Il presidente denuncia tentativi di farle cambiare rotta. I giornali si interrogano sul complotto. La risposta è semplice: pensava alla cricca di Amato, il quale fa di tutto per non perdere il potere. Compreso rimangiarsi il libro in cui elogiava il premierato.
Consiglio (ed ex presidente della Corte costituzionale, ex ministro con plurimi mandati, ex presidente dell’Antitrust, della Treccani e pure garante del Coni per il codice di comportamento sportivo) scrisse per il Mulino nel 1980. Già il titolo dice molto: Una Repubblica da riformare, ma quando si arriva a pagina 37 si capisce perché, dal Dopoguerra a oggi, abbiamo avuto 68 governi e 31 presidenti del Consiglio, mentre la Francia ha avuto dieci capi di Stato e la Germania nove cancellieri federali.
Scriveva Amato, quando non si era ancora convertito alla causa per la conservazione del potere con la P maiuscola: all’Assemblea costituente «ci si preoccupò prima ancora dei contrappesi che dei pesi, incasellando l’attività di governo entro la rete minuta di riserve di legge, arrivando a diffidare della stessa primazia del presidente del Consiglio, che si volle mediatore senza spicco in un collegio di pari». Chiaro il concetto? Il governo lo si voleva debole, per paura di un’altra dittatura come quella che da pochi anni ci si era lasciati alle spalle.
Il problema è che si era «paralizzato il potere dell’esecutivo prima ancora che potesse esplicarsi». Diceva sempre l’ex presidente della Consulta ed ex tutto: «La nostra storia precedente giustificava un simile assunto [...] certo è che, quando la società ha cominciato a crescere, ad articolarsi, a consentire un maggiore equilibrio fra le sue diverse componenti, la forza dei contrappesi ha finito per soverchiare quella dei pesi». Insomma, se non fosse per la pomposità delle frasi, sembrerebbero parole nostre. E, forse, perfino di Giorgia Meloni che, come è noto, ha proposto una riforma che dia più poteri al capo del governo e riduca i rischi di ribaltoni, ovvero di premier che una volta indicati dagli elettori vengano poi mandati a casa dal Parlamento con il beneplacito del presidente della Repubblica.
Siete sorpresi? Beh, dovreste sentire il resto del libro, soprattutto dove il nostro fa un elogio dell’elezione diretta del capo dell’esecutivo, ovvero di ciò che l’attuale maggioranza propone e che oggi Amato aborre parlando di rischi per la democrazia. Leggere per credere. «Scopriamo così che, nonostante possa apparire più traumatica e più lontana dall’assetto istituzionale che abbiamo, la diversa strada di una modifica della forma di governo può minimizzare i costi e massimizzare i benefici di una riforma istituzionale. L’elezione diretta del capo dell’esecutivo è un modo eccellente (sì, avete letto bene, ndr) per coagulare schieramenti alternativi ed effettuata, eventualmente, in due turni, può anche consentire un processo di aggiustamento fra le componenti di tali schieramenti (sulla premessa, comunque, che l’elezione sia possibile solo con la maggioranza dei voti espressi e che gli elettori, perciò, debbano trovarsi di fronte, da ultimo, due candidature soltanto)».
Addirittura, Amato immaginava che non ci fosse rapporto di fiducia fra governo e Parlamento, in modo da eliminare possibili rischi di frizioni e di crisi della maggioranza. «Così i componenti irrequieti della maggioranza saprebbero comunque di non disporre del “potere della crisi”, dal momento che governo e Parlamento morirebbero solo alle previste scadenze elettorali». Insomma, l’ex tutto vedeva solo aspetti positivi nell’elezione diretta del presidente del Consiglio.
Che cosa può aver indotto il Dottor Sottile (era questo il suo soprannome ai tempi di Craxi) a cambiare idea? La risposta sta nella sua storia. Per mezzo secolo Amato ha ricoperto qualsiasi incarico, navigando nella prima Repubblica per poi approdare nella seconda, senza che la sua carriera venisse intaccata dall’inchiesta giudiziaria che liquidò la Dc, il Psi e tutti i partiti moderati. Oggi l’ex tutto vede morire il suo mondo perché Giorgia Meloni non appartiene al sistema da cui proviene Sottiletta. Come ha spiegato anche in conferenza stampa l’altroieri, lei è contro il mondo che ha dominato - e ancora prova a dominare - il Paese. Amato, uno degli ultimi dinosauri del passato, invece è pronto a tutto pur di conservarlo, anche a costo di smentirsi e di dire il contrario di ciò che addirittura aveva messo per iscritto.
Quanto, poi, al presunto ricatto nei confronti del premier, su cui ha titolato Repubblica, chiedendosi a chi alludesse Meloni quando ha parlato dei tentativi di costringerla a cambiare rotta, beh, la risposta mi pare scontata: pensava ad Amato e alla sua cricca, ovvero a coloro che, incistati nei gangli vitali del Paese, le provano tutte per non cambiare.