Due anni fa, sotto il suo governo, a Melilla la polizia iberica aprì il fuoco su chi cercava di varcare i confini. Bilancio: 37 morti e 77 dispersi. Ora il socialista ha la spudoratezza di puntare il dito contro le nostre politiche.
Il buon senso, ancora prima dell’esperienza politica, dovrebbe insegnare che se si fa la morale agli altri bisogna prima sincerarsi di non avere scheletri nell’armadio, altrimenti si rischia di fare la figura dei fessi. Esattamente quella che ieri ha rimediato il premier spagnolo Pedro Sánchez. L’uomo è piuttosto noto: al vertice delle istituzioni dal 2018, capo di tre governi, segretario del Partito socialista operaio spagnolo e presidente dell’Internazionale socialista. Insomma, l’emblema della sinistra trionfante e a quanto pare anche un po’ piena di sé. Tanto che il caro Pedro si è sentito in diritto di dare lezioni al governo italiano. Durante una discussione in Parlamento sulla politica migratoria, Sánchez si è rivolto polemicamente ai deputati del Partito popolare il cui leader, Alberto Nunez Feijoo, di recente ha incontrato a Roma Giorgia Meloni, e ne ha condiviso l’approccio sulla difesa dei confini.
Prima Sánchez ha insistito sul fatto che «nell’ultimo anno e mezzo sono entrate in Italia 156.000 persone in situazione irregolare, ovvero quasi il triplo di quelle arrivate in Spagna nello stesso periodo di tempo». Poi ha colto l’occasione per dire la sua sul ddl Sicurezza appena sfornato dal nostro esecutivo.
«Volete togliere a un’immigrata colombiana o ecuadoregna, a cui è stata negata la richiesta d’asilo, il diritto a comprare una sim per un cellulare?», ha detto Sánchez. «Perché questo è ciò che sta proponendo il governo italiano con quella politica migratoria che voi tanto ammirate: togliere a una migrante vulnerabile anche la possibilità di parlare con la famiglia e farle sapere della propria situazione!». Tutto chiaro: alla guida dell’Italia, insinua Sánchez, ci sono politici disumani che non solo vogliono proibire agli stranieri persino di parlare con una voce amica, ma non sono neppure in grado di fermare gli sbarchi.
Prima di aprire bocca, tuttavia, l’iberico socialista farebbe bene a ripassare un po’ di matematica e un pizzico di storia. Se infatti guardiamo ai numeri, è vero che nel 2023 in Italia sono approdati 138.223 stranieri. Ma è anche vero che un anno esatto dopo erano appena 52.000. Segno che le politiche messe in atto finora dalla destra - piacciano o meno - funzionano. In compenso, nel 2023 gli ingressi in Spagna sono più che raddoppiati rispetto all’anno precedente e nell’estate del 2024 gli arrivi sono stati appena meno di quelli registrati qui, con un trend di clamorosa crescita niente affatto positivo.
Sulle cifre si può anche essere tolleranti, dato che è costume diffuso rigirarle come si vuole. Ma sulla spocchia moralista di Sánchez non si può sorvolare manco morti. Per prima cosa, occorre ribadire quanto ha scritto su questo giornale Pietro Dubolino, e cioè che la famigerata norma sul «divieto di telefonino» potrebbe in realtà essere molto meno stringente di come l’abbiano descritta. Infatti il «titolo di soggiorno» che il decreto impone di possedere per poter entrare in possesso di un cellulare potrebbe anche essere costituito dalla domanda di asilo o protezione internazionale che la quasi totalità degli stranieri presenta non appena approdata qui.
Ma mettiamo pure che sia vero, e cioè che questo governo voglia negare il cellulare ai clandestini. Ebbene, ci risulta che i bravi e buoni socialisti spagnoli abbiamo fatto qualcosina di peggio. Il 24 giugno 2022, a Melilla, sul confine tra Spagna e Marocco, tra i 1.500 e i 2.000 migranti (dati di Amnesty International) hanno tentato di varcare il confine. La polizia spagnola, assieme a quella marocchina, ha accolto gli stranieri irregolari con «proiettili di gomma, gas lacrimogeni, pietre e manganellate». Bilancio finale: 37 morti e 77 dispersi.
Sei mesi dopo i fatti, di fronte al silenzio delle autorità spagnole e alle dichiarazioni della Guardia Civile che affermò di non sapere nulla della faccenda, Amnesty International usò parole durissime: «Questo è un insabbiamento», disse il segretario generale Agnès Callamard. «Eppure sarebbe essenziale che i governi di entrambi i Paesi garantissero verità e giustizia su quanto è successo quel giorno, per evitare che accada di nuovo. L’inchiesta condotta in questi mesi dall’organizzazione, grazie anche a riprese satellitari, video e testimoni oculari, dimostra che gli arrivi di migranti quel giorno erano prevedibili e quindi la violenza evitabile. Già nei giorni precedenti a quel 24 giugno le persone in arrivo a Melilla erano state aggredite dalla polizia marocchina, che aveva distrutto e bruciato tutti i loro beni. Le autorità di Spagna e Marocco continuano a negare ogni responsabilità per la carneficina di Melilla. C’è una montagna di prove gravi e di molteplici violazioni dei diritti umani, tra cui la morte, il maltrattamento di rifugiati e migranti e fino a oggi anche la mancanza di informazioni sull’identità dei defunti e sui dispersi».
Sánchez, in quell’occasione - nonostante le condanne dell’Onu e di altre organizzazioni internazionali, non trovò di meglio da fare che lodare il Marocco. «Dobbiamo riconoscere lo straordinario lavoro svolto dal governo marocchino in coordinamento con le forze di sicurezza statali spagnole per cercare di evitare un’aggressione violenta e ben risolta dalle due forze di sicurezza», disse. Per altro, quella di aprire il fuoco sui migranti è una antica tradizione spagnola, già largamente praticata da una decina di anni a questa parte.
Non è tutto. Il simpatico Sánchez ora vuole impartirci lezioni di accoglienza, ma da mesi sta cercando in tutti i modi di fermare gli ingressi nel suo Paese. Ha cercato di cambiare le leggi e di spargere gli stranieri in tutte le regioni (progetto bloccato sul nascere in Parlamento). Poi ha viaggiato come un forsennato in Mauritania, Gambia e Senegal - principali Paesi di provenienza dei flussi - per stringere accordi e tentare di limitare i danni. Pedrito El drito ha perfino escogitato una idea niente male: l’immigrazione circolare. Prevede che gli stranieri si formino nelle nazioni di origine, candidandosi a ottenere offerte di lavoro dalla Spagna. Quando le trovano, hanno diritto a un permesso di soggiorno di quattro anni al massimo, al termine del quale si impegnano a tornare in patria. In sostanza è una sorta di spietato bancomat migratorio: vieni qualche anno, fai un po’ di soldi. poi fuori dai piedi. Nel frattempo, Sánchez insiste a battere cassa in Europa. Ha chiesto che il patto Ue su migrazione e asilo entri in vigore un anno prima del previsto e continua a pietire aiuti e finanziamenti.
Ci domandiamo quindi: con che faccia costui accusa l’Italia di essere disumana? Con che fegato fa il maestrino? Al massimo potrebbe darci qualche lezione di tiro allo straniero. Ma dalle nostre parti certi metodi, grazie al cielo, non si usano.