Claudio Antonelli
(Iseo, Brescia, 1976). Vicedirettore della Verità e responsabile della Verità digitale. Già ufficiale dei carabinieri, ha lavorato a Libero occupandosi di cronaca nera e, dal 2004, di giudiziaria, con particolare attenzione ai profili finanziari; quindi responsabile delle pagine economiche e poi all'ufficio centrale. Scrive di tematiche fiscali, geopolitica e industria della difesa. Per Chiarelettere ha pubblicato Metastasi, il primo libro che indaga sulla 'ndrangheta al Nord. Si considera «ammalato» d'Africa.
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La questione lista Generali di Assogestioni non è certo una di quelle notizie per cui bisogna transennare le edicole. Ma è sicuramente una notizia sensibile per i mercati. Venerdì sera il comitato riunito ha raggiunto il quorum, dopo diverse fumate nere. È quindi partita una missiva interna e ufficiale. Indicati i nomi dei quattro candidati con curriculum allegati.
Indicato anche il nome dello studio che si occupa della burocrazia necessaria al deposito. Insomma, superata la battaglia delle perizie e controperizie sui possibili conflitti di interesse, la partita è stata chiusa. O dovrebbe essere, salvo che qualche gestore provi - da qui al termine dell’iter - a fare altro ostruzionismo legale. Eppure l’altra sera numerose agenzie stampa e ieri molti quotidiani hanno raccontato versioni molto più grigie della realtà. Lasciando intendere che c’è stato un passo in avanti ma che, ancora, c’è da lavorare. Alcune versioni hanno messo in discussione addirittura il raggiungimento del quorum.
Tutti sanno che in ballo ci sono gli equilibri della prossima assemblea Generali. A maggior ragione la comunicazione dovrebbe essere iper accessibile e ultra trasparente. Forse la Consob, anche se non ci sono in ballo le criptovalute, potrebbe fare un double check, come dicono quelli competenti.
Christine Lagarde ha parlato e come succede nove volte su dieci i mercati hanno reagito male. D’altronde il messaggio di fondo dell’intervento tenuto dalla numero uno della Bce al Parlamento Ue è stato uno solo: grande incertezza, non sappiamo che fare sui tassi, vedremo di volta in volta. Difficile che gli investitori reagissero diversamente. I temi messi sul tavolo dalla Lagarde sono principalmente due: i dazi e il riarmo del Vecchio continente.
«L’Eurozona, che è molto aperta al commercio e profondamente integrata nelle catene di fornitura globali, specialmente con gli Stati Uniti, è particolarmente esposta ai cambiamenti nelle politiche commerciali», ha detto la banchiera francese specificando che «per quanto riguarda l’impatto di misure commerciali specifiche, la situazione è ovviamente ancora in evoluzione e qualsiasi stima è soggetta a notevole incertezza». Detto questo, l’analisi della Bce suggerisce che una tariffa statunitense del 25% sulle importazioni dall’Europa ridurrebbe la crescita dell’area euro di circa 0,3 punti percentuali nel primo anno. Salvo poi ammettere che l’effetto sul Pil andrebbe scemando gli anni successivi nonostante una scia negativa sul livello di produzione». «In tale scenario», ha proseguito la Lagarde, «le prospettive di inflazione diventerebbero significativamente più incerte. Nel breve termine, le misure di ritorsione dell’Ue e un tasso di cambio dell’euro più debole, derivante dalla minore domanda statunitense di prodotti europei, potrebbero far aumentare l’inflazione di circa mezzo punto percentuale. L’effetto si attenuerebbe nel medio termine a causa della minore attività economica che smorzerebbe le pressioni inflazionistiche». Ma in ballo non c’è solo l’istanza dei dazi. Sui quali vale la pena aprire una parentesi. Ieri l’Ue ha deciso di prendere tempo fino a metà aprile e rinviare la decisione sulle contromosse nei confronti degli Usa. Un modo per tenere per fortuna aperta la trattativa e magari evitare i dazi. Detto ciò, a premere sull’inflazione