- Secondo caso in un mese: uno straniero ha afferrato la piccola, salvata dalla madre di un’amica. E la sorveglianza non funziona.
- Pagano 36 euro un viaggio da Budapest in laguna. Dove in 7 giorni ne guadagnano 1.000.
Lo speciale contiene due articoli.
Ennesimo episodio di violenza a Milano. Teatro di un tentato sequestro nei confronti di una bambina è il parco Guido Vergani, meglio noto ai milanesi come i giardini di Pagano. Da anni luogo sempre più abbandonato all’incuria e per nulla sicuro, non solo nelle ore notturne quando è nelle mani di bande di adolescenti e vandali, ma anche in pieno giorno. È il pomeriggio del 22 giugno scorso. Nell’area verde milanese, dove al suo interno sono presenti un nido e una scuola d’infanzia, un uomo di origine straniera ha provato a rapire una bambina di quattro anni.
La piccola appena uscita dall’istituto, in compagnia di altri bambini e due adulti, tra cui la sua baby sitter, corre verso l’area giochi di via Pier Capponi. Una struttura recintata con altalene e altri giochi dove i più piccoli provano a godersi le ore di svago. Camilla (nome di fantasia) gioca sui piccoli alberelli adiacenti la staccionata. Proprio in quel frangente un uomo l’afferra alle sue spalle, un gesto fulmineo. Per fortuna senza gravi conseguenze perché in quel drammatico momento sulla piccola e compagni vigilano gli occhi della babysitter e di una delle madri presenti. La donna corre subito in soccorso della bambina strappandola dalle mani dell’uomo, nel frattempo lo straniero dai tratti apparentemente indopakistani si dilegua in un attimo. L’intera vicenda dura una manciata di secondi, il discrimine tra la tragedia consumata e il lieto fine.
Sull’episodio stanno indagando i carabinieri della stazione Magenta che hanno raccolto la denuncia dei genitori di Camilla. Al momento sono due i principali fattori che supportano l’attività investigativa. In primo luogo le testimonianze: infatti nei giorni scorsi sono stati ascoltati la baby sitter, l’adulta che ha salvato la piccola, i genitori di Camilla e la dirigente del suo istituto scolastico. L’altro fattore che potrebbe fare la differenza nell’individuazione del responsabile sono le telecamere. Nell’area del giardino di Pagano ce ne sono decine, sia private che pubbliche.
Una di queste ultime, in particolare, che è esattamente sovrastante il luogo dell’episodio e dovrebbe essere funzionale alla ripresa sia dell’area giochi sia all’ingresso dell’asilo frequentato da Camilla, è posizionata proprio dove è avvenuto il fatto. Peccato che «sia fuori uso da almeno otto anni» ma nessuno sa il reale motivo. Una mancanza di sicurezza che fa tremare le vene ai polsi. Il padre ha deciso di raccontare questa storia alla Verità «per evitare che in futuro possa accadere ad un altro bambino, e magari che non sia fortunato come lo è stata mia figlia».
Come detto le condizioni del parco di Pagano peggiorano anno dopo anno. Chi lo frequenta ogni giorno lo descrive sempre più sporco, mal frequentato, senza dimenticare che la maggior parte dei giochi per i bambini è stata vandalizzata. Infine c’è il capitolo cani: a disposizione dei quadrupedi ci sono due aree dedicate (nelle altre zone del giardino non potrebbero entrare) e quasi quotidianamente mordono soprattutto i più piccoli. Al punto che qualcuno in maniera amara dice: «I recinti li hanno fatti per i bambini».
