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Diario di viaggio per conoscere Israele oltre la propaganda: «Un melting pot tra diverse culture ed etnie»
Alcuni giovani studenti dell'Università degli Studi di Milano e di Torino hanno avuto l'opportunità di visitare lo Stato ebraico e toccare con mano una realtà decisamente differente da come viene raccontata dalla narrazione mainstream. Filippo Leon Buffa, coordinatore del movimento universitario Siamo Futuro, descrive così la sua esperienza: «Ho notato un affascinante melting pot tra diverse culture ed etnie, una perfetta convivenza nel rispetto e tolleranza reciproca».
Quando si va in visita in un Paese iI primo approccio è con le persone che si incontrano. E così è stato per me che sognavo da anni di mettere piede in Israele. L’occasione si è presentata grazie al patrocinio dell’American Jewish committee e altre associazioni che hanno permesso a me in veste di coordinatore del movimento universitario Siamo Futuro dell’università degli Studi di Milano e ad altri colleghi firmatari del Manifesto per il Diritto allo Studio contro le occupazioni nelle università, di andare in quei luoghi di grande fascino e spiritualità.
Appena uscito dall’aeroporto insieme agli altri studenti, come me invitati, ho notato un affascinante melting pot tra diverse culture ed etnie, una perfetta convivenza nel rispetto e tolleranza reciproca. E questa percezione ci è stata confermato dall’autista di origini palestinesi che ci ha portato in albergo, durante il percorso ci ha parlato di un Paese in cui vengono garantiti a tutti gli stessi diritti a dispetto della disinformazione imperante su una sedicente apartheid che in realtà non è mai esistita. Anche quando siamo andati in visita al Sapir College in Israele, proprio a ridosso della striscia di Gaza, gli studenti ci hanno raccontato di come tutte le etnie collaborano nel comune interesse volto allo studio e alla conoscenza. Un mio cruccio era capire se era lo stesso per gli studenti musulmani, con i quali per primo avevo desiderio di interfacciarmi. La risposta è arrivata da un gruppo di ragazze di etnia beduina (in foto) che abbiamo incontrato e che ci hanno spiegato che per loro Israele non è un Paese come un altro ma è quello che concede loro in quanto donne di poter approcciarsi allo studio senza discriminanti o pregiudizi e dove quindi è possibile raggiungere i propri sogni di carriera e lavoro, obiettivi che negli altri Paesi del Medio Oriente è praticamente impossibile. Lo stesso approccio libero allo studio lo abbiamo notato presso la Ariel University in Israele che rappresenta un prestigioso esempio di altissima coesione sociale permettendo a etnie religiose, come i musulmani drusi, di studiare senza essere discriminati o perseguitati. Questa università è anche un’eccellenza tecnologica in quanto possiede tra l’altro un laboratorio con acceleratore di particelle, università con cui sarebbe augurabile collaborare per il progresso mondiale contro la propaganda fondamentalista e antisemita ormai dilagante che vorrebbe isolare e dividere. Per questo mi sento di definire «miracolo Israeliano» la capacità di tenere unite comunità, religioni ed etnie diverse sotto l’unica bandiera in Medio Oriente fonte di progresso e tutela della libertà.
Grazie all’American Jewish Committee e all'Associazione Italia Israele di Savona, alcuni studenti dell'Università degli Studi di Milano e di Torino hanno avuto l'opportunità di andare in Israele e osservare in prima persona la realtà di un Paese senza quei pregiudizi o falsità che hanno caratterizzato la narrazione degli ultimi mesi. Pur non diventando ciechi verso la tragedia che anche i civili di Gaza stanno attraversando.
Il 24 aprile scorso è stata la data in cui tutto ebbe inizio per noi: in quell’occasione si tenne presso l’Università degli Studi di Milano quello che sarebbe dovuto essere un dibattito sulla cancellazione degli accordi con le università israeliane. A quel dibattito partecipò quello che poi sarebbe diventato il nostro fondatore, Pietro Balzano, che venne contestato e zittito solo perché il suo intervento non era allineato con la narrativa della maggior parte dei presenti inclusi quelli che si presentarono come «mediatori di parte».
