È una situazione complessa quella che riguarda il quadro politico in vista delle elezioni di metà mandato che si terranno il prossimo novembre.
Secondo le rilevazioni del sito FiveThirtyEight, i democratici sarebbero lievemente in vantaggio (44,03% contro 44,01%). In particolare, stando alla medesima rilevazione, il (relativo) declino dei repubblicani sarebbe iniziato dallo scorso giugno. Secondo alcuni analisti, la ragione di questa situazione sarebbe da ricercarsi principalmente nella sentenza della Corte suprema che ha annullato Roe v Wade, riassegnando le decisioni in materia di aborto ai singoli parlamenti statali. Ciò, secondo tale interpretazione, starebbe avvantaggiando l’Asinello. Ora, che la sentenza possa avere degli impatti sulla campagna elettorale è senz’altro vero: tanto più che, a livello di consenso, la sentenza della Corte suprema risulta oggi significativamente impopolare. Bisogna tuttavia andare con i piedi di piombo prima di arrivare a conclusioni affrettate.
In primo luogo, la storia mostra che le elezioni di metà mandato vengono sovente decise da questioni come l’economia e l’immigrazione clandestina: due fattori rispetto a cui oggi il Partito democratico appare debolissimo. Non solo l’amministrazione Biden non riesce a contrastare la crisi migratoria al confine meridionale con il Messico, ma si registra attualmente la più alta inflazione da quarant’anni a questa parte. Bisognerà inoltre capire quale sarà l’impatto della recente perquisizione, condotta la scorsa settimana dall’Fbi all’interno della villa di Donald Trump in Florida. Un fattore che sembra stia ricompattando il Partito repubblicano e che potrebbe essere cavalcato dall’ex presidente con efficacia: un ex presidente che, tra l'altro, sembrerebbe molto vicino ad annunciare una ricandidatura per il 2024.
In secondo luogo, va ricordato che le rilevazioni di FiveThirtyEight fanno riferimento alle intenzioni generiche dell’elettore: si tratta quindi di un dato da prendere con le pinze, visto che le elezioni di metà mandato presentano una dimensione fortemente locale. In terzo luogo, è bene sottolineare che il Partito democratico americano si è significativamente spostato a sinistra negli ultimi due anni: un fattore che ha irritato una quota non indifferente di elettori. Sotto questo aspetto, è senza dubbio interessante quanto avvenuto alle elezioni governatoriali in Virginia lo scorso novembre, dove – contrariamente alle previsioni di molti – i repubblicani sono riusciti a vincere, facendo leva sulla deriva radicale dem (a partire dallo spinoso tema dell’indottrinamento scolastico).
Va da sé che, per ottenere una vittoria significativa, i repubblicani dovrebbero riconquistare la maggioranza in entrambi i rami del Congresso: il che è tutt’altro che impossibile, ma neanche eccessivamente probabile. La situazione è tuttavia ben peggiore per Joe Biden. Il presidente americano è in difficoltà già oggi che ha teoricamente la maggioranza nelle due camere: qualora ne perdesse anche soltanto una, per lui si profilerebbe un incubo, in quanto la sua condizione di anatra zoppa risulterebbe definitivamente certificata. Se perdesse il Senato, Biden non avrebbe più la possibilità di ottenere la ratifica delle sue nomine. Se perdesse la Camera, rischierebbe di ritrovarsi a dover affrontare un processo di impeachment. Un processo che – si badi bene – difficilmente si concluderebbe con una destituzione, ma che – come accaduto a Trump a cavallo tra il 2019 e il 2020 – bloccherebbe l’agenda parlamentare dell’attuale inquilino della Casa Bianca per svariati mesi. Con (ulteriori) effetti disastrosi sulla sua già debole popolarità.