false informazioni, false dichiarazioni finanziarie in forma continuativa, promozione in pubblico del culto di persone colpevoli di crimini di genocidio e crimini di guerra, costituzione o sostegno a un’organizzazione di carattere fascista, razzista, xenofoba o antisemita.
L’ex candidato, che durante il primo turno delle presidenziali di novembre, poi annullate, aveva ottenuto il maggior numero di voti, nega ogni accusa e definisce le indagini un tentativo di bloccare la sua partecipazione alle nuove elezioni previste per maggio.
Come riferiscono diverse testate d’informazione, tra cui la pagina romena di Euronews, la magistratura avrebbe posto Georgescu sotto controllo giudiziario per 60 giorni, durante i quali non potrà lasciare il Paese, aprire nuovi account sui social media o partecipare direttamente alla vita politica. Questa misura, secondo fonti giudiziarie, sarebbe stata adottata per prevenire interferenze nelle indagini, che riguardano presunti reati di finanziamento illecito della campagna elettorale, incitamento all’odio e sostegno a organizzazioni estremiste.
Sul palco di Lady Drink il bancone del bar si tinge di rosa. Nominate le tre vincitrici dell’edizione 2025
Lady Drink, l’evento dedicato unicamente alle donne nel mondo del bartending, ha decretato anche quest’anno gli allori per tre giovani barladies: Luana Ferraresi, Stefania Nanni ed Elena Rossi, ognuna vincitrice nella propria categoria, rispettivamente pre dinner, after dinner e long drink. Abbiamo parlato con loro per scoprire il dietro le quinte delle loro creazioni, le emozioni della gara e la loro visione sul futuro dietro al bancone del bar.
Qual è l’idea dietro al vostro cocktail?
Luana: «Due parole: eleganza e semplicità».
Stefania: «Alle spalle c’è una rivisitazione dell’Espresso Martini. Ho sostituito la vodka con il rum e l’ho elaborato in chiave moderna, mettendoci una crema salata in cima e inserendo nella ricetta un liquore al tiramisù, che quest’anno va molto forte».
Elena: «Il mio drink, Lady Gold, è dedicato alla femminilità; l’oro racchiude in sé l’idea stessa della competizione. Quando creo un cocktail prima mi immagino il prodotto, lo elaboro, lo affino e solo all’ultimo gli do un nome, come fosse un romanzo con il suo titolo».
Che importanza hanno concorsi come questi nel panorama del bartending?
Luana: «A livello di visibilità sono fondamentali per chi fa questo lavoro. E le soddisfazioni arrivano. Inutile dire che si tratti di grandi traguardi».
Stefania: «Per me in realtà Lady Drink è diventato un fatto quasi personale e motivato dall’affetto che provo per chi da anni organizza l’evento. Mi sembra di stare in famiglia».
Elena: «Per un o una bartender creano indubbiamente una rete di relazioni proficua. Io stessa devo la mia stessa crescita professionale a concorsi come questo».
Qual è il vostro sogno professionale? Dove vi vedete fra cinque anni?
Luana: «Al momento insegno in una scuola professionale di ristorazione a Ferrara. Ma da sempre sogno un locale al mare. Chissà; non escludo niente».
Stefania: «Mi vedo in un locale marittimo, magari nella mia isola preferita: Lampedusa».
Elena: «Le mie idee cambiano di giorno in giorno. Sono una bartender freelance e ciò mi porta a variare con molta frequenza. Vorrei creare un gruppo di professionisti, che diffondano in giro la testimonianza di questo lavoro».
Luana, qual è il segreto per creare un aperitivo perfetto?
«Una chiacchierata con il cliente per capire il suo carattere e scoprire di cosa abbia voglia in quel momento».
Stefania, quali sono gli ingredienti per un ottimo after dinner?
«Direi la morbidezza e l’effetto vellutato al palato».
Elena, hai pensato a un abbinamento musicale o un mood particolare per il tuo cocktail?
«Suggestioni: musica house, un tramonto in spiaggia, l’odore della salsedine».
Un ingrediente che non può mancare nel vostro bar?