Ma torniamo al tentativo di rapimento, alla luce dei recenti episodi di cronaca: il caso di Kata a Firenze, ma soprattutto quello dello scorso 23 maggio sempre a Milano, in piazza Gae Aulenti. Anche allora il finale non è stato drammatico grazie all’attenzione di un padre. Il quale ha impedito che una giovane di 21 anni, con problemi psichici, gli sottraesse il figlio di appena due. Un episodio a lieto fine - ma che ha suscitato un grave spavento e destato clamore, nella centralissima piazza Gae Aulenti, nella zona del Bosco verticale tra fontane e giardini molto frequentata dalle famiglie nel fine settimana - durato fortunatamente una manciata di minuti grazie alla prontezza di riflessi del padre. La giovane si trovava in compagnia di un’amica quando, all’altezza di una gelateria, ha avvicinato il bambino, di due anni, che giocava con il fratello di sette e un amichetto di otto, guardati a distanza di alcune decine di metri dal papà. Le mamme dei tre erano nel negozio per acquistare dei gelati. «Che fai? Lascialo subito», le ha gridato l’uomo. A questo punto la ventunenne ha prima replicato che si trattava di uno scherzo e poi l’ha insultato pesantemente. Uno «scherzo» che, come nel caso di Camilla, le è costato una denuncia per tentato sequestro di minorenne.
Due episodi analoghi nello spazio di 30 giorni. Circostanza che dovrebbe suonare come un campanello di allarme per l’amministrazione comunale. Ma con ogni probabilità cadrà nel vuoto dato che il sindaco di Milano, Beppe Sala, è assai concentrato su altre questioni, in primis sul patrocinio al Pride 2023: proprio qualche giorno fa, oltre alla foto con la macchina dai colori arcobaleno, ha incontrato a Palazzo Marino gli esponenti del mondo Lgbtq+. Intanto il livello di sicurezza nel capoluogo lombardo è ridotto ai minimi termini, al punto che anche la semplice manutenzione delle telecamere all’interno dei parchi comunali latita.
Partono in Flixbus dall’Est Europa per andare a mendicare a Venezia
Ci sono migranti che scelgono la rotta balcanica per arrivare in Friuli Venezia Giulia (dove i centri sono al collasso e la giunta Fedriga minaccia di attuare posti di blocco selettivi e continuati), per poi disperdersi nel nostro Paese in cerca di una vita migliore. E ci sono pendolari che arrivano dall’Est per chiedere l’elemosina, ma ritornano a casa. Un fenomeno evidenziato dal Gazzettino, che ha raccontato come Venezia sia presa d’assalto dai questuanti settimanali. Arrivano con Flixbus, società che offre spostamenti in autobus a basso costo, collegando moltissime città europee. In sole dieci ore, per esempio, da Budapest si scende in laguna spendendo appena 36 euro, ma per alcuni lo scopo del viaggio non è godersi le bellezze della Serenissima. Appena scesi dall’autobus, infatti, sciamano alla ricerca di una postazione dalla quale cercheranno di impietosire i passanti, mostrando cartelli che spiegano vissuti, disgrazie, difficoltà familiari spesso menzognere. A Venezia i turisti non mancano mai, sono onnipresenti tutto l’anno e, grazie alla generosità di molti, a fine giornata si possono mettere insieme delle buone cifre, mendicando per le calli. Non occorre nemmeno impegnarsi troppo, basterebbero un paio d’ore per riempirsi le tasche di monete. Secondo il quotidiano del Nord Est, una settimana trascorsa a tendere la mano può fruttare come minimo dai 500 ai 1.000 euro esentasse. Non ci sono spese di alloggio, perché queste persone trovano rifugio in edifici e case abbandonate, «oppure si accontentano di un sottoportico o un androne di un condominio». Due anni fa si segnalava la presenza di persone di etnia rom che arrivavano la primavera da Romania e Bulgaria, e se ne andavano da Venezia ai primi freddi, arrangiandosi a vivere sotto i ponti o in rifugi sulla terraferma. Adesso funzionerebbe il pendolarismo, non il Venezia - Mestre ma dai Paesi dell’Est. Quanto ai pasti, utilizzano le strutture della Caritas e delle tante associazioni benefiche attive a Mestre. «Organizzati come sono, soffiano il posto in mensa ai poveri locali, che magari