Dopo il voto delle amministrative, Elly Schlein esulta. Dice che le città hanno bocciato la destra che governa. Il segretario del Pd ha certamente più di un motivo per rallegrarsi e il principale è che le elezioni europee e quelle di alcuni capoluoghi di Regione hanno spazzato via le trame che dentro il suo stesso partito miravano a liquidarla in caso di sconfitta. Quanto, invece, al messaggio che da Bari, Firenze, Perugia e Campobasso sarebbe stato spedito a Giorgia Meloni, è un po’ più difficile da credere. E non perché gli elettori non abbiano effettivamente premiato la sinistra, ma perché si fa fatica a immaginare che il vento sia cambiato in appena due settimane. L’8 e il 9 giugno gli italiani hanno votato dando sostegno al governo che, infatti, rispetto alle previsioni, ha aumentato i consensi. Il partito del presidente del Consiglio è cresciuto di un paio di punti, Forza Italia anche e pure la Lega ha guadagnato qualche cosa. Dunque, come si può dire che il vento sia cambiato? Il Pd alle europee è andato bene, ma a scapito dei 5 stelle, che sono precipitati sotto il 10%, a rischio di essere sorpassati dal partito di Antonio Tajani che tutti, dopo la morte di Silvio Berlusconi, consideravano in via di liquidazione.
Al di là delle esagerazioni che sempre si sentono dopo il voto, un dato deve comunque far riflettere il centrodestra ed è che da tempo la coalizione si trova in difficoltà quando deve scegliere un candidato sindaco nelle più importanti città. Un paio di settimane fa, dopo il risultato delle europee, ho invitato la maggioranza a mettere da parte i festeggiamenti e a pensare ai risultati disastrosi di Milano, capoluogo della più importante Regione d’Italia, ma anche roccaforte di compagni, dove, dopo Beppe Sala, si rischia di vedere una giunta guidata da esponenti vicini ai centri sociali. In città hanno trionfato, oltre al Pd, anche Avs e perfino Matteo Renzi e Carlo Calenda, cioè il nulla travestito di nuovo. Purtroppo, non si tratta di un caso isolato, perché su 12 città lombarde, dieci sono amministrate dal centrosinistra e una sola dal centrodestra, mentre un’altra è guidata da un sindaco che si dichiara estraneo ai partiti tradizionali.
Certo, si può governare il Paese anche se non si governano le città della Regione più popolosa ed economicamente più dinamica. Tuttavia, non sfondare a Milano, Brescia, Bergamo, Varese e Como, cioè in centri che per storia e tradizione erano moderati (e non perché, come crede Elly Schlein, il vento sia cambiato, ma perché in certi territori il centrodestra non riesce a esprimere buoni amministratori) vuol dire che c’è qualche cosa che non va. Inutile girarci intorno, la classe dirigente intermedia è di scarsa qualità e, dunque, non risulta convincente. Del resto, non si può pensare a chi candidare alla guida di una città solo pochi mesi prima delle elezioni. Il caso Milano da questo punto di vista è illuminante. Dopo una serie storica che portò i moderati a Palazzo Marino, con Gabriele Albertini per due mandati e con Letizia Moratti per uno, il centrodestra ha scelto i candidati qualche settimana prima del voto.
E non c’è solo il capoluogo lombardo. Passando in rassegna altre elezioni, quelle di Roma o di Torino ma anche di Napoli e di Bari, si capisce che le scelte sono affidate spesso all’improvvisazione dell’ultimo minuto mentre dovrebbero essere pensate e vagliate mesi se non anni prima. È un vizio che il centrodestra si porta dietro da tempo, quando ancora c’era il Cavaliere e al momento non mi sembra risolto. Ribadisco, si può governare il Paese anche senza avere il controllo delle principali città. Però, alla lunga, questo rischia di essere un problema perché la classe dirigente si forma nelle amministrazioni locali per poi maturare nel tempo e conquistare ruoli nazionali.
Lo so che la mia rischia di essere una predica inutile, ma credo che un po’ di selezione e di formazione non faccia male. Gli italiani oggi votano ancora compatti per un governo di centrodestra, ma quando si tratta di scegliere da chi far amministrare la città in cui vivono spesso non hanno alternative rispetto a esponenti di centrosinistra. Così ci siamo ritrovati Beppe Sala e pure Roberto Gualtieri, due sindaci inconsistenti, che certo non passeranno alla storia per la loro brillante gestione. Dunque, che facciamo: vogliamo continuare la serie degli amministratori del centro storico o vogliamo occuparci dei cittadini e della qualità dei luoghi in cui vivono? Io suggerirei al centrodestra di scegliere la seconda opzione e di darsi una mossa, altrimenti prima o poi, grazie anche l’astensionismo da record di chi non sa che santo votare, a Palazzo Marino, sede del municipio di Milano, ci troveremo Ilaria Salis, quella che vuole occupare le case.