Doge sta per dipartimento dell’efficienza del governo. Doge è anche il nome della criptovaluta coniata da Elon Musk. Per la precisione si chiama Dogecoin, ma l’assonanza, in quello che i media chiamano già il progetto Manattan del nuovo millennio, è qualcosa più che una semplice coincidenza. È un simbolo. Rischia di essere una traccia di quello che in concreto ha in mente di fare Musk con l’ok del futuro presidente Donald Trump. Ieri, il visionario di origine sudafricana ha ricevuto ufficialmente l’incarico di coordinare assieme all’imprenditore Vivek Ramaswamy questo nuovo dipartimento che si occuperà di tagli ai costi, alla burocrazia e maggiore efficienza delle agenzie federali. Chi in queste ore ironizza con la battuta «allora Musk sarà il Cottarelli d’Oltreoceano» non ha ben compreso quanto sia vasto l’incarico affidatogli e quanto potrà impattare sull’infrastruttura stessa della democrazia americana. E non necessariamente in bene. La figura di Musk in queste ore ricorda un po’ quella del generale Leslie Groves, passato appunto alla storia per il progetto Manhattan e la costruzione della prima bomba atomica. Groves in realtà ha fatto molto altro, è stato il vero innovatore delle infrastrutture militari civili. È stato colui che per primo ha saputo fondere politica, università e Difesa. Una sorta di antesignano delle tecnologie duali. E l’incarico affidato a Musk, permetterà, se portato a termine, di rivoluzionare l’infrastruttura digitale degli Stati Uniti. E lanciare anche il grande piano di trasformazione degli Usa in un porto sicuro per i Bitcoin, la più famosa delle criptovalute. E in ballo non c’è solo il potenziale conflitto di interessi con la propria valuta (il Dogecoin) ma con l’intera struttura di trattamento dati sottostante che andrà dalle più terrestri blockchain fino alla rete di dati satellitari. Come annunciato da Trump in diverse occasioni, la prossima amministrazione mira a istituire un «Bitcoin e crypto presidential advisory council». Questo comitato consultivo lavorerebbe a fianco delle agenzie federali, assicurando che le politiche siano in linea con la visione di Trump di supportare l’ecosistema delle criptovalute a livello nazionale e internazionale. In un’ulteriore mossa per consolidare le radici nazionali del mercato delle criptovalute, i piani di Trump prevedono il rafforzamento dell’industria mineraria statunitense di Bitcoin per garantire che Bitcoin sia «estratto, coniato e prodotto negli Stati Uniti». Perché? Innanzitutto defiscalizzando le monete virtuali si spingerebbero i grandi fondi a investire nel comparto e quindi negli Usa. Inoltre si creerebbe una nuova camera di compensazione anti inflattiva in mano al Tesoro e, infine, Trump potrebbe dare una grande spinta alla finanza decentralizzata. Un modo per dire ai suoi elettori che possono possedere direttamente le loro monete. Nella testa di Musk-Trump la spinta alle cripto aiuterebbe anche il mercato immobiliare e l’afflusso di ingenti capitali da Paesi stranieri. Non sappiamo se le previsioni siano corrette. Per mettere a terra un progetto del genere però servirà rivedere enti come la Sec. Ed è proprio qui che entra in gioco il Doge, inteso come dipartimento. Non solo. Per realizzare le infrastrutture digitali del piano Bitcoin serve anche un progetto Manhattan. Che non realizzerà la bomba atomica, ma un’altra bomba. La vera rivoluzione digitale e il passaggio di tutta la burocrazia e la pubblica amministrazione sui canali digitali tracciati e certificati. Stendendo l’autostrada delle blockchain si realizzerebbe l’efficientamento burocratico invocato da Trump. Ma anche il controllo ferreo della filiera. L’approccio di Trump richiederebbe un investimento sostanziale nella sicurezza informatica per proteggere sia le riserve di Bitcoin detenute dal governo sia le partecipazioni private. Ciò implica la collaborazione con aziende tecnologiche specializzate nella sicurezza blockchain, come Chainalysis e CipherTrace, per sviluppare protocolli che garantiscano l’integrità delle transazioni crittografiche e proteggano gli utenti da attori malintenzionati. Gli esperti della Cybersecurity and infrastructure security agency (Cisa) sottolineano la necessità di un modello di sicurezza a strati che sfrutti l’immutabilità intrinseca della blockchain, introducendo al contempo misure di sicurezza aggiuntive, come i portafogli multi-firma per le riserve di Bitcoin. L’amministrazione Biden aveva precedentemente avviato programmi pilota per testare l’applicazione della blockchain per la gestione sicura dei dati e le politiche di Trump potrebbero espandere ulteriormente questi programmi, stabilendo potenzialmente standard per la sicurezza delle risorse digitali su scala nazionale. E forse anche internazionale. È chiaro che la tracciabilità garantisce sicurezza ma anche controllo dei dati e delle persone che nel frattempo sono diventate identità digitali.
Musk è un visionario. Ha preso dal nonno che quasi 100 anni fa fece la prima trasvolata dal Sudafrica per raggiungere l’Australia. Come tutti i visionari, non è un padre fondatore. Difficile immaginare che crei dei contrappesi alla sua rivoluzione. Qualcosa che limiti la spinta verso il digitale e regoli l’influenza sulla vita delle persone. E non perché domani il valore dei Dogecoin possa decuplicare, il conflitto di interessi sta nella filosofia sottostante. Chi controllerà i controllori in un mondo supervisionato, controllato e vivisezionato da 42.000 satelliti che forniranno dati al Pentagono ma non sono il Pentagono? Perché sono di proprietà di Musk, lo stesso a cui oggi si chiede di riformare la macchina della pubblica amministrazione.