Luana: «Bitter. È la base dell’aperitivo italiano».
Stefania: «Vermouth ».
Elena: «Mescal».
Il cocktail che rappresenta la vostra personalità?
Luana: «Americano. Drink facile ma complesso».
Stefania: «Negroni, ma non escludo un drink base lime».
Elena: «Espresso Martini, lo bevo sempre e chi mi conosce sa che non posso farne a meno».
Il cliente ideale: sperimentatore o tradizionalista?
Luana: «Sperimentatore! Nel nostro lavoro divertirsi è fondamentale».
Stefania: «Gli amici, perché anche il sabato sera, è con loro che sperimento e condivido».
Elena: «Tradizionalista. Con la moda di creare cocktail sempre nuovi si perde il concetto del bere classico».
Se potessi creare un drink per una celebrità, chi sarebbe e cosa prepareresti?
Luana: «Tom Cruise e gli proporrei un drink dai gusti complessi e rischiosi: ad esempio una grappa invecchiata con della frutta tropicale».
Stefania: «Brad Pitt e un cocktail Martini, perché secondo me lo identifica: bello e pungente».
Elena: «il cantante americano Kendrick Lamar, a cui farei provare un Tommy’s Margarita».
L’Africa la regione più instabile, mentre in Sudamerica sovvertire il potere è una prassi. In Birmania il colpo di Stato avviene in diretta Facebook, mentre una content creator fa i balletti a Naypyidaw, la capitale.
Tecnicamente, si parla di colpo di Stato «intendendo un fatto contro la legge e al di fuori della legge, volto a modificare il vigente ordinamento dei pubblici poteri». In alcune regioni del mondo, come l’Africa e il Sudamerica, hanno avuto un impatto profondo, determinando la caduta di governi e l’instaurazione di regimi militari o autoritari. L’Africa è senza dubbio la regione con il più alto numero di colpi di Stato. Dal periodo delle indipendenze a oggi, molti paesi hanno vissuto frequenti rovesciamenti di governo, spesso per mano di militari o gruppi armati. Tra i Paesi africani più colpiti troviamo il Sudan, che ha subito un golpe nel 2019 con la deposizione di Omar al-Bashir, al potere dal 1989. Due anni dopo, nel 2021, un altro rovesciamento ha destabilizzato ulteriormente il Paese, portando a una nuova transizione politica, ancora oggi incerta. Al Sudan fanno seguito Mali, Guinea, Tunisia e Burkina Faso, che tra il 2021 e il 2022 hanno visto i rispettivi governi sovvertiti.
Analizzando il caso maliano si evince la complessità di quanto accennato sopra. Il Mali è stato teatro di diversi colpi di stato negli ultimi anni: un fatto che riflette una crisi politica e istituzionale profonda. Nell’agosto del 2020 un gruppo di ufficiali dell’esercito maliano ha destituito il presidente Ibrahim Boubacar Keïta. La crisi politica era già in corso da mesi, con proteste di massa, che denunciavano corruzione, cattiva gestione economica e insicurezza causata dalla presenza di gruppi jihadisti nel Paese. Il colpo di stato era stato orchestrato da militari di alto rango, tra cui il colonnello Assimi Goïta, che aveva poi assunto il ruolo di vicepresidente nel governo di transizione. La giunta giustificava l’azione con la necessità di «salvare il Paese dal caos», promettendo elezioni democratiche. Ma il periodo di transizione è stato tutt’altro che stabile. La promessa di una transizione pacifica è durata poco: nel maggio 2021, Assimi Goïta rimuoveva il presidente di transizione Bah Ndaw e il primo ministro Moctar Ouane, accusandoli di tentare di sabotare la giunta militare. Così facendo Goïta si era assicurato il potere, con conseguente nomina di presidente ad interim.
Un anno dopo, il governo maliano annunciava di aver sventato un tentativo di colpo di stato da parte di un gruppo di ufficiali. Secondo le autorità, i cospiratori erano «sostenuti da uno stato occidentale», senza specificare quale, e volevano «destabilizzare il regime di transizione». Un pretesto per rafforzare la repressione? A partire da quel momento sono scattati arresti tra gli ufficiali sospettati e ulteriori restrizioni alla libertà di stampa e politica. Sul piano internazionale il Mali ha raffreddato i rapporti con la Francia, rafforzando invece la cooperazione con la Russia, anche attraverso il gruppo paramilitare Wagner.
