2025-01-05
Trump: «Meloni ha avuto successo in Europa»
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Donald Trump e Giorgia Meloni (Ansa)
È stata una visita a sorpresa quella effettuata sabato da Giorgia Meloni a Mar-a-Lago per incontrare Donald Trump. Il meeting si è svolto in un clima particolarmente cordiale. «È molto emozionante», ha detto il tycoon ai suoi ospiti, per poi proseguire: «Sono qui con una donna fantastica, il primo ministro italiano. Ha davvero avuto successo in Europa».L’inquilina di Palazzo Chigi è uno dei pochi leader mondiali a essere stata ricevuta in Florida dal presidente americano in pectore, insieme a Javier Milei, Viktor Orban e Justin Trudeau. Non solo. Durante la sua visita di sabato, erano presenti anche alcuni alti esponenti dell’amministrazione americana nascente: dal segretario di Stato in pectore Marco Rubio al consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz, passando per il prossimo responsabile del Tesoro, Steve Bessent. Al momento, non è ufficialmente noto di che cosa abbiano parlato Trump e la Meloni. Tuttavia, secondo quanto risulta alla Cnn e al New York Times, i due hanno probabilmente affrontato vari temi: dalla detenzione di Cecilia Sala in Iran al commercio internazionale, senza trascurare la crisi ucraina e la Nato.Tutto questo offre lo spunto per alcune considerazioni. Con la visita a sorpresa di sabato, la Meloni si conferma l’unico leader dell’Europa occidentale a vantare un rapporto particolarmente stretto con il presidente americano in pectore. Una circostanza, questa, che smentisce innanzitutto quanti avevano preconizzato l’isolamento internazionale dell’attuale inquilina di Palazzo Chigi. In secondo luogo, questa sponda rafforza la Meloni nella sua ambizione di diventare una mediatrice tra la nuova amministrazione Trump e la Commissione europea.Un altro elemento che andrà monitorato è ovviamente la detenzione della Sala. La Meloni ne avrebbe parlato con Trump e probabilmente affronterà la questione anche con Joe Biden che, giovedì prossimo, si recherà a Roma. Negli scorsi giorni, alcuni commentatori avevano affermato che questa delicata situazione avrebbe potuto irrigidirsi con l’avvento del tycoon alla Casa Bianca. Ora, non è chiaro quello che succederà. Tuttavia una cosa è certa. Se Teheran ha paura di qualcuno, quel qualcuno è proprio Trump (non a caso, ha cercato di danneggiarne la campagna elettorale l’anno scorso). In secondo luogo, il tycoon ha già dimostrato in passato di saper negoziare alternando dialogo e minacce. Bisognerà quindi capire in che modo si inserirà in questa spinosa crisi. E, sotto questo aspetto, è forse bene non dare nulla aprioristicamente per scontato.In tutto questo, se la presenza di Bessent suggerisce che Trump e la Meloni abbiano parlato di dazi, quella di Rubio lascia intendere che siano stati affrontati anche temi di politica internazionale. Da quando è arrivata a Palazzo Chigi, la Meloni ha più volte sottolineato la necessità di rilanciare il fianco meridionale dell’Alleanza atlantica: un obiettivo strategico sia per l’Italia che per l’Alleanza stessa, vista l’influenza di Russia e Cina in Nord Africa. Non è quindi escluso che questo tema sia stato trattato. Chissà poi che a Mar-a-Lago non si sia parlato anche del ripristino degli Accordi di Abramo: accordi che Trump vuole rilanciare e che potrebbe essersi deciso a estendere anche al Maghreb (ricordiamo d’altronde che il Marocco firmò l’intesa per la normalizzazione dei rapporti con Israele a dicembre 2020). Se così fosse, la Meloni potrebbe fungere da mediatrice nel Mediterraneo soprattutto nei confronti dei governi di Tunisi e Tripoli. Il che avverrebbe nel più ampio quadro di quel Piano Mattei a cui Trump potrebbe guardare con interesse in un’ottica di stabilizzazione del Nord Africa e del Sahel.Infine, ma non meno importante, secondo il New York Times, si sarebbe parlato anche di crisi ucraina. Si tratta di un elemento interessante, anche perché, alcuni giorni fa, Reuters ha riferito che, a inizio gennaio, l’inviato speciale nominato da Trump per l’Ucraina, Keith Kellogg, avrebbe effettuato un tour nel Vecchio Continente, passando da Kiev, Parigi e Roma. L’Italia potrebbe insomma rientrare nella strategia diplomatica del tycoon per la crisi ucraina.
