Pagare in rubli? Mai. Tra la pace e il condizionatore, sceglieremo sempre la prima. A fine marzo, quando per aggirare le sanzioni Vladimir Putin impose all’Europa di saldare le forniture di metano in moneta russa, così da sostenere la valuta e l’economia interna, i leader della Ue risposero in coro con un no, brandendo le clausole contrattuali che prevedevano di usare una divisa occidentale. «Abbiamo esaminato la questione», disse il cancelliere tedesco Olaf Scholz, «e per il gas esistono contratti fissi che specificano che i pagamenti devono essere effettuati in euro o dollari. Questo è quello che conta». Più chiaro ancora fu il suo ministro delle Finanze, Christian Lindner: «Rivolgendomi a Putin lo dico molto chiaramente: non ci faremo ricattare. Una cosa è sicura: stiamo facendo tutto il necessario per diventare il più rapidamente possibile indipendenti dalla Russia». Tenore non molto diverso da quello usato dal suo collega francese, Bruno Le Maire, dopo un incontro bilaterale in Germania: «Non accetteremo in alcun modo di pagare il gas in altre valute rispetto a quelle sancite dai contratti». Linea condivisa anche da Mario Draghi, il quale interpellato sulla questione replicò secco: «È fondamentalmente una violazione contrattuale, questo è bene capirlo: i contratti sono considerati violati se questa clausola (del pagamento in rubli, ndr) viene applicata dalla Russia». Trascorse alcune settimane, forse pensando al condizionatore e al caldo in arrivo, le bellicose dichiarazioni sono state messe da parte. Infatti, zitti zitti, i principali Paesi dell’Europa hanno deciso di violare le clausole pattuite, adeguandosi a quelle russe, cioè cedendo alla richiesta di Putin e aggirando di fatto le sanzioni.
È bastato che a Polonia e Bulgaria fosse chiuso il rubinetto del gas e subito la Ue si è messa in riga, accettando le condizioni poste dal Cremlino. A rivelarlo è stato lo stesso Draghi durante la sua visita in America, quando durante la conferenza stampa a Washington ha spiegato che «nessuno ha mai detto che i pagamenti in rubli violano le sanzioni, è una zona grigia». Aggiungendo poi che «il più grande importatore di gas in Germania ha già pagato in rubli e la maggior parte degli importatori ha aperto i conti in rubli». Bruxelles ha provato poi a metterci una pezza, dichiarando che nessuna decisione è stata ancora presa, ma ormai il velo ipocrita con cui si era cercato di nascondere la realtà è stato strappato. Altro che scelta tra pace e condizionatore: la realtà e che l’Europa è stata messa di fronte alla propria insufficienza energetica e rinunciare a pagare in rubli il gas di Putin equivarrebbe a un disastro economico. In Germania hanno già fatto i conti: un blocco del gas russo si trasformerebbe immediatamente in un blocco dell’economia tedesca, con buona pace del suo ministro delle Finanze. Le aziende non registrerebbero un innalzamento della temperatura in ufficio di qualche grado d’estate, come si è voluto far credere, ma dovrebbero sospendere l’attività, perché mancherebbe l’energia per far funzionare i macchinari. Ma se Berlino piange, Roma di certo non può godere, visto che per noi i tedeschi sono il principale partner, con circa 60 miliardi di esportazioni. A chi li venderemmo i nostri componenti per l’industria a quattro ruote se le principali case automobilistiche fossero costrette a fermare la catena di montaggio? È vero che la Germania è la locomotiva tedesca, ma senza qualcuno che li traina i vagoni non sono in grado di viaggiare. Dunque? Dopo aver tenuto il punto, dichiarando che mai e poi mai avrebbero acconsentito a pagare in rubli le forniture di gas, i governi fanno finta di non accorgersi che le aziende del settore stanno accondiscendendo alle richieste di Putin. Per salvare la faccia si sono inventati un trucco. Anzi, lo ha messo a punto direttamente la Banca centrale russa. Ufficialmente le fatture sono saldate in euro o dollari presso Gazprom-bank, ovvero la finanziaria della più grande azienda del settore, dopo di che le monete occidentali sono immediatamente convertite in valuta russa e depositate su un conto parallelo. Così a Mosca riesce il doppio colpo, ovvero di sostenere la quotazione della sua divisa (e infatti i rubli sono tornati a essere negoziati a valori pari a quelli di prima della guerra) e di finanziare il conflitto. Se America ed Europa, usando la finanza, speravano di costringere Putin a mollare l’osso, a due mesi e mezzo da quel 24 febbraio in cui i carri armati russi varcarono il confine ucraino si può dire che non ci sono riusciti. Malgrado gli innumerevoli annunci dei principali leader e ministri europei a proposito dell’indipendenza energetica da Mosca, con il gas lo zar del Cremlino continua a tenerci per il collo. La Russia non sarà un Golia invincibile, come ha detto il presidente del Consiglio l’altro ieri a Washington, ma al momento noi non siamo Davide.