Si tratta del 35,83% in più di quello che il gran capo di Pfizer prendeva prima che il virus cambiasse il mondo, visto che nel 2019 veniva già pagato 17,9 milioni di dollari. Anche se stipendio e premi sono enormi, il balzo in avanti si può ben comprendere visti i risultati del gruppo. Meno comprensibile però un altro particolare. La legge americana- ed è una regola di trasparenza e perfino di civiltà- impone alle società quotate di spiegare in assemblea il rapporto che c'è fra il compenso ricevuto dal capo azienda e lo stipendio medio dei dipendenti dello stesso gruppo. Nel 2019 Bourla veniva pagato 181 volte più dello stipendio medio dei lavoratori Pfizer. Nel 2021 questo rapporto si è ancora più allargato: 262 volte più della busta paga media del lavoratore del colosso farmaceutico. Una forbice che si è allargata del 44,75%. Quindi del successo mondiale dei vaccini Pfizer anche grazie alle scelte dei governi occidentali ha beneficiato uno solo, il capo azienda. Perché lo stipendio medio dei lavoratori Pfizer non solo non è cresciuto in misura paragonabile a quello di Bourla, ma si è addirittura ridotto del 6,04% nel biennio dei vaccini.
Questo aspetto un po' grottesco è contenuto nelle copiose carte depositate in vista dell'assemblea Pfizer . Ma non è citato ovviamente nella relazione agli azionisti che lo stesso Bourla ha scritto per accompagnare le tabelle di bilancio. Anzi, si usano toni trionfalistici per il successo che sarebbe condiviso con tutti i lavoratori della multinazionale del farmaco. “Il successo del nostro vaccino COVID-19 e dei programmi di trattamento”, scrive il numero uno di Pfizer, “non solo ha fatto una differenza positiva nel mondo ma credo che abbia cambiato radicalmente la nostra azienda e la nostra cultura per sempre. I colleghi di tutta la Pfizer sono ispirati dai nostri risultati e determinati più che mai a far parte della prossima svolta. E in un indagine del 2021 il 95% dei colleghi si sono detti orgogliosi di lavorare per Pfizer, che si colloca tra le migliori aziende di tutta America”. Saranno pure orgogliosi, ma le loro finanze stavano meglio prima che fosse scoperto il vaccino.
Forse anche per spiegare questa differenza di trattamento nella relazione di bilancio ci sono anche lunghi capitoli sui danni che la pandemia avrebbe fatto all'unica azienda al mondo che proprio si fatica a vedere come vittima economica del Covid: appunto, la Pfizer. Eppure il colosso lamenta che “la pandemia ha presentato una serie di rischi per la nostra attività, tra cui impatti dovuti a limitazioni di viaggio e di mobilità; interruzioni e ritardi di produzione; interruzioni e carenze della catena di approvvigionamento (…) difficoltà o i ritardi nell'arruolamento di alcuni studi clinici, diminuzione della domanda di prodotti, dovuta alla riduzione del numero di incontri personali con i medici, delle visite dei pazienti dai medici, delle vaccinazioni e degli interventi chirurgici facoltativi, con conseguente riduzione delle nuove prescrizioni o delle ricariche delle prescrizioni esistenti e della domanda di prodotti utilizzati nelle procedure” fino a citare perfino il presunto danno che verrebbe a Pfizer proprio da Pfizer: “riduzione della domanda di prodotti a causa della disoccupazione o della maggiore attenzione alla vaccinazione COVID-19”.
Nella sezione rischi per il futuro gli amministratori del colosso citano il più evidente per il fatturato: “la possibilità che COVID-19 diminuisca in gravità o prevalenza, o che scompaia del tutto”. Ed è citato perfino un timore in grado di gettare benzina sul fuoco di eserciti di scettici sui benefici del vaccino in mezzo mondo: “ il rischio”, scrive Pfizer, “che un uso più diffuso del vaccino o del Paxlovid porti a nuove informazioni sull'efficacia, la sicurezza o altri sviluppi, compreso il rischio di ulteriori reazioni avverse, alcune delle quali possono essere gravi”. Ma è una preoccupazione teorica, perché nella stessa relazione si spiega come in bilancio 2021 siano finiti pagamenti differiti dei contratti 2020 sui vaccini e la stessa cosa accadrà sia nel bilancio 2022 che in quelli 2023 e 2024, perché le clausole di fornitura dei contratti in Usa e nella Ue assicurano ancora copiose entrate negli anni a venire.