e ad accelerare quell’incertezza sventolata ieri dalla Lagarde c’è il grande progetto di riarmo dell’Europa o meglio sarebbe dire della Germania. L’effetto è quello di spingere non solo sull’inflazione ma anche sulla risalita dei bond. Cosa che è accaduta all’indomani dell’annuncio per poi vedere i prezzi stabilizzarsi. Non c’è stata altra risalita, anche perché la Bce non ha escluso che si prenderà una pausa sui futuri tagli dei tassi. Per Goldman Sachs scenderanno al 2% entro giugno, per Nomura al 2,25%. In conferenza stampa, Lagarde ha parlato espressamente di di «approccio evolutivo». Cosa voglia dire non è di facile interpretazione. Di certo c’è che il riarmo annunciato dall’Unione europea avrà conseguenze sulle decisioni della Bce. La Lagarde ha spiegato che esso, pur essendo ancora ignoto sul suo reale funzionamento, potrà contribuire a sostenere la crescita nell’area. Di contro, rappresenterà un rischio al rialzo per l’inflazione. E questo è forse il primo vero motivo per cui ieri i rendimenti sono saliti nonostante il sesto taglio del costo del denaro. Ve n’è un altro: quale sarà la pressione dei governi su Francoforte con il varo del piano sul riarmo? L’avvio del Consiglio Ue dedicato espressamente al tema dell’industria della Difesa non è certo partito con la serenità annunciata. Pronti e via e mezzo Consiglio si è spaccato temendo evidentemente di far confluire fondi a un veicolo che poi finirebbe per favorire Berlino. Certo, tutto ciò alimenta ulteriore incertezza. Il che ci riporta dritti dritti al ruolo che ha e a quello che dovrebbe avere la Bce. Sembra che la Lagarde voglia ripetere l’errore che ha commesso con il Green deal. Regole e normative che hanno spinto le banche e gli investitori su un binario difficile da gestire e pure da invertire. Il tutto senza riuscire a maneggiare l’inflazione per via del fatto di non aver capito la complessità della battaglia lungo la filiera produttiva e attorno alle materie prime. Oggi si rischia di assistere al bis. La Bce di fronte al piano di riarmo si ritroverebbe spaesata e certamente non in grado di gestire la situazione salvo invertendo la rotta sui tassi. Eppure se volesse veramente finanziare progetti comuni per la Difesa Ue, la Bce potrebbe cambiare pelle e prendere insegnamento dalla Fed. Potrebbe finanziare direttamente i consorzi operativi esattamente come la banca centrale Ue ha fatto lo scorso anno nel settore del gas naturale liquido. Gli Usa già alla fine del 2023 avevano deciso di fare un ulteriore salto nel settore del fracking e diventare leader globali del Gnl. In poco più di 12 mesi la Fed ha iniettato nei consorzi d’investimento circa 90 miliardi di dollari. La Bce non può farlo? Vero ma il mondo cambia così come cambiano velocemente i contesti. Che senso ha avere una Bce inchiodata a uno schema vecchio di una dozzina di anni. Ieri la Lagarde ha citato il celebre «whatever it takes» di Mario Draghi. Però ora il contesto è differente. Anzi, molto differente. E la Bce dovrebbe rinnovarsi se non vuole stare a guardare un altro fallimento simile al Green deal. L’unica novità che Francoforte vuole annunciare è invece l’euro digitale «che diventa ora particolarmente rilevante per difendere l’euro e contrastare il disegno della nuova amministrazione Trump di rafforzare notevolmente il dominio del dollaro Usa nei mercati internazionali, compresa l’Europa, attraverso le criptovalute e soprattutto gli stablecoin». «Sottolineiamo», hanno affermato i Ventisette nelle conclusioni dell’eurosummit di ieri, «il senso di urgenza e la responsabilità condivisa per progressi rapidi e decisivi su un’Unione del risparmio e degli investimenti, con particolare attenzione all’Unione dei mercati dei capitali per mobilitare i risparmi e per sbloccare il finanziamento degli investimenti necessari a sostenere la competitività dell’Ue». Speriamo. Sicuramente sarà tutto più tracciato.