non sono così intraprendenti e spesso provano imbarazzo nel chiedere aiuto», sottolinea Il Gazzettino. Terminata la settimana, sempre con poco più di 30 euro si prendono il biglietto di ritorno (anzi, ne avranno fatto scorta per tempo, così da usufruire di tariffe ancora più scontate) e in poche ore rientrano a casa in qualche Paese dell’Est. Dove un altro familiare o parente sarà pronto a rifare il medesimo, rapido ed economico tragitto, così da garantire entrate continue con «turni di lavoro» non faticosi. Umilianti, sì, ma forse chi sceglie questi mezzi di sostentamento nemmeno ha l’idea di che cosa sia un’occupazione dignitosa. L’unica difficoltà pare che sia presentarsi puliti e vestiti decentemente alla fermata dell’autobus, perché l’autista non fa salire chi ha l’aspetto di un mendicante. Dopo una settimana al sole, al caldo o comunque senza potersi docciare, bisogna inventarsi qualche stratagemma. Allora si lavano di notte, alle fontane pubbliche, evitando di essere sorpresi dalle pattuglie di polizia. Il fenomeno dei questuanti pendolari sarebbe in aumento e giustamente si segnala l’ulteriore problema che viene a gravare sulle strutture assistenziali. Già devono occuparsi dei nostri poveri, delle persone che non riescono a vivere con pensioni indecenti, e dei migranti irregolari senza lavoro non rimpatriati. Adesso si aggiungono forse finti indigenti, «professionisti dell’elemosina» o comunque persone che non solo si ingegnano a campare nelle nostre piazze e vie, ma sfruttano i servizi messi a disposizione per i più bisognosi.
«Quella sugli oriundi in Nazionale è una polemica senza logica. Avete mai provato a fare una lista di attaccanti italiani convocabili in azzurro? I giocatori non ci devono rimanere male, devono giocare e fare gol, se li fanno e fanno bene noi li chiamiamo. Per noi non è più semplice chiamare un giocatore dall’altra parte del mondo. Tutte le nazionali lo fanno, se noi abbiamo la possibilità di chiamare giocatori che giocano in Italia siamo contenti». È lo scorso 3 aprile: il ct dell’Italia Roberto Mancini pronuncia queste parole che inevitabilmente scatenano un fiume di polemiche. A distanza di poco più di due mesi, quindi a serie A conclusa, e soprattutto alla luce della meravigliosa prestazione dell’Italia Under 20 al mondiale di categoria (domani la finalissima contro l’Uruguay), anche i più scettici nei confronti di mister Mancini devono ricredersi.
La cavalcata collettiva e in più di un caso gli assoli degli azzurrini nella competizione sono sotto gli occhi di tutti, così come il fatto che quasi la maggior parte di questi giovani talenti non trovi spazio nella massima categoria del campionato italiano. Una conferma che svilisce sogni e ambizioni degli atleti e in misura molto maggiore l’intero sistema calcistico nostrano.
Un’estate fa alcuni commentatori e tifosi storsero il naso quando Cesare Casadei, (ora capocannoniere del Mondiale Under 20 con sette reti), siglò il suo passaggio dall’Inter al Chelsea: 15 milioni di euro e 5 di bonus a dire di molti non rispecchiavano il valore dell’atleta, che fin lì aveva giocato solo a livello di primavera. Oggi viene da sorridere perché il centrocampista ventenne con il vizio del gol (ottimi tempi di inserimento, forza fisica e piedi raffinati) ha trascinato i compagni alla prima finale in questa competizione, senza dimenticare l’esperienza in prestito al Reading nella competitiva serie B inglese.
Prima dell’ultimo campionato, Tommaso Baldanzi (20 anni), nella massima serie italiana aveva accumulato solo 17 minuti di gioco. Quest’anno il minutaggio dell’enfant prodige dell’Empoli è radicalmente cambiato: 24 presenze e quattro gol. Sulla mezzapunta mancina hanno preso informazioni big italiane e non solo, e non potrebbe essere altrimenti dato che la società toscana, che ha nel vivaio il suo principale asset societario, difficilmente sarà in grado di trattenerlo. Il trasferimento rimpinguerebbe la casse dell’Empoli e permetterebbe a lui di confrontarsi nei palcoscenici europei, maggiormente prestigiosi e competitivi.
