George Papadopoulos rilancia un nostro articolo e lascia intendere un ruolo italiano nella presunta manipolazione sul voto Usa.
Le contestazioni sulle presidenziali Usa tornano a toccare l'Italia, come La Verità ha scritto per prima a inizio dicembre. Ieri è stato George Papadopoulos, già tra i consiglieri di Donald Trump, e da lui recentemente graziato, a rilanciare su Twitter l'articolo del nostro giornale. Papadopoulos è l'uomo che anni fa, a Roma, sarebbe stato avvicinato dal professore maltese Joseph Mifsud, poi rocambolescamente sparito. Il quale Mifsud si sarebbe molto agitato (non è mai stato chiarito su spinta di chi) per procurare contatti russi a Papadopoulos: in realtà, a quanto pare, per inguaiare lui e soprattutto Trump e innescare la bolla del Russiagate, successivamente svanita nel nulla, ma causa nel frattempo di una richiesta di impeachment. Anni dopo, Papadopoulos ha anche accusato uomini del centrosinistra italiano, ricavandone promesse di querele.
Papadopoulos non solo ha ritwittato il nostro articolo, ma ha lasciato a verbale un sibillino «tutte le strade portano a Roma». La tesi della campagna Trump è quella che La Verità ha riferito a suo tempo: la convinzione che, nella presunta manipolazione elettorale, siano stati coinvolti un official dell'ambasciata Usa di Via Veneto, figure militari di altissimo livello, e anche una società italiana operante nel settore della difesa.
Sui social, da fonti varie, pullulano riferimenti espliciti (ma non dimostrati) a persone e società. La Verità, un mese fa come oggi, ritiene - per doverosa correttezza - di non fare nomi né di soggetti fisici né di compagnie, non esistendo prove che corroborino le accuse. Semmai, come scrivemmo allora, va ribadito che l'onere della prova grava interamente sulla campagna Trump.
Intanto, si è scatenata una valanga. Il generale Michael Flynn, anche lui recentemente graziato da Trump, ha parlato di «interferenze estere da Cina, Serbia, Italia, Spagna, Germania». Bradley Johnson, ex agente Cia, in un video ha ripercorso l'ipotetica pista italiana, aggiungendo nomi e cognomi. Fino a una serie di audio da parte di altri gruppi pro Trump (in particolare, un file di Maria Zack di Nation in Action).
Davanti a questi elementi, occorre a nostro avviso evitare due errori uguali e contrari. Sbaglia chi, tifando per Trump, prende tutto per oro colato, e considera acquisite circostanze e accuse che sono invece tutte da dimostrare, in qualche caso viziate da errori fattuali. Sbaglia però, per ragioni opposte, chi mostra troppa fretta di liquidare tutto con il bollino del complottismo.
Saggezza e prudenza impongono di considerare un ampio ventaglio di ipotesi: che il team Trump sia davvero convinto di queste accuse e riesca prima o poi a provarle; che invece non sia in grado di farlo; che machiavellicamente voglia far pendere sul capo di Biden la stessa spada di Damocle che fu tenuta sulla testa di Trump con il Russiagate; o - ancora - che Trump voglia testare la fedeltà degli eletti repubblicani. Naturalmente esiste anche la spiegazione più sfavorevole a Trump, già abbracciata da molti: che sia tutto falso, e si tratti solo di una mossa disperata dopo la sconfitta.
Non è nostro compito dare risposte. Anche perché è molto probabile che, se manipolazione elettorale c'è stata, sia avvenuta soprattutto in altro modo (pressoché indimostrabile), e cioè con il voto postale.
È invece nostro compito lasciare a verbale alcune domande. C'è un legame tra i fatti del 2016 e quelli del 2020? È anche per queste ragioni che Giuseppe Conte tiene a conservare la delega ai servizi, e i suoi alleati a sfilargliela? Qualcuno in Italia teme eventuali rivelazioni vecchie o nuove?
E soprattutto: cos'è diventata l'Italia? Un «campo neutro» utilizzato dai grandi contendenti della nuova sfida geopolitica? Qualcosa di simile, mutatis mutandis, alla Berlino dell'immediato secondo Dopoguerra, divisa in zone d'occupazione? Tra il rischio fortissimo di essere già divenuti cavallo di Troia per la penetrazione cinese, e l'ipotesi di essere campo di battaglia tra opposte fazioni interne agli apparati Usa, c'è materia per provare inquietudine, specie per i più sinceri atlantisti.