Lo show di Roberto Saviano, che chiamò bastardi e malavitosi Meloni e Salvini, non andrà in onda. Dopo decenni di occupazione progressista a spese dei contribuenti, in pochi mesi a Viale Mazzini l’aria è cambiata. Era ora.
Immagino che molti si dispereranno per la mancata messa in onda, sulle reti Rai, del programma di Roberto Saviano. Io non sono tra quelli. E non tanto perché non consideri particolarmente interessanti i sermoni dello scrittore, che trovo di regola infarciti di luoghi comuni e soprattutto del più trito conformismo. No, non è per questo che non verserò una lacrima se verrò privato del «piacere» di vedere i servizi preparati dall’autore di Gomorra. Ma semplicemente perché penso che finalmente la tv degli italiani verrà restituita agli italiani. Tempo fa, in una delle stagioni in cui il centrodestra era stato al governo, ricordo di aver scritto un articolo che cominciava nel seguente modo: la maggioranza ha avuto tra le mani la più grande azienda culturale del Paese, cioè la Rai, e semplicemente non ha saputo che cosa farne. È inutile lamentarsi per l’occupazione manu militari dei programmi del servizio pubblico se poi, quando si ha la possibilità di cambiare, si lascia tutto com’era. Lamentarsi dell’egemonia culturale della sinistra, di un giornalismo fazioso che presidia le redazioni di giornali e telegiornali non serve a nulla se al momento in cui si possono modificare le cose si ha il timore di disturbare gli occupanti e di smontare il Sistema.
Nel corso degli anni, la Rai è stata sequestrata non dai partiti, ma da un partito, ovvero dalla sinistra, che si è presa tutto quello che poteva prendere e ha distribuito tutto quello che poteva distribuire. A spese naturalmente del contribuente. Quante volte vi siete chiesti perché i trombati eccellenti di fede progressista, persa una poltrona ne abbiano trovata immediatamente un’altra e guarda caso proprio nelle reti pubbliche? L’ultimo caso è quello di Marco Damilano, direttore dell’Espresso che, lasciata la guida del settimanale radical chic (l’editore non ne poteva più di ripianare le perdite), ha ottenuto un programma tutto suo su Rai3, in un’ora di punta e con un contratto che lo ripagava senza rimpianti del dispiacere di aver perduto uno stipendio. Sorprendente eccezione? Macché: per anni la Rai è stato lo stipendificio della combriccola di giornalisti che ruota intorno a Repubblica et similia. Da Gad Lerner a Concita De Gregorio, da Corrado Augias a Massimo Giannini: tutti hanno goduto del trattamento di mamma Rai a prescindere dagli ascolti. Del conduttore di programmi come La difesa della razza e L’Approdo si sa, perché ce ne siamo occupati spesso proprio su queste pagine. Più i suoi ascolti andavano giù e più la Rai lo tirava su. Scartato dalla 7, riciclato sulla terza rete: una promozione. Dell’ex direttrice dell’Unità pure sono noti i trascorsi: dopo aver ridotto al lumicino il giornale che le era stato affidato tre anni prima e che, dopo il suo trattamento, venne liquidato, l’ex inviata di Repubblica fu premiata con una trasmissione che già denunciava nel titolo la sua missione: Il pane quotidiano. Quello di Concita, bene inteso. Che è un po’ come quello di Damilano: se l’editore vende per disperazione il giornale che ti ha affidato, la pagnotta è assicurata dal pronto soccorso (rosso) di Rai 3.
Un tempo c’era Telekabul, una specie di riserva indiana dei comunisti. Ma poi, coloro che si dipingevano come confinati speciali sottrattisi alla lottizzazione della prima Repubblica, hanno conquistato l’intera tv pubblica. L’elenco delle trasmissioni che nel corso degli anni sono state affidate alla nidiata di cronisti allevata dalla scuderia del quotidiano radical chic è lungo. Si va da Michele Serra, autore di Fabio Fazio prima che questi traslocasse con un contratto più ricco su Discovery, a Ezio Mauro, che una volta lasciata la direzione di Repubblica si è scoperto voce narrante della storia d’Italia, passando con disinvoltura da Mussolini a papa Benedetto XVI, per finire a Lirio Abbate, anch’egli ex direttore dell’Espresso e anch’egli diviso tra Rai e la casa madre, ovvero Repubblica. Per un certo periodo addirittura il cavallo pazzo della tv di Stato si era affidato mani e piedi ai vertici del giornale fondato da Eugenio Scalfari. Nella stagione renziana, infatti, l’informazione fu delegata a Carlo Verdelli e a Francesco Merlo, mentre allo Sport venne piazzato Gabriele Romagnoli. Insomma, eravamo alla Repubblica di viale Mazzini. Da tenere presente che, mentre tutto ciò accadeva, il problema denunciato dal quotidiano diretto prima da Scalfari, poi da Mauro, Calabresi e infine dallo stesso Verdelli era il conflitto d’interessi di Silvio Berlusconi e il bavaglio del Cavaliere.
Beh, dopo alcuni decenni, il dominio della sinistra sulla Rai sta finendo. Lucia Annunziata (altra firma del gruppo Gedi) si è dimessa per protesta contro il regime. Fabio Fazio si è dimesso perché alla tv pubblica ha preferito i guadagni privati. Roberto Saviano - quello che faceva programmi con Fazio e Serra - è stato dimesso perché riteneva di godere di un’immunità speciale che gli consentiva di chiamare bastarda e malavitosi premier e ministri.
Dunque, di che devo lamentarmi? Di che cosa devo dolermi? Che a una cricca di reduci di sinistra sia stato tolto il megafono? Macché. In pochi mesi è stato smontato il Sistema. Finalmente.
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Lo show di Roberto Saviano, che chiamò bastardi e malavitosi Meloni e Salvini, non andrà in onda. Dopo decenni di occupazione progressista a spese dei contribuenti, in pochi mesi a Viale Mazzini l’aria è cambiata. Era ora.
Andrea Vianello (Imagoeconomica)
Bufera per un post della radio pubblica. Polemiche anche contro Vittorio Sgarbi e Franco Cardini.