Con i suoi 17 anni è il più piccolo dell’intera spedizione azzurra. Un talento cristallino, sublimato nella punizione capolavoro contro la Corea del Sud che ha permesso all’Italia di accedere alla finale. Stiamo parlando di Simone Pafundi, ragazzo prodigio dell’Udinese. Secondo gli addetti ai lavori siamo di fronte al teenager che potrebbe raccogliere l’eredità dei grandi «10» italiani del passato. Eppure quest’anno con la prima squadra del suo club ha accumulato appena otto presenze. Per essere più precisi la miseria di 77 minuti complessivi: tanti piccoli spezzoni a campionato di fatto finito. Viene da chiedersi perché una società come l’Udinese, da sempre attenta allo sviluppo dei giovani (purtroppo spesso stranieri), stia esitando nel lanciare nel calcio che conta Pafundi.
Nella squadra allenata da Carmine Nunziata non brillano solo gli attaccanti, con buona pace di coloro che sostengono che non esista più la scuola italiana dei difensori. La coppia centrale è formata da Daniele Ghilardi (Verona proprietario del cartellino, girato in prestito al Mantova in serie C) e Gabriele Gaurino (Empoli, ancora zero presenze in serie A). Entrambi molto abili in marcatura e con evidenti doti fisiche. Senza dimenticare il duttile - può giocare sia da terzino sia da centrale - e tecnico Alessandro Fontanarosa (Inter, perno della squadra primavera che attende il debutto con Simone Inzaghi). Sulla fascia, destra o sinistra per lui non fa differenza, si è messo in mostra Riccardo Turicchia, esterno della Juve che nell’ultima annata ha giocato nella seconda squadra - dunque in serie C - del club di Torino. Gli osservatori più attenti hanno annotato il suo nome nei taccuini da almeno due anni, da quando si è messo in mostra nella Youth League (la Champions dei giovani), con un gol nella semifinale contro il Benfica vincitore del torneo.
Dal 1977, anno della sua creazione, l’Italia non era mai riuscita a guadagnarsi l’accesso nella finale del Mondiale Under 20. Il cammino degli azzurrini verso l’ultimo atto della rassegna che si sta giocando in Argentina ha testimoniato più volte le qualità umane e tecniche del gruppo. Partita inaugurale del girone, vinta 3-2 contro la corazzata Brasile (per l’Italia doppietta di Casadei e rete di Matteo Prati, nei verdeoro due goal del «crack» Marcos Leonardo); poi la sconfitta netta con la Nigeria (0-2); il 3-0 sulla Repubblica Dominicana garantisce l’accesso alle fase a eliminazione diretta. Nel primo dentro o fuori è la favoritissima Inghilterra a uscire dal campo a testa bassa (2-1). Ai quarti i ragazzi di Nunziata rifilano un secco 3-1 ai temibili colombiani, infine il 2-1 di 48 ore fa sulla Corea del Sud. Adesso aspettiamo speranzosi la sfida di domani (ore 23) all’Uruguay di Alan Matturro (Genoa) e Fabricio Diaz. Più fiduciosi ancora, invece, quando Mancini diramerà le convocazioni, visto che come ha detto lui stesso più di due mesi fa: «Prima Pafundi, poi tutto il resto: questa è la mia idea quando scrivo la lista».
Custodire con cura e rispetto i morti è il compito assegnato ai cimiteri. Al Flaminio di Roma i defunti, invece di essere sepolti in un luogo di pace eterna, «vivono», e indirettamente anche i parenti, un degrado senza fine. Si trovano sepolti in una specie di girone dantesco, dove perfino l’espressione degrado non è abbastanza appropriata per descrivere la situazione in cui versa il più grande camposanto d’Italia. Ogni aspetto della manutenzione, dal più elementare al più complesso, lascia a desiderare. «Negli ultimi anni», racconta alla Verità una fonte qualificata, «sono state posizionate un paio di guaine. Come se non piovesse dentro la maggior parte degli edifici presenti nel complesso. I cittadini devono sapere quello che accade qui dentro».