A chiudere la serie dei golpe africani c’è il Gabon, dove nel 2023, dopo le elezioni generali e la dichiarazione della vittoria del presidente Ali Bongo, con un colpo di mano i soldati della guardia presidenziale hanno annunciato l’annullamento delle elezioni e la «dissoluzione del regime».
Particolare invece il caso della Tunisia, che si pone sul limite di quella zona grigia in cui non si sa se parlare di un vero e proprio golpe. Nel 2021, il presidente Kaïs Saïed si era attribuito unilateralmente pieni poteri costituzionali, revocando i membri del governo e congelando le attività del parlamento, sciogliendo quindi di fatto l’organo. Il destro per mettere in pratica il suo disegno di accentramento del potere glielo aveva fornito l’instabilità in cui in quel momento il Paese versava a causa della pandemia di Covid.
Attraversando l’Atlantico meridionale ci spostiamo in Sudamerica, una terra che ha alle spalle una lunga storia di colpi di Stato, molti dei quali durante la guerra fredda, quando gli equilibri tra Stati Uniti e Unione Sovietica influenzavano pesantemente la politica locale. L’ultimo golpe significativo in America Latina è stato quello che in Bolivia ha portato alla caduta di Evo Morales nel 2019. Dopo una controversa elezione, il presidente era stato costretto a lasciare il Paese a seguito di pressioni militari e proteste di piazza, non senza agitazioni, tra chi vedeva la deposizione di Morales come un atto necessario per ristabilire la democrazia e chi, invece, lo considerava un attacco alla volontà popolare.
Nel XX secolo, Paesi come il Cile, con il golpe di Augusto Pinochet nel 1973, l’Argentina, con la dittatura del 1976-1983 e il Brasile (1964) hanno vissuto drammatici rovesciamenti di governo che hanno lasciato cicatrici profonde nelle società.
E se dalle Ande prendiamo un volo e ci spostiamo in quel del Mediterraneo, scopriamo che i colpi di Stato non sono soltanto episodi esotici che accadono nel Terzo e nel Quarto mondo. Il 15 luglio 2016 una fazione delle forze armate turche, in particolare ufficiali appartenenti all’esercito, all’aeronautica e alla gendarmeria, avevano tentato di sovvertire il governo di Recep Tayyip Erdoğan. I golpisti si erano identificati come il Consiglio per la pace nella Nazione (Yurtta Sulh Konseyi), dichiarando che il loro obiettivo era «ristabilire la democrazia e i diritti umani in Turchia». Avevano preso il controllo di alcune infrastrutture chiave, tra cui ponti a Istanbul e la sede della TV di Stato, e avevano dichiarato la legge marziale. Tuttavia, il tentativo fallì rapidamente grazie alla resistenza del governo, della polizia e di migliaia di cittadini che erano scesi in piazza su invito di Erdoğan.
Il governo turco attribuì il golpe alla rete di Fethullah Gülen, un predicatore islamico in esilio negli Stati Uniti, accusandolo di aver infiltrato istituzioni statali, incluse le forze armate, attraverso la sua organizzazione. In reazione a questo tentativo di Putsch, Erdoğan aveva avviato una vasta repressione, arrestando migliaia di militari, funzionari pubblici e giornalisti accusati di complicità.
Infine, non possiamo non concludere raccontando del golpe birmano del 2021, forse il più assurdo della storia recente. Khing Hnin Wai, insegnante di educazione fisica e di aerobica e content creator birmana, stava girando uno dei suoi video sul viale principale della capitale Naypyidaw, quando alle sue spalle erano spuntati i carri armati e i mezzi corazzati dell’esercito birmano che andavano a deporre l’ex leader Aung San Suu Kyi. La donna aveva affermato di non essersi accorta di nulla, impegnata com’era nei suoi balletti.