Il trucco: stesso prezzo, prodotto più piccolo. Occhio alle aziende che nascondono i rincari
In Italia arriva la shrinkflation: meno prodotto, prezzo uguale
Occhio a chi per nascondere i rincari vi svuota il carrello. Come? Non è definibile una truffa, ma un inganno sì. La chiamano shrinkflation - dalla fusione di to shrink (restringere) e inflation (carovita) - ed è una tecnica di marketing in base alla quale le aziende decidono di lasciare invariato il prezzo di un prodotto riducendone però la quantità. Stesso prezzo ma prodotto più piccolo, insomma.
GLI ESPOSTI DEL CODACONS
Una pratica diffusasi negli Usa che, a quanto pare, si è diffusa anche in Italia. Il Codacons non ci sta e nei giorni scorsi ha presentato un esposto all’Antitrust e a 104 Procure della Repubblica in tutta Italia. L’associazione ha chiesto di indagare per verificare se la shrinkflation possa costituire fattispecie penalmente rilevanti, dalla truffa alla pratica commerciale scorretta. In una nota il Codacons ha sottolineato che con questo «trucchetto» le aziende produttrici svuotano il carrello dei consumatori incrementando i loro guadagni. Secondo un’indagine dell’Istat i casi che sono stati registrati in mercati, rivendite e supermercati italiani sono stati oltre 7.300, riferisce il Codacons. I settori più colpiti dal fenomeno sono stati quelli di zuccheri, dolciumi, confetture, cioccolato e miele, combinando al calo delle quantità anche un leggero aumento dei prezzi. Mentre i settori del pane e dei cereali sono stati interessati dalla shrinkflation, senza aumenti dei prezzi.
COME FUNZIONA
La quantità sottratta può essere anche rilevante: ad esempio il dentifricio che passa da 100 ml a 70 ml, il detersivo per piatti da 1 litro a 900 ml, il riso da 1 kg a 700 grammi, la salsa di pomodoro da 1 litro a 650 ml. Stesso discorso per i fazzoletti da naso (da 10 a pacco sono diventati 9) e la carta igienica (da 250 strappi a 230 strappi). Tanto, chi se ne accorge? Solo i consumatori più accorti e pazienti, che controllano non solo il prezzo finale ma anche il prezzo al kg.
La shrinkflation non è fenomeno nuovo (da anni gli economisti le attribuscono un ruolo nell’inflazione zero che da lungo tempo caratterizza l’economia giapponese) ma, essendo un modo efficace di nascondere i rincari agli occhi del consumatore, è normale che prenda più piede in periodi di alta inflazione come l’attuale, con il carovita che in Italia ha raggiunto il 5,7%, in Eurozona il 7,5% e negli Stati Uniti addirittura il 7,9%, il massimo da 40 anni a questa parte. Il trucchetto, d’altronde consente alle aziende di ripristinare in parte i margini erosi dall’esplosione dei costi di produzione per i rincari di energia e materie prime minimizzando il rischio che il cliente, altrimenti spaventato dal rincaro del prezzo di listino, si rivolga altrove.
GLI ESEMPI AMERICANI
Non è un caso che da qualche tempo su internet si siano moltiplicate le segnalazioni degli utenti, soprattutto negli Stati Uniti. Dove per esempio in un sacchetto di Dorito, amate patatine di mais che la Frito Lay vende negli Usa dal lontano 1964, da qualche giorno vengono messe cinque chips in meno. Allo stesso modo un flacone Dove ha perso qualche millilitro di sapone liquido. Oppure Gatorade, il marchio di bevande sportive di PepsiCo, ha recentemente sostituito la bottiglia da 32 once con una da 28 mantenendo lo stesso prezzo: l’equivalente di un rincaro (nascosto) del 14%. Ancora: un rotolo di carta ingienica Cottonelle di recente è stato ridotto di 28 «strappi», mentre le catene alberghiere Hilton e Marriott hanno deciso di far diventare «opt in», ovvero attivabili su richiesta (e spesso a pagamento), alcuni servizi in camera che in precedenza erano compresi nel prezzo concordato per il soggiorno. Oppure DisneyWorld ha deciso di mettere a pagamento il servizio «salta-coda» prima usufruibile gratuitamente tramite una prenotazione via app. L’Ufficio statistico nazionale inglese segnala che negli ultimi cinque anni sono stati ridotti per dimensione o peso oltre 3.500 prodotti. Va ribadito: niente di illegale. Anche se qualche problema di tanto in tanto le aziende lo affrontano: nel 2021 McCormick, per esempio, ha pagato 2,5 milioni di dollari per evitare una controversia con i consumatori che avevano notato come l’azienda mettesse meno pepe nero nella confezione. E la Mondelez, colosso americano proprietario del marchio britannico Cadbury (secondo big dolciario al mondo), nel 2017 affrontò una causa per aver aumentato la distanza tra le punte del Toblerone: il risultato fu che la barretta tornò al formato originario.
