La nuova Commissione è fatta. Il prossimo 27 novembre in occasione della plenaria di Strasburgo riceverà l’ok definitivo dal Parlamento e potrà cominciare a lavorare. Se così si può dire. Il fuoco incrociato tra i due vice presidenti esecutivi, Raffaele Fitto e Teresa Ribera, è cessato soltanto alle 23 di mercoledì sera, ma la maggioranza Ursula ne è uscita, oltre che rotta, senza un pezzo: quello dei Verdi, i quali hanno deciso di sfilarsi e non votare il pacchetto la prossima settimana. Infatti fino a mercoledì sera sono girate lettere bollenti tra socialisti, Renew e i sinistri di Left. Primo aspetto: il continuo attacco da parte del Pd nei confronti di Fitto. Attacco che nemmeno l’intervento di Sergio Mattarella è riuscito a far rientrare. Nella lettera inviata dal gruppo S&D e Renew alla Commissione si legge espressamente la condanna della scelta del nostro ministro nel ruolo di vice esecutivo. The Left si è spinta, sempre per attaccare Fitto, a definire il processo di valutazione dei commissari una farsa. Risultato? Il Pd ha confermato la propria posizione anti Italia pur non riuscendo a sbloccare in nessuna direzione l’impasse. Blocco che alla fine si è superato con l’intervento dell’altra gamba, quella del Ppe. Che a sua volta ha chiesto di far approvare una clausola per costringere la spagnola Ribera alle dimissioni in caso di accuse formali della giustizia iberica sulla gestione dell’alluvione di Valencia.
Nella prima metà di mercoledì, infatti, a Bruxelles gli occhi sono stati tutti rivolti al parlamento di Madrid, teatro dell’audizione della verità per Ribera. Accusata dal Partido popular di essere «una ministra in fuga» davanti ai fatti. La vicepremier si è difesa strenuamente, assicurando di aver lavorato «dal primo minuto per risolvere i bisogni e le urgenze» e rispendendo le accuse di malagestione al mittente. Poi un messaggio sul futuro: «La risposta al cambiamento climatico non è fanatismo». Argomentazioni che hanno irritato ancora di più gli oppositori di centrodestra, portando l’intera famiglia del Ppe a chiedere la clausola di salvaguardia. Insomma, fuoco alle polveri. Fino alle 23. Poi la pace. Svelando il vuoto sotto le trattative.
A dividere i gruppi e i partiti, nessuna questione tematica. Nessuna posizione di critica alle basi della politica industriale, al futuro del commercio Ue o alla possibilità di trovare percorsi congiunti di politica estera. Nulla. Solo una contrapposizione di poltrone che alla fine si è sciolta di fronte al timore di far cadere tutto l’impianto e quindi far naufragare la Commissione. Ahimè, nulla divide veramente i partiti europei se non il fatto che sono divisi su tutto, lasciando un profondo amaro in bocca ai cittadini che li hanno votati. Dimostrando che il castello resta costruito sulla sabbia.
Mentre negli Usa Donald Trump ha già quasi finito la sua squadra in vista di gennaio, a Bruxelles si inizierà a lavorare dopo Natale. In pratica sei mesi di politica politicante. Con il risultato che da subito ci troveremo in una situazione simile a quella dell’ultimo anno e mezzo dell’Ursula bis. Con un pizzico di peggioramento. Da un lato in Parlamento la maggioranza della presidente tedesca è già franata. Tanto più che, con la novità di ieri, i Verdi sono fuori. A votare la Commissione il 27 ci sarà ovviamente in toto Ecr con Fratelli d’Italia. Ma dopo si giocherà un’altra partita.
I dossier ambientali che la Ribera porterà avanti non troveranno certo il sostegno di Ecr e quasi sicuramente nemmeno del Ppe. Le altre destre si opporranno. I Verdi faranno ripicche. Con il risultato che il Parlamento sarà in costante frizione con la Commissione e a quel punto la palla passerà al Consiglio. E qui viene da chiedersi perché in questa tornata non ci dovrebbero essere i veti incrociati che hanno caratterizzato le precedenti legislature. Dentro questo scenario, unica a vincere è Ecr. «La nomina di Fitto è una vittoria di tutti gli italiani, non del governo o di una forza politica», ha esultato la premier Giorgia Meloni, rivendicando «la centralità del Paese ottenuta con la vicepresidenza. Parole a cui ha fatto eco il vicepremier Antonio Tajani, che ha subito rivolto i suoi auguri di buon lavoro al collega di governo, nella convinzione che «saprà valorizzare al meglio il contributo dell’Italia nella governance europea». Dal centro delle trattative serali Denis Nesci in commissione Regi ha detto l’ultima sentenza sulle mosse socialiste: «Ancora una volta i socialisti e quindi il Pd volevano mettersi di traverso sulla vicepresidenza, dopo aver palesato un accordo si sono ritrovati a insistere nel voler mettere in discussione l’importante risultato politico che la Meloni aveva raggiunto per l’Italia», ha proseguito al microfono della Verità: «Il capolavoro politico di Meloni è utile al nostro Paese ma anche all’intera Europa».
Al di là della vittoria politica di Fdi, resta però da capire se veramente un Trilogo così frammentato sarà in grado di affrontare l’ondata Trump. I prossimi mesi serviranno agli Usa per mettere a terra l’agenda delle priorità e degli investimenti in Europa, in Sudamerica, in Africa e in Asia. A noi in quanto Europa e Italia (per quanto riguarda gli accordi bilaterali) toccherà muoversi velocemente. Inserirsi nelle opportunità o fare fronte ad attacchi a specifici settori manifatturieri. Il mondo cambia velocemente e la nostra Commissione arranca prima di partire. Bene che l’Italia si posizioni in un punto di vantaggio dentro l’Ue. Ma il resto del mondo è tutt’altra partita.