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Nonostante la sentenza degli Ermellini il giudice di Catania non convalida il fermo di un clandestino: «Egitto Paese non sicuro». La palla passerà alle Corti d’Appello ma per sbloccare l’Albania servirà il Consiglio Ue.
Proposito per l’anno nuovo: rimpatriare. È l’impegno che ha preso Giorgia Meloni, rilanciando il centro in Albania: l’11 gennaio, la nave Lybra riprenderà i trasbordi dei migranti verso l’altra sponda dell’Adriatico. E, giudici permettendo, avrà il vento della storia in poppa: l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, il 20, dovrebbe segnare l’inizio di una stagione di controlli ed espulsioni. Al punto che il presidente eletto è entrato già in rotta con l’Honduras: Tegucigalpa minaccia di mandare via i soldati americani di stanza nella repubblica centroamericana, se il tycoon caccerà dagli Usa gli irregolari.
L’aspetto più interessante, però, è che l’idea di rendere meno permeabili i confini, ormai, non è più un’esclusiva della destra. In tanti, a sinistra, hanno capito che, se non vogliono esse seppelliti dai fatti ostinati - il contributo degli immigrati al crimine, la resurrezione del terrorismo islamista - dovranno abbandonare la retorica umanitaria sui salvataggi e l’accoglienza. E mostrare il pugno duro.
Il 2025 del premier laburista britannico, Keir Starmer, si apre per esempio con la promessa di un giro di vite contro i clandestini e «le gang di trafficanti di esseri umani». Nel frattempo, la Commissione Ue, un cocktail al Cencelli di progressisti e conservatori, si è predisposta a varare una stretta. La promessa di Ursula von der Leyen è di anticipare a marzo l’aggiornamento delle regole per definire gli elenchi dei Paesi sicuri, battendo sul tempo qualunque verdetto della Corte di giustizia europea, che sta avallando un’interpretazione lassista della normativa comunitaria sull’immigrazione. Destinata, comunque, a morire proprio entro quest’anno: nel 2026 entrerà in vigore un regolamento diverso, che ammette esplicitamente la possibilità, fin qui esclusa dalle toghe del Lussemburgo, di considerare idoneo ai rimpatri uno Stato anche se alcune sue parti risultano a rischio.
L’altra novità è che, alla faccia di chi accusava i sovranisti di essere malati di semplificazione acuta, il loro messaggio adesso ha assorbito la sfida della cosiddetta complessità. Il progetto non è più la banale chiusura delle frontiere o la minaccia del blocco navale. Lo ha lasciato intendere lo stesso Trump: il punto sarà rivendicare il diritto di decidere chi entra e chi no, selezionando i migliori talenti anziché raccogliere spiantati e delinquenti. La Germania ci provò già ai tempi della prima crisi siriana, pur avendo rivestito il progetto di importare manodopera a basso costo con una nobilitante retorica umanitaria. Messo insieme il suo esercito industriale di riserva, coprì di soldi europei Recep Erdogan, affinché mettesse i sigilli all’itinerario balcanico.
Rispedire a casa gli stranieri che non hanno titolo per essere ricevuti; esaminare con più rigore le loro richieste d’asilo: sono i primi passi lungo la strada che dovrebbe condurci a scoraggiare sul serio le partenze. In primo luogo, nell’interesse degli stessi migranti. Ieri, un report dell’Unicef ha certificato che, nel 2024, vittime e dispersi nel Mediterraneo sono stati più di 2.200; solo sulla rotta del Mediterraneo centrale, cioè quella che coinvolge l’Italia a partire dalle coste nordafricane, i morti sono stati 1.700. L’ultima tragedia ha coinvolto due imbarcazioni salpate dalla Tunisia: 110 persone a bordo, 83 tratte in salvo, 27 cadaveri recuperati, compreso quello di un neonato. Ultimamente, i flutti stanno inghiottendo sempre più disperati anche sulla tratta per le Canarie. Ieri, ne sono spirati due sopra a un caicco con 71 anime dirette a Tenerife.
Dinanzi ai numeri imbarazzanti - secondo una Ong spagnola, lo scorso anno sono stati 10.400 i poveracci che, tentando di approdare in territorio iberico, sono annegati - i socialisti dell’esecutivo di Madrid incolpano il Partito popolare: «I migranti minori», ha detto il ministro competente, Ángel Victor Torres, «sono ammassati alle Canarie e a Ceuta» perché il centrodestra «non ha voluto appoggiare la redistribuzione al resto delle regioni». Il governatore dell’arcipelago, appoggiato dal Pp, accusa invece Pedro Sánchez di avergli scaricato la patata bollente.
Cortocircuiti si registrano intanto nella Spd tedesca: il vicepresidente del gruppo parlamentare, Dirk Wiese, ha contestato la Csu, la quale, in vista delle imminenti elezioni, propone permessi di soggiorno riservati agli immigrati che lavorano in Germania, poiché così essa «asseconda Alternative für Deutschland». Non è forse il contrario? Il babau dell’«ultradestra» è cresciuto a causa degli errori di Angela Merkel e dell’inerzia di Olaf Scholz. Il cancelliere uscente, peraltro, è quello che a settembre, dopo l’attentato di Solingen, ha sospeso Schengen e avviato ispezioni sugli ingressi.
Con l’aria che tira, predicare ancora confini spalancati è un esercizio anacronistico. Può permetterselo il Papa, che ieri di accoglienza ha discusso con Andrea Riccardi, della Comunità di Sant’Egidio. Oppure chi, come il Pd di Elly Schlein, non governa, non ha una piattaforma politica e si aggrappa all’opposizione giudiziaria. Ma è difficile che chi entra in guerra con la realtà, poi, riesca a vincerla.
Non solo The Donald, la svolta pro frontiere passa da Cassazione, Germania, Regno Unito e (forse) Ue. Ormai i danni dell’immigrazione incontrollata sono una realtà inesorabile in tutto l’Occidente. Chiudere le porte e mandare a casa clandestini e delinquenti diventa una scelta obbligata a destra e sinistra. A parte per chi non vuol vedere.