Carlo De Benedetti (Imagoeconomica)
L’Ingegnere si dice assolto. Ma la gip: con me ammise, poi il processo «si addormentò».
L’indagine sul manager di Sogei (partner tecnologico del ministero dell’Economia e delle finanze) beccato mentre un imprenditore del settore digitale, il romano Massimo Rossi, gli consegnava una mazzetta potrebbe avere una genesi sorprendente. Infatti da mesi i pm Lorenzo Del Giudice e Gianfranco Gallo stavano indagando su un doppio filone d’inchiesta per un’ipotesi di corruzione tra privati che coinvolge alcuni manager della Tim, il colosso italiano delle telecomunicazioni. Una notizia che potrebbe spiazzare. Infatti da giorni i media raccontano che l’indagine ha puntato dritta sul progetto Starlink della SpaceX di Elon Musk, quello dei satelliti a bassa orbita da usare per le connessioni internet, un progetto che potrebbe mettere fuori gioco la fibra e di conseguenza avrebbe favorito chi sulla rete tradizionale aveva scommesso, a partire proprio da Tim e poi da Kkr, il fondo statunitense che dalla compagnia telefonica ha appena acquisito l’infrastruttura di rete fissa. Infatti la Procura, come detto, starebbe indagando anche sui manager di Tim.
Un’indagine trasversale, se si pensa che Starlink ha presentato contro Telecom Italia un esposto accusando l’azienda italiana di non aver rispettato le normative sulla condivisione dei dati dello spettro, provocando possibili interferenze e ritardi nei servizi offerti da Musk (Tim ha respinto l’accusa, definendola una ricostruzione parziale e affermando che è in corso un confronto).
Dunque Rossi, secondo gli inquirenti capitolini, non avrebbe provato a corrompere solo i manager di Sogei, ma ci avrebbe già provato con quelli di Tim per favorire gli affari delle aziende a lui riconducibili, da Digital value Spa a Iltaware srl a Ltd solutions Spa.
La corruzione tra privati è considerato un reato meno grave rispetto alla corruzione di funzionari pubblici ipotizzata nel procedimento sulla Sogei, ma è da quella prima ipotesi che sarebbe partita l’inchiesta.
L’indagine che coinvolge Tim si divide in due diversi filoni. Il primo è partito proprio dalla presunta attività di corruzione messa in moto da Rossi, che poi si sarebbe estesa a Sogei. A Piazzale Clodio i pubblici ministeri Del Giudice e Gallo avrebbero iscritto sul registro degli indagati almeno cinque tra manager e dipendenti di Tim, tutti impegnati in settori legati alla digitalizzazione delle comunicazioni. Sotto inchiesta dirigenti attivi in funzioni come Rete digitale, Procurement, Ingegneria e Vendite. Un paio di loro lavorerebbe a Noovle (la società di Tim che si occupa del settore cloud) e in Sparkle, l’azienda di Telecom che fornisce servizi di telecomunicazioni internazionali in Italia. Sotto inchiesta anche una donna.
Lo scenario, già ingarbugliato, si è ulteriormente complicato l’estate scorsa, quando Tim ha venduto la sua rete fissa (in un’operazione che varrebbe fino a 22 miliardi di euro) al fondo statunitense Kkr, mediante il conferimento in Fibercoop (società controllata al 58 per cento da Tim) del ramo d’azienda che comprende l’infrastruttura e le attività wholesale, e la successiva acquisizione dell’intero capitale di Fibercoop dalla Optics BidCo, società controllata da Kkr. L’organico di Tim è sceso quindi da 37.065 persone a 17.281. I nuovi assetti aziendali potrebbero rimescolare le carte anche nel procedimento giudiziario.