Quel giorno divenne chiaro che il dibattito nelle università non era più possibile e che era ormai impossibile anche solo presentare dati che confutassero la narrazione dei pro-pal… le occupazioni violente che seguirono in quei mesi ne furono la conseguenza. Ma ci sono tantissimi studenti che non condividono i metodi dei pochi che vandalizzano le nostre università, e abbiamo avuto la fortuna di incontrarci tutti a un presidio in piazza proprio contro le occupazioni (che avremmo dovuto tenere in università, ma spostato per il pericolo di violenze). In quell’occasione Studenti per le Libertà, Siamo Futuro, l’Unione dei Giovani Ebrei d’Italia e Studenti Liberali lessero il Manifesto scritto da Balzano dopo quell’esperienza e ne divennero firmatari; ci unimmo nonostante le nostre differenze per difendere ciò che ci rende cittadini di una democrazia: libertà di espressione, di parola e di pensiero, così come il diritto allo studio che per noi non è solo il diritto di avere la possibilità di imparare, ma anche di avere un luogo di amicizia e tolleranza dove poterlo fare serenamente, questo per noi sono le università.
La nostra iniziativa è poi cresciuta rapidamente: grazie all’impegno delle nostre associazioni abbiamo raggiunto studenti e rappresentanti di 20 diverse università dalla Statale di Milano alla Federico II di Napoli al Politecnico di Torino e tante altre; ci rendemmo conto che gli studenti di tutta Italia non erano con i violenti che vediamo quasi ogni giorno sui media, ma, al contrario, guardavano con vergogna e tristezza quanto succedeva nelle nostre università.
Decidemmo di reagire, ma non con i modi che abbiamo visto nei campus statunitensi che hanno portato a una vera e propria guerra; per noi essere cittadini ancora prima che studenti vuol dire rispettare la legge e non farci giustizia da soli, sebbene la tentazione davanti a certe immagini che uscivano dalle occupazioni sia stata forte…
L'incontro degli studenti italiani con il segretario generale del ministero degli Esteri israeliano
Il 25 novembre scorso abbiamo avuto la possibilità di presentarci alle istituzioni nel Senato della Repubblica, dove senatori e deputati del governo ci hanno espresso il loro completo appoggio, con dichiarazioni di sostegno in privato anche dall’opposizione; salvo pochissime eccezioni i pro-pal non avevano il supporto della politica eppure gli veniva e viene tutt’ora permesso di entrare nelle nostre università, fare danni anche nell’ordine delle centinaia di migliaia di euro e poi andarsene come nulla fosse successo, lasciando il conto da pagare all’ateneo e accompagnando il tutto con una campagna di disinformazione nei confronti di Israele e una serie di assurde richieste di interrompere tutti gli accordi con le sue università che nulla hanno a che fare con il conflitto in corso.
In questa settimana ci è stata data l’opportunità, grazie all’American Jewish Committee, di sbugiardare tutte le menzogne che vengono dette su Israele durante un viaggio in cui abbiamo sperimentato la sua cultura, conosciuto le sue università e avuto contatti con la sua politica pur non diventando ciechi verso la tragedia che anche i civili di Gaza stanno attraversando.
Durante questo viaggio abbiamo compreso una realtà completamente diversa dalla nostra, un multiculturalismo intrecciato così profondamente da risultare quasi inverosimile, dei ragazzi come noi chiamati a difendere il proprio Paese e a proseguire nei loro studi contemporaneamente e la democrazia di un Paese che viene tutelata a tal punto da portare a cinque elezioni in tre anni.
Israele è una realtà che merita di essere conosciuta senza pregiudizi o falsità e speriamo davvero di poter riportare quella verità che lì abbiamo conosciuto in prima persona, in Italia e insieme a essa ridare vita a un vero dibattito sui grandi temi di attualità dove potersi confrontare liberamente e alla pari, come avrebbe sempre dovuto essere.