L’ad Oliver Zipse contro il rinvio: «Noi siamo pronti». Il gruppo punta a essere il primo in un mercato sempre più asfittico. Ieri nuovo sciopero Vw. Oggi tavolo con Adolfo Urso su Trasnova. Licenziamenti nell’indotto Maserati.
Matteo Salvini (Ansa)
Pronta la bozza del Milleproroghe. Prolungato di un anno il blocco delle sanzioni per chi ha rifiutato il vaccino.
Approvato il nuovo codice: patente sospesa e poi ritirata a chi è drogato. Obbligo di «alcolock» se il tasso alcolemico è elevato.
Nikita Mazepin (Getty images)
Il pilota Nikita Mazepin e il magnate Pavel Ezubov tolti dalla lista dei pro Mosca: un flop inutile contro Mosca ma dannoso per noi.
«Certo, sono euforico. Allo stesso tempo, mi chiedo a cosa sia servito tutto questo». Con queste parole, il pilota di Formula 1, Nikita Mazepin, ha commentato la sentenza con cui, dopo due anni, è stato escluso dal regime di sanzioni che l’Unione europea gli aveva imposto in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina. A causa di quelle restrizioni aveva perso il posto nella scuderia automobilistica Haas e questo nonostante non avesse avuto alcun contatto con il regime di Mosca. Era stato coinvolto nelle sanzioni, infatti, solo perché figlio dell’imprenditore russo Dmitry Mazepin. Una situazione che accomuna tante coinvolte solo per i propri legami di parentela.
Le misure restrittive verso i familiari dei sanzionati rimangono un aspetto particolarmente controverso dei provvedimenti che l’Unione europea ha adottato nei confronti della Russia. Spesso queste persone vengono private di beni e diritti senza che vi sia alcuna prova del loro coinvolgimento diretto nelle attività politiche o militari del Cremlino. Si tratta, quindi, di decisioni che rischiano di minare la credibilità delle istituzioni europee proprio per la loro debole legittimità giuridica.
Non a caso sono sempre più numerosi i casi di revoca delle sanzioni in seguito ai ricorsi delle persone colpite. Tra i casi più noti di «delisting», cioè di rimozione dalla lista dei sanzionati, c’è quello di Pavel Ezubov, imprenditore russo e cugino del magnate Oleg Deripaska. Ezubov era stato posto sotto sanzioni per via dei legami familiari con Deripaska, uno dei più influenti uomini d’affari dell’industria russa, ma senza prove sufficienti per dimostrare che detenesse il controllo delle società collegate a quest’ultimo. Analogamente, la Corte ha annullato le restrizioni contro Dmitry Ovsyannikov, ex governatore di Sebastopoli e successivamente viceministro dell’industria e del commercio della Federazione Russa. Le sanzioni erano state imposte per il suo sostegno alla politica russa in Crimea, ma il Consiglio non è stato in grado di dimostrare che, dopo le sue dimissioni da queste cariche, Ovsyannikov continuasse a mantenere legami con il governo russo.
Altri familiari, invece, sono ancora in attesa di essere rimossi dal regime sanzionatorio. Tra questi figura Gulbakhor Ismailova, sorella di Alisher Usmanov, noto miliardario russo di origine uzbeka. Queste misure restrittive impediscono alla Ismailova, ginecologa praticante, di recarsi in Europa anche per frequentare corsi di formazione che le avrebbero permesso di migliorare la sua pratica medica a beneficio di madri e bambini uzbeki. Il suo caso è particolarmente noto, ha infatti rinunciato a ogni beneficio economico anche futuro dal trust di famiglia e la sua permanenza nel regime di sanzioni è considerata priva di fondamenti giuridici negli ambienti diplomatici.
Nonostante l’obiettivo delle misure restrittive fosse l’isolamento della Russia e il conseguente indebolimento della capacità di finanziamento del conflitto, anche i risultati economici sono stati di gran lunga al di sotto delle aspettative. Le sanzioni non hanno determinato un cambio di rotta significativo nella politica estera russa né hanno portato a un esaurimento delle risorse economiche del Paese. Inoltre, dal punto di vista sociale l’impatto delle sanzioni si è rivelato particolarmente gravoso soprattutto per le fasce più deboli della popolazione. Invece, come riportato da Reuters, il governo russo incasserà per le esportazioni di petrolio quest’anno addirittura 13 miliardi di dollari in più rispetto all’anno precedente.
Le sanzioni rischiano di produrre un «effetto boomerang» anche per gli stessi Stati che le impongono. Secondo i dati Eurostat, nel 2022 la crisi energetica provocata dalle limitazioni alle forniture di gas e petrolio russo ha contribuito a un’inflazione record del 9,2% nell’Eurozona, con un aumento del 18% dei costi energetici rispetto all’anno precedente. Le ripercussioni economiche si sono registrate particolarmente nei settori agricoli e alimentari. In questo ambito, il blocco delle esportazioni ha innescato un rialzo di quasi il 12% nei prezzi dei prodotti alimentari, creando un problema di approvvigionamento alimentare in molte regioni, specialmente nel Mediterraneo. Il regime sanzionatorio introdotto da Bruxelles rappresenta, dunque, uno degli esempi più chiari delle difficoltà dell’Unione europea nel bilanciare gli interessi nazionali dei singoli Stati membri con la necessità di una risposta efficace e coordinata a livello internazionale.
Sebbene concepite come un mezzo per esercitare pressione economica e politica, le sanzioni si sono rivelate un’arma a doppio taglio, uno strumento più di ritorsione fine a sé stessa che di risoluzione delle cause profonde del conflitto. Oltre alle problematiche giuridiche, il loro fallimento nel raggiungere gli obiettivi strategici prefissati, insieme alle conseguenze sociali ed economiche negative che hanno colpito sia la popolazione russa che gli stessi Paesi europei, sollevano sempre maggiori interrogativi sul rapporto costi-benefici e, più in generale, sull’adeguatezza di questi strumenti. Azioni che appaiono sempre più l’espressione di un accanimento politico piuttosto che un reale tentativo di contribuire alla risoluzione della guerra.
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