Nel paniere di consulenze e incarichi che ingrassano i conti correnti di Matteo Renzi, come sanno i nostri lettori, non mancano gli affari con regimi chiacchierati come la Cina comunista e il Regno saudita. Ma, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, ieri, l’ex premier, in fretta e furia, ha eliminato i rubli dal suo tesoretto. Una scelta molto mediatica, con i bombardamenti in corso. Mossa che gli ha consentito di proporre come inviata speciale per la crisi Angela Merkel (un futuro da conferenziera anche per lei?) e di mandare le sue truppe di peones di Italia viva a fare un po’ di caciara sotto l’ambasciata russa di Roma. «È necessario che cessino le operazioni di guerra e venga ripristinata la legalità internazionale» ha protestato la delegazione, facendo tremare i polsi a Vladimir Putin.
Il fu Rottamatore, per poter dire la sua, ha, infatti, annunciato di aver lasciato il cda della Delimobil, la società di car sharing con sede a Mosca, che nell’autunno scorso era in procinto di sbarcare a Wall Street. E proprio dai documenti della quotazione emergeva la presenza di Renzi nel board. E anche se non era indicato l’importo del suo compenso, era riportato quello complessivo per i consiglieri: 83 milioni di rubli, circa un milione di euro, da dividere in nove. Adesso, mentre stanno per scattare le sanzioni che colpiranno le aziende russe e i loro manager, Renzi, che a novembre era volato fino a New York in vista della quotazione in Borsa della Delimobil, si sfila da una situazione politicamente imbarazzante e forse perfino a rischio sanzioni. In serata, intervenendo su Radio Leopolda ha fatto, come detto, il nome dell’ex cancelliera tedesca: «È colei che parla a una voce sola per Nato e Ue, sarebbe una mossa importantissima».
Poi ha dato una spiegazione politica alle sue dimissioni: «In un momento del genere penso che sia utile e doveroso dare un segnale. Molte aziende italiane stanno per subire conseguenze enormi dal punto di vista economico dalle sanzioni che sono state annunciate, molte persone soffrono anche a livello economico, ma soprattutto valoriale per quello che sta accadendo. Io ho pensato che fosse un segno simbolico, ho trovato giusto e doveroso dare le dimissioni». Che sarebbero «state accettate con effetto immediato ».
Nei mesi scorsi l’attività di lobbista e di manager di Renzi era stata criticata da parlamentari di diverso orientamento. Il vicesegretario del Pd Giuseppe Provenzano aveva parlato di «degenerazione politica». E randellate erano arrivate anche dai grillini. Renzi aveva assicurato di non violare nessuna legge, mentre da Italia viva avevano fatto sapere che il loro caro leader era «molto felice di collaborare all’attività della società Delimobil» e che stimava il socio di riferimento, il napoletano Vincenzo Trani. Infatti la Delimobil è controllata, attraverso una società partecipata, la Micro fund, dal gruppo Mikro Kapital che ha base in Lussemburgo e di cui è fondatore e presidente Trani.
Il comunicato esaltava la «fase di internazionalizzazione» dell’azienda e informava che Renzi, «da sempre convinto dell'importanza di valorizzare le competenze degli imprenditori italiani in tutto il mondo», sarebbe stato «al fianco del dottor Trani in questa sfida […] molto avvincente». In realtà l’unione è stata velocemente rotta da Putin.
Ma chi è Trani, quarantasettenne napoletano con diverse partecipazioni in società italiane dagli interessi variegati, dalla sartoria agli articoli medicali? L’imprenditore è ormai radicato da un decennio a Mosca (è iscritto all’Aire dal 2010), dove risiede e risulta essere presidente della Camera di commercio italo-russa. Nato a Napoli nel 1974, cresciuto a Posillipo, la carriera di Trani, tranne una parentesi iniziale, tra il 1997 e il 2000 come direttore di una filiale del Monte dei Paschi di Siena, si è realizzata quasi interamente in Russia. Con l’avvento del nuovo millennio Trani diventa consulente senior per la Bers (Banca europea per la ricostruzione e sviluppo) nel fondo di Mosca per le piccole imprese e in alcune istituti finanziari russi, uno di questi rilevato da Banca Intesa. Nel 2008 fonda Mikro kapital, gruppo attivo nel settore del microcredito di cui diventa presidente nel 2019, Nel 2015 inizia l’avventura nel car sharing con Delimobil che opera in Russia, Kazakistan, Bielorussia e Repubblica Ceca. Trani è stato anche console onorario della Bielorussia in Campania, ma nel 2020 l’incarico gli sarebbe stato revocato. L’ambasciata di Minsk ha fatto sapere che «il processo di assegnazione del consolato onorario è supervisionato dal ministero degli Affari esteri. Il dottor Trani allo scadere del mandato consolare non ha ricevuto il rinnovo, presumibilmente in un’ottica di riorganizzazione della rappresentanza diplomatica in Europa».
Nel passato di Trani c’è anche una piccola spy story che coinvolge la Imon international, banca del microcredito di un’altra ex repubblica sovietica, il Tagikistan. Nel 2017 Mikro kapital è entrato nel capitale sociale. Secondo il sito Irpimedia, nel giugno 2018, mentre è in atto uno scontro tra Imon e la Banca centrale tagika per la presunta violazione di normative internazionali sull’antiriciclaggio, Trani sarebbe volato a Dushanbe, capitale del Paese, per un incontro destinato a cambiare le sorti della banca di microcredito. L’ex direttore di filiale Mps avrebbe visto Jamoliddin Nuraliev, vicepresidente della Banca nazionale tagika, considerato il vero uomo forte delle politiche monetarie e bancarie del Paese. E «secondo quanto riferito agli altri azionisti della Imon dallo stesso Trani» l’incontro con Nuraliev sarebbe stato organizzato durante la visita istituzionale in Tagikistan dal dittatore bielorusso Alexandr Lukashenko, stretto alleato di Putin, attraverso il suo ministero degli Esteri. Successivamente Trani sarebbe poi riuscito a piazzare un suo uomo di fiducia come dg di Imon. Il manager ha spiegato ai media che «nessuno ha costretto a vendere (le quote della banca tagika, ndr) a Mikro kapital».
Gruppo che adesso dovrà fare i conti con l’addio di Renzi alla controllata Delimobil.