Antonio Quirici e Diego Dolcini (iStock)
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Arrivò prima dei fratelli Lumière il pioniere del cinema Filoteo Alberini, quando nel 1894 cercò di brevettare il kinetografo ispirato da Edison ed inventò una macchina per le riprese su pellicola. Ma la burocrazia italiana ci mise un anno per rilasciare il brevetto, mentre i fratelli francesi presentavano l’anno successivo il loro cortometraggio «L’uscita dalle officine Lumière». Al di là del mancato primato, il regista e produttore italiano nato ad Orte nel 1865 poté fregiarsi di un altro non meno illustre successo: la prima proiezione della storia in una pubblica piazza di un’opera cinematografica, avvenuta a Roma in occasione dell’anniversario della presa di Roma. Era il 20 settembre 1905, trentacinque anni dopo i fatti che cambiarono la storia italiana, quando nell’area antistante Porta Pia fu allestito un grande schermo per la proiezione di quello che si può considerare il primo docufilm in assoluto. L’evento, pubblicizzato con la diffusione di un gran numero di volantini, fu atteso secondo diverse fonti da circa 100.000 spettatori.
Filoteo Alberini aveva fondato poco prima la casa di produzione «Alberini & Santoni», in uno stabile di via Appia Nuova attrezzato con teatri di posa e sale per il montaggio e lo sviluppo delle pellicole. La «Presa di Roma» era un film della durata di una decina di minuti per una lunghezza totale di 250 metri di pellicola, della quale ne sono stati conservati 75, mentre i rimanenti sono andati perduti. Ciò che oggi è visibile, grazie al restauro degli specialisti del Centro Sperimentale di Cinematografia, sono circa 4 minuti di una storia divisa in «quadri», che sintetizzano la cronaca di quel giorno fatale per la storia dell’Italia postunitaria. La sequenza parte con l’arrivo a Ponte Milvio del generale Carchidio di Malavolta, intenzionato a chiedere al generale Kanzler la resa senza spargimento di sangue. Il secondo quadro è girato in un interno, probabilmente nei teatri di posa della casa di Alberici e mostra in un piano sequenza l’incontro tra il messo italiano e il comandante delle forze pontificie generale Hermann Kanzler, che rifiuta la resa agli italiani. I quadri successivi sono andati perduti e il girato riprende con i Bersaglieri che passano attraverso la breccia nelle mura di Porta Pia, per passare quindi all’inquadratura di una bandiera bianca che sventola sopra le mura vaticane. L’ultimo quadro non è animato ed è colorato artificialmente (anche se negli anni alcuni studiosi hanno affermato che in origine lo fosse). Nominata «Apoteosi», l’ultima sequenza è un concentrato di allegorie, al centro della quale sta l’Italia turrita affiancata dalle figure della mitopoietica risorgimentale: Cavour, Vittorio Emanuele II, Garibaldi e Mazzini. Sopra la figura dell’Italia brilla una stella che irradia la scena. Questo dettaglio è stato interpretato come un simbolo della Massoneria, della quale Alberici faceva parte, ed ha consolidato l’idea della forte impronta anticlericale del film. Le scene sono state girate sia in esterna che in studio e le scenografie realizzate da Augusto Cicognani, che si basò sulle foto dell’epoca scattate da Ludovico Tumminello nel giorno della presa di Roma. Gli attori principali del film sono Ubaldo Maria del Colle e Carlo Rosaspina. La pellicola era conosciuta all’epoca anche con il titolo di «La Breccia di Porta Pia» e «Bandiera Bianca».
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