Gli stipendi non crescono, però il segretario della Cgil se ne frega: lui fa politica. Nelle piazze semivuote grida che «c’è una svolta autoritaria» e che vuole «rivoltare l’Italia come un guanto». I lavoratori non lo seguono ma qualche facinoroso che ne approfitta si trova. A Torino treni bloccati, scontri con la polizia, bombe carta, foto bruciate. E per l’ex capo della Fiom questo è «un successo».
Diciamoci la verità: se fosse vero che in Italia stiamo procedendo verso una «svolta autoritaria», come sostiene ai suoi comizi Maurizio Landini, a quest’ora il segretario della Cgil sarebbe già stato portato via o per lo meno imbavagliato. E invece ogni giorno il sindacalista parla e straparla. Sta sempre in tv e quando non è intervistato da qualche giornalista sproloquia da un palco, invocando una rivolta sociale contro il governo. Di tanto attivismo politico si colgono gli straordinari risultati: l’Italia è il Paese in cui i salari negli ultimi anni sono cresciuti meno. Dal 1991 a oggi dell’1%, contro il 32,5 degli altri Paesi Ocse. E accorciando il periodo agli ultimi vent’anni, quelli in cui Landini ha calcato le scene, prima da segretario della Fiom
e poi da capo della Confederazione generale italiana del lavoro, non si può dire che sia andata meglio. Siccome il suo mestiere non è fare il politico ma difendere gli interessi dei lavoratori, sostenere che da sindacalista sia stato una iattura per operai e impiegati non è dunque un’esagerazione, ma una semplice constatazione.
Tuttavia, nonostante abbia al suo attivo un certo numero di battaglie perse, Landini continua a imperversare. È di ieri l’ultimo sciopero generale con cui ha chiamato a raccolta le masse, le quali a loro volta hanno fatto orecchio da mercante, ignorando l’invito a incrociare le braccia contro il governo.
Da quel che si capisce, la protesta non dovrebbe discostarsi molto dall’ultima, quella indetta a «tutela» di medici e infermieri, che si è risolta con percentuali di adesione omeopatiche. Secondo il segretario della Cgil, stavolta al suo appello avrebbero risposto in mezzo milione, per lo meno in piazza, ma osservando l’andamento dei servizi in gran parte delle città, è difficile credere a una partecipazione di massa allo sciopero. Treni e autobus, fabbriche e uffici ieri hanno infatti continuato a funzionare, ignorando l’appello e le preoccupazioni di Landini per la presunta svolta autoritaria.
Del resto, i lavoratori sono da capire. Da quando Giorgia Meloni è diventata premier, al segretario della Cgil scappa di minacciare uno sciopero generale almeno una volta alla settimana. Se prima invitava a incrociare le braccia con il contagocce, forse perché negli ultimi anni i presidenti del Consiglio erano in massima parte di sinistra, da quando la leader di Fratelli d’Italia ha fatto il suo ingresso a Palazzo Chigi le proteste si moltiplicano. Il benvenuto alla prima donna a capo di un governo, Landini lo diede meno di due mesi dopo la vittoria elettorale, organizzando uno sciopero generale in prossimità del Natale, per protesta contro la legge di bilancio varata da Giorgia Meloni. Prima del voto, forse annusando l’aria, i sindacati della scuola facenti capo alla confederazione guidata da Landini pensarono bene di incrociare le braccia per il clima: non si sa se a scatenare la reazione sia stato il troppo freddo o il troppo caldo nelle aule, ma siccome abbiamo la sensazione che il surriscaldamento globale c’entri poco con le motivazioni dello sciopero, non conviene stare a perdere tempo per indagare.
Invece, conviene approfondire i continui appelli alla rivolta del leader del principale sindacato. Anche ieri infatti, Landini ha arringato i manifestanti definendosi un fondamentalista e invitando la folla a «rivoltare il Paese come un guanto», proposito che a chi per prima lo pronunciò, tal Camillo Davigo, non ha portato benissimo, visto che a essere rivoltato come un pedalino alla fine è stato lui. Tuttavia, l’arringa del segretario della Cgil con pressante invito alla rivolta, qualche effetto collaterale lo sta provocando. A forza di infiammare gli animi, succede, come è accaduto ieri a Torino, che gruppi di manifestanti blocchino la circolazione dei treni al grido di «Intifada, intifada» (che cosa c’entri Gaza con i salari dei lavoratori italiani non è dato sapere), lancino bombe carta, si scontrino con le forze dell’ordine e brucino le immagini di premier e vicepremier.
Landini tutto ciò lo presenta come un successone. Non so che cosa secondo lui sia un successo, però so con certezza che anche questo sciopero generale si concluderà come gli altri, ovvero con una perdita di stipendio per chi si è astenuto dal lavoro e null’altro. Anzi no, qualcos’altro c’è: la carriera di Landini per un suo prossimo salto in politica procede a meraviglia.
Così come altrettanto spedito avanza il clima incandescente sollecitato dal segretario della Cgil. Non siamo alla rivolta sociale, ma ci stiamo avvicinando in fretta, grazie ai centri sociali e agli arruffa-popolo rossi.