Ho conosciuto persone che hanno percorso la via crucis giudiziaria fino in fondo, sopportando mesi di carcerazione preliminare e altri mesi di detenzione domiciliare, pur di ottenere l’assoluzione dalle accuse che venivano loro rivolte. Ne ho conosciuti altre che invece, per ragioni personali, pur dichiarandosi innocenti hanno accettato di patteggiare per porre termine a un supplizio che rischiava di terremotare la loro vita. Non conosco le ragioni per cui Giovanni Toti ha deciso di accordarsi con la Procura, negoziando una pena di due anni di carcere (la cui esecuzione sarà sospesa) e 1.500 ore ai servizi sociali (che a occhio e croce lo terranno occupato per 12 mesi). Molto probabilmente la decisione è stata dettata dalla volontà di non rimanere appeso a un processo che, con i tempi della giustizia, può durare anni, lasciandoti in un limbo. Invece, con il patteggiamento, l’ex governatore della Liguria tornerà libero di decidere il proprio destino, ovvero di ripartire dal mestiere che faceva prima di fare politica, cioè il giornalista, o di dedicarsi ad altro. Siccome so che gli avvocati costano e tra primo, secondo grado e Cassazione, può succedere di tutto, anche di vedere condanne che non stanno in piedi, immagino che Toti abbia scelto la via più breve e certa: farla finita con le accuse, accettando una pena decurtata pur di voltare pagina.
Ovviamente io non mi permetto di giudicare la scelta, perché non conosco, anche se credo di intuirle, le motivazioni. Tuttavia, posso dire che la decisione rappresenta una doccia fredda per l’intero centrodestra, che dopo il suo arresto non solo ha fatto quadrato intorno all’ex governatore, ma nelle prossime settimane si prepara a una sfida elettorale non facilissima. Per quanto l’accordo con i pm (e che il gup deve ancora validare) non sia un’ammissione di colpa, è evidente che la sinistra lo userà in campagna elettorale come se lo fosse. Andrea Orlando, candidato dell’attuale opposizione, sventolerà la decisione di patteggiare come il fallimento di anni di gestione targati centrodestra, rimproverando all’ex governatore e alla classe politica da cui proviene i rapporti disinvolti con gli imprenditori del porto. Toti a quanto pare doveva decidere se uscire dal processo con un accordo entro il 15 settembre, perché l’offerta della Procura era a termine. Però la scelta di comunicare il patteggiamento a poche settimane dal voto, per di più dopo la ricerca sofferta di un candidato, rischia di avere effetti nefasti per la parte politica a cui appartiene lo stesso Toti. Dopo mesi di incertezza, determinati anche dalla decisione dello stesso ex governatore di resistere e non dimettersi, i partiti della coalizione dell’attuale maggioranza erano riusciti, non senza fatica, a convincere Marco Bucci a scendere in campo. Quella del sindaco di Genova non è stata una scelta facile. Non tanto per Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, ma per lui che, come ha confessato in un’intervista, ha un tumore con metastasi. Il suo sacrificio, il sacrificio di un uomo senza partito, che si ritiene un civil servant ed è disposto a impegnarsi per la sua regione, rischia di essere inutile se il marchio della corruzione, per quanto impropria, dell’ex governatore sarà usato in campagna elettorale.
È inutile girarci intorno: gli alleati di Toti, ieri erano furibondi e sconcertati, perché nessuno di loro sapeva della decisione che si stava apparecchiando, ma l’hanno appresa a cose fatte o per lo meno così dicono. Nonostante il nome di Bucci legato alla ricostruzione del ponte Morandi (era il commissario straordinario), la sfida per il centrodestra rischia di essere in salita dopo il patteggiamento. E per quanto l’attuale sindaco sia l’emblema del riscatto di una città e di una regione, anche per via del fatto che la realizzazione della diga del porto di Genova è a lui affidata, il patteggiamento dell’ex governatore resterà il convitato di pietra della campagna elettorale.
So bene che esiste anche un altro lato della medaglia: non si può domandare a Toti di fare il martire e di restare ostaggio della magistratura per anni, allo scopo di esibire una vittima dello strapotere delle Procure. Però si può chiedere alla politica di riflettere su un problema che ci trasciniamo da oltre 30 anni, ovvero l’uso politico della giustizia. Se non si può domandare a un amministratore di sacrificarsi, si può chiedere a chi ci guida di sciogliere un intreccio tra giudici e sinistra che rischia di strangolare il Paese, sottraendo ogni volta agli italiani il diritto di essere guidati da chi hanno scelto.