Messi alle strette, nemmeno i super esperti si dicono favorevoli a vaccinare i più piccoli contro il Covid e dichiarano di non essere in grado valutare i rischi che potrebbero derivare dall’iniezione. Succede in Germania, dove il presidente della commissione del Robert Koch Institute, Thomas Mertens, ha spiegato che sulla base dei dati attualmente disponibili non vaccinerebbe i propri figli. Secondo la Faz, uno dei principali e più autorevoli quotidiani della Germania, per il capo della commissione che si occupa di farmaci anti Covid, oltre agli studi per l’autorizzazione «non ci sono dati di alcun tipo» sulla compatibilità del vaccino nella fascia fra i 5 e gli 11 anni. E «le attuali pubblicazioni mostrano che non sono possibili dichiarazioni sui danni di lungo corso». Non solo: sempre in Germania, uno studio rivela che il tasso di mortalità da Covid nei bambini fra i 5 e gli 11 anni non si può stimare a causa dell’assenza di casi fra i minori che non siano affetti da altre patologie. La ricerca, pubblicata in anteprima sul sito Medrxiv, ha concluso proprio così: calcolare un’analisi del rischio affidabile è «impossibile», perché non ci sono decorsi gravi o decessi senza altre patologie. In pratica, non c’è alcuna seria ragione per vaccinare i bambini, in quanto i rischi possono essere superiori ai benefici. Lo dice anche la società tedesca di pediatria, congiuntamente a quella di infettivologia pediatrica e all’associazione dei pediatri, che da un lato precisano che il tasso di malattia grave tra i bambini è minimo e dall’altro raccomandano la vaccinazione solo per i minori con malattie croniche o rischi particolari.
Tuttavia, i talebani del vaccino non vedono l’ora di fare prima e seconda dose ai più piccoli, dopo che l’Ema e l’Aifa hanno dato il via libera alla vaccinazione nella fascia fra i 5 e gli 11 anni, considerandola a rischio di contagio e ignorando gli inviti alla precauzione che provengono da più parti a causa dell’aumento di infiammazioni cardiache post iniezione. Pur non essendoci alcuna emergenza, né l’esistenza di un pericolo concreto, l’agenzia del farmaco europea, seguita subito dopo da quella italiana, ha deciso di accodarsi all’americana Food and drugs administration, anche se quest’ultima, nell’autorizzazione concessa settimane fa, ha riconosciuto proprio ciò che denuncia l’esperto tedesco Mertens, ossia che per verificare eventuali effetti avversi ci vorrà tempo e che lo si farà nei prossimi cinque anni, cioè quando le reazioni collaterali potranno essere testate su un campione sufficientemente significativo di minori. In pratica, vuol dire che i test si faranno a posteriori, a vaccino già iniettato. La singolare decisione ha spinto Michael Kurilla, che dirige la divisione clinica del National Institutes of Health, equivalente statunitense del nostro Istituto superiore di sanità, a non votare a favore dell’autorizzazione alla commercializzazione del farmaco, ritenendo che per i bambini «sani» l’equilibrio rischi/benefici non sia chiaro in quanto, a fronte di un basso pericolo di ammalarsi seriamente di Covid, i minori hanno un rischio potenziale di reazioni gravi come le miocarditi. Anche se Kurilla è stato il solo ad astenersi, anche altri esponenti della Fda hanno manifestato le loro perplessità, tra questi Leslie Ball, ufficiale medico dell’agenzia americana, il quale ha dichiarato che l’ente regolatore non è stato in grado di determinare se ci fosse un impatto della vaccinazione sulla diffusione del virus. In pratica, uno dei membri della Food and drugs administration ha riconosciuto che non si sa se il vaccino sia davvero utile a fermare i contagi fra i bambini. James Hildreth, membro del comitato consultivo della Fda e preside del Meharry medical college di Nashville, pur avendo votato a favore dell’autorizzazione, ha svelato che la vaccinazione serve a proteggere gli adulti, non i più piccoli, «mentre dovrebbe essere il contrario». Ed Eric Rubi, sempre della Fda e professore di immunologia ad Harvard, secondo la rivista Time «ha votato con la coscienza pesante». Insomma, i dubbi ci sono e non si limitano alla Germania e agli Stati Uniti, dove pure la vaccinazione dei bambini è iniziata settimane fa. In Francia, la Società francese di pediatria, quella di patologia infettiva, insieme al Consiglio di pediatria, al gruppo di patologia pediatrica e all’associazione di pediatria ambulatoriale hanno emesso un comunicato in cui sostiene che vaccinare i minori di 12 anni «non è attualmente urgente».
Ma nonostante gli inviti alla precauzione in Italia, a parte pochi casi, quasi tutti gli esperti si stanno mobilitando per diffondere il nuovo verbo, instillando nei genitori il dubbio di non proteggere adeguatamente i propri figli dal contagio. E al messaggio dei virologi da salotto televisivo, i quali sembrano ignorare le cautele registrate altrove, si unisce una pressione sempre più forte, che impedisce ai più piccoli una vita normale. Lo dice la stessa Aifa, che invece di parlare dei vantaggi per la salute dei bambini, spiega l’autorizzazione a procedere con le iniezioni sui minori scrivendo che «tra i benefici c’è la possibilità di frequentare la scuola». Noi, fino a ieri, eravamo convinti che il diritto all’istruzione fosse garantito dalla Costituzione. Oggi abbiamo scoperto che è garantito dal vaccino. Rischi a parte.