«PER I CONSUMATORI»
Altre volte aziende e multinazionali hanno la faccia tosta di spacciare la shrinkflation per una pratica a favore del consumatore. La stessa Mondelez, per esempio, incalzata dalle associazioni dei consumatori americane, ha dichiarato che la decisione di ridurre le dimensioni dello snack Wispa risponde a una precisa «strategia proattiva per ridurre l’obesità», piaga che storicamente affligge la golosa popolazione degli States. Mentre Hyatt, altra nota catena di hotel, ha deciso di tagliare la dotazione gratuita di boccette di saponi e shampoo nei bagni delle proprie stanze e di incoraggiare l’uso per più giorni degli asciugamani con l’obiettivo di contribuire «a ridurre l’impronta carbonica» del gigante dell’accoglienza alberghiera.
Altro esempio; nel 2012, in occasione del lancio dell’iPhone 12, Apple comunicò di non voler più integrare un caricabatterie nelle confezioni dell’iPhone, giustificando la decisione con la volontà di ridurre l’impatto ambientale e secondo i dati diffusi dal DailyMail questa operazione ha consentito al gigante tecnologico di Cupertino di ridurre i costi di 6 miliardi di dollari in due anni. Attenzione all’ambiente ma anche ai margini, dunque. Va detto che la shrinkflation il più delle volte riesce sì a ingannare il consumatore, il quale però alla lunga evidentemente di qualche cosa si accorge, se è vero che negli Stati Uniti gli indici di soddisfazione dei consumatori sono caduti ai livelli più bassi degli ultimi 15-20 anni.
I PRECEDENTI IN ITALIA
In passato le aziende italiane hanno dimostrato di non disdegnare la pratica della shrinkflation, anzi. Una dettagliata analisi dell’Istat segnala che tra il 2012 e il 2017 ogni mese tra i 100 e i 200 prodotti e servizi sono stati «alleggeriti» mantenendo invariato il cartellino del prezzo. Nel biennio 2018-2019 si è scesi in media a 50-100 prodotti interessati dal fenomeno. Nel 2020-2021 la shrinkflation è quasi scomparsa, interessando solo poche decine di prodotti e servizi al mese, ma c’è una spiegazione: si era in pieno Covid e le aziende in quei due anni hanno limitato gli investimenti all’indispensabile, rinunciando dunque anche alla spesa necessaria per adeguare le linee di produzione ai nuovi formati più piccoli. Si può citare anche un caso che fece rumore nel 2015, quando tre operatori di telecomunicazioni mobili passarono dalla tariffazione mensile a quella a quattro settimane, mantenendo inalterato il prezzo, con il risultato che l’utente ogni 12 mesi si trovava di fatto a pagare una mensilità in più. Intervenne l’Antitrust, che costrinse gli operatori tlc coinvolti ad adeguare il listino prezzi e/o a essere più trasparenti nella comunicazione agli utenti.
COME DIFENDERSI
Quali difese dunque per il consumatore di fronte alla subdola shrinkflation? Poche, se non andare al supermercato armati di santa pazienza e controllare le etichette facendo attenzione al prezzo al kg. E semmai, specialmente nel caso degli alimentari, privilegiare l’acquisto di prodotti sfusi rispetto a quelli confezionati. Che possono riservare una piccola amara sorpresa.