I giornalisti del comitato di liberazione nazionale sono già sul piede di guerra. Infatti, da settimane non passa giorno in cui i quotidiani italiani non si occupino del ciclone che rischia di abbattersi sulla fragile democrazia americana. Peggio di Katrina e di Harvey, due dei tornado che nel recente passato hanno sconvolto gli Stati Uniti, l’uragano che tiene in allarme gli osservatori della stampa di casa nostra si chiama Trump, 45esimo presidente degli Stati Uniti e candidato a diventare il 47esimo. I colleghi del Cln, che dagli avamposti delle redazioni vigilano per impedire il ritorno del fascismo, dopo aver momentaneamente accantonato le braccia tese di Acca Larenzia, hanno rivolto lo sguardo a Ovest, dove di là dall’Atlantico si intravede una tempesta che minaccia di essere la peggiore degli ultimi anni: il ritorno del Puzzone.
A mobilitare le truppe giornalistiche, con i loro taccuini e telefonini, è stata la sorprendente vittoria che l’ex presidente ha riportato nelle primarie in Iowa. I sondaggi lo davano in vantaggio, ma tallonato a pochi punti di distanza da Ron De Santis e Nikki Haley, giovani candidati repubblicani che piacciono molto alla gente che piace. Invece, il caucus si è concluso con Trump che ha doppiato gli avversari, registrando un vantaggio di oltre 30 punti. Una disfatta per chiunque si era augurato la fine del trumpismo e soprattutto di Trump. Per consolarsi, i commentatori dei giornaloni hanno spiegato ai propri lettori che nello Stato del Midwest, coperto di neve e con temperature artiche, è andata a votare solo una sparuta minoranza e poi, da sempre, l’Iowa è popolato da gente rozza, che in fatto di promesse è di bocca buona. Alla base del successo dell’ex presidente ci sarebbero dunque dei contadini ignoranti e per giunta pure integralisti e cristiani. Il peggio insomma. E per riprendersi dalla batosta basterà aspettare il voto del New Hampshire, uno degli stati più ricchi e istruiti d’America, segnalato dai sondaggi come il posto «meno religioso degli Usa».
Per ora, le rilevazioni danno Trump anche sul fronte orientale, ma vedremo presto ciò che accadrà. Nel frattempo, mi corre l’obbligo di segnalare agli allarmati speciali delle nostre redazioni il discorso fatto mercoledì da Jamie Dimon a Davos. Vi state chiedendo chi sia costui? Beh, credo di non sbagliare definendolo il banchiere americano più influente che ci sia, oltre che uno dei più ricchi. Da quasi vent’anni guida Jp Morgan, la banca d’affari dei governi, nel senso che è uno degli istituti più attivi nel costruire operazioni finanziarie per gli Stati. Per vostra informazione, da sempre il cuore di Dimon batte più a sinistra che a destra. Infatti, è tra i finanziatori del Partito democratico e ai tempi della presidenza di Barack Obama si era parlato di lui come possibile segretario al Tesoro e qualcuno addirittura ha pensato a lui come possibile candidato alla Casa Bianca.
Tutto ciò non ha però impedito al numero uno di JpMorgan di dire l’altroieri le seguenti cose. Primo. Gli osservatori e gli opinionisti farebbero bene a evitare di considerare dei sempliciotti coloro che ripetono lo slogan di Trump (Maga, make american great again, facciamo l’America di nuovo grande). Secondo. Siamo onesti: Trump aveva ragione riguardo alla Nato, aveva ragione riguardo all’immigrazione. Aveva ragione riguardo alla Cina. Non mi piace come ha parlato del Messico, ma non aveva torto su tali questioni cruciali. Ha fatto crescere l’economia abbastanza bene e la sua riforma fiscale ha funzionato. Terzo. È per questo, per ciò che ho appena elencato, che le persone votano per lui e penso che i democratici dovrebbero essere un po’ più rispettosi nei confronti dell’elettorato di Trump. Voglio dire: dovremmo fermarci, crescere e trattare queste persone con rispetto, ascoltandole un po’. Quarto. Penso che i discorsi negativi su chi segue gli slogan di Trump danneggeranno l’elettorato di Biden.
Non so come la pensino i colleghi di liberazione nazionale che ogni giorno vigilano sugli attacchi alla democrazia da parte di Trump, ma il discorso di Dimon mi è parso più chiaro ed efficace dei molti editoriali pubblicati in questi giorni sul successo nell’Iowa di colui che è considerato il male assoluto. Dall’alto della sua posizione, il più grande banchiere d’affari del pianeta vede le cose che tanti inviati dal loro comodo ufficio newyorchese o romano non vedono. Se Trump è popolare, è perché parla una lingua che gli americani capiscono. Chi non capisce sono semmai i giornalisti, i quali sono chiusi con i loro pregiudizi in redazioni trasformate in bunker di un’ideologia politicamente corretta.