Al cimitero Flaminio, conosciuto anche con il nome di Prima Porta, i visitatori vengono accolti (oltre che dalle sbarre all’ingresso che non funzionano) e mai abbandonati dalle pessime condizioni dei 37 chilometri di strade interne. I conducenti sono costretti a compiere numerosi slalom per evitare buche profonde e rialzamenti del manto stradale causate dalle radici degli alberi.
L’erogazione e la dispersione dell’acqua sono tra le problematiche più evidenti del cimitero romano. Solamente i «nasoni» erogano quella potabile e, per evitare gli sprechi, alcuni sono stati tappati. Uno in particolare, a pochi passi dall’ingresso, con un piccolo rametto curvo che lo fa sembrare un «nasone» di misura extralarge. Quasi tutti i rubinetti di acqua non potabile del camposanto sono fuori uso, con la conseguenza che è di fatto impossibile annaffiare i fiori da depositare di fronte alle lapidi. Nei 140 ettari del Flaminio sono utilizzabili dagli utenti meno di cinque bagni chimici: quelli tradizionali sono in totale stato di abbandono. I wc nelle migliori condizioni sono privi di maniglia sulla porta bianca (dove resiste la scritta «bagno» fatta a mano) e circondati da pietrisco, rametti e terra.
Vicino ad alcune cappelle, di fronte al riquadro 167, ce n’è un altro il cui rumore e miasmo vengono avvertiti dalla strada. E la perdita d’acqua che lo caratterizza «allaga» il sentiero. Dentro la struttura, lo sciacquone è in parte divelto e, appoggiato in quello che resta di uno dei water, c’è un foglio di giornale. A terra si trovano macchie d’ogni genere, bicchieri di plastica, fazzoletti. E, soprattutto, un lavandino nascosto dalla sporcizia traboccante d’acqua, erogata giorno e notte dal rubinetto. Lo stato di abbandono in cui versa l’edificio F lascia quasi senza parole: crepe macroscopiche, mattoni e cavi elettrici a vista. Entrando, sulla sinistra, si trova un separé (facilmente aggirabile) di ferro, del tipo da operai, abbandonato da chissà quanto tempo. Vicino a un angolo, in alto, c’è un grosso buco da dove si vede la trave di ferro su cui poggia il tetto.
Eppure, ciò che resta più impresso nella memoria di questo stabile sono i rimedi (vani) utilizzati dai familiari dei defunti contro i piccioni. I più adoperati sono dei lunghi nastri sistemati all’ingresso dei corridoi, dove si trovano i loculi, e le bottiglie di plastica posizionate nelle intercapedini. Ma è una battaglia persa perché, poco più avanti, c’è un loculo vuoto dove stazionano due volatili. Altri stanno tra una scala e una finestra.
Il culmine dell’indecenza il Flaminio lo raggiunge al corpo D. All’apparenza, uno come gli altri. Infatti, lungo il sentiero e i corridoi a terra, sono disposti degli ossari. Tra questi alcuni sono chiusi da botole, altri da una struttura di ferro circolare divisa a metà: da una parte a grata, dall’altra ermetica. Il tutto rinforzato da due lucchetti. Entrambe le tipologie di ossario sembrano impossibili da aprire, invece basta alzare la parte superiore. Può farlo chiunque.
La tragedia del cimitero di Prima Porta poi si trasforma in simil farsa nella sezione dei container di celle mortuarie frigorifere. Sono una dozzina circa e su ognuna di esse c’è scritto: «Attenzione. Prima di chiudere le porte accertarsi sempre che nessuno si trovi all’interno».