Ma veniamo al secondo filone che riguarda i dirigenti di Tim. Questo ha origine da uno stralcio proveniente dalla Procura di Milano a seguito di indagini svolte dal Gico della Guardia di finanza del capoluogo meneghino e vedrebbe coinvolta anche la società Ntt Data Italia Spa, multiutility delle comunicazioni che tra i suoi dipendenti annoverava Carmelo Miano, il ventiquattrenne hacker di Gela che è riuscito a penetrare i sistemi informatici di Procure, ministeri e aziende. Ma questa è un’altra storia.
Ntt data è partner di Tim in diverse commesse, dal monitoraggio delle condotte dell’acqua pubblica allo sviluppo della realtà virtuale con l’intelligenza artificiale, passando per varie iniziative formative. Alcune delle quali le due aziende le avrebbero messe in campo anche con Cisco, che è una delle aziende citate nel procedimento su Sogei, nel quale si ipotizza che alcune informazioni privilegiate da Cisco sarebbero state veicolate a beneficio di Rossi proprio in concomitanza con una delle gare finite sotto la lente degli inquirenti. Ma questa potrebbe essere solo una coincidenza.
Mentre le indagini sui dipendenti Tim sono andate avanti per mesi nel massimo riserbo, il filone su Sogei, nato probabilmente intercettando e pedinando Rossi, ha subito una brusca accelerazione perché, mentre gli investigatori del Nucleo valutario della Guardia di finanza intercettavano Paolino Iorio, il direttore generale dell’area business di Sogei (che con i pm si sarebbe difeso dicendo di non sapere come gli erano finiti in tasca quei soldi), hanno intuito che proprio la sera dell’arresto in flagranza Rossi era pronto a consegnare la mazzetta. Che si inserirebbe in una elargizione più ampia: gli investigatori parlano di circa 100.000 euro (ma ai dipendenti pubblici indagati, tra i quali un capitano di corvetta della Marina militare e un poliziotto distaccato al ministero dell’Interno, sarebbero stati offerti anche viaggi, prodotti hi-tech, abbonamenti allo stadio e capi griffati). La brusca accelerazione investigativa ha prodotto quindi l’ampia discovery sugli indagati, tra i quali c’è Andrea Stroppa, lo smanettone di Tor Pignattara, già punta di diamante «unofficial» della Bestia social di Matteo Renzi e autore delle ricerche anti Lega e Movimento 5 stelle presentate alla Leopolda (analisi che finirono, grazie ai contatti del Giglio magico, sul New York times e sul sito Buzzfeed, lo stesso dell’audio trappola del Metropol), oggi braccio operativo di Musk in Italia, tanto da accompagnare il magnate al primo incontro a Palazzo Chigi con Giorgia Meloni. Stroppa, che avrebbe avuto diversi contatti con Rossi, è sospettato di aver ricevuto un documento della Farnesina con «la valutazione del progetto finalizzato all’impiego con scopi militari prima e dual use dopo delle tecnologie satellitari fornite dall’azienda americana Space X». Uno dei capitoli centrali dell’inchiesta, sebbene, affermano gli inquirenti, ancora «in corso di evoluzione». La velina (che per il ministero degli Esteri non sarebbe un documento riservato, contenente un elenco di esigenze, come il numero di ambasciate e consolati da collegare al sistema Starlink, nel caso in cui il progetto fosse proseguito) sarebbe finita prima nelle mani di un ufficiale della Marina militare, Antonio Angelo Masala, capitano di fregata distaccato allo Stato maggiore della Difesa, e poi, sospettano gli inquirenti, a Stroppa. Che ha subito gridato al complotto: «Vogliono fermarci». Ieri Musk sulla piattaforma social di sua proprietà, «X», lo ha invitato a «non mollare mai». D’altra parte, al centro della questione c’è in ballo la posta miliardaria del Pnrr sulla digitalizzazione che viaggia in ritardo. Starlink promette la connessione in pochi mesi e a costi molto più contenuti rispetto alla fibra. Al momento della discovery dell’indagine su Sogei e Stroppa, lo scenario sembrava aver creato un grosso ostacolo nell’affare Starlink. Nessuno poteva immaginare che l’indagine fosse intrecciata con quella sui manager di Tim.