Lo ha detto il vicepresidente esecutivo della Commissione europea per la Coesione e le Riforme Raffaele Fitto, a margine della conferenza stampa sul Transport Package, riguardo al piano di rinnovamento dei collegamenti ad alta velocità nell'Unione Europea.
2025-01-31
Casa, Fitto: «In preparazione il primo piano europeo per alloggi a prezzi accessibili»
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Lo dichiara il vicepresidente esecutivo della Commissione europea e commissario per la Coesione Raffaele Fitto, durante la conferenza «La via europea della crescita» tenutasi a Cracovia, in Polonia.
2025-01-28
Sanità, Fontana: «L’Oms deve essere cambiata, serve un indirizzo meno politicizzato e più scientifico»
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Lo ha dichiarato il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana in merito all’Organizzazione Mondiale della Sanità a margine dell’incontro con il vicepresidente della Commissione europea Raffaele Fitto.
Elon Musk (Getty Images)
Mr «X» boccia la nuova Commissione («Antidemocratica») mentre il premier s’intesta la nomina di Fitto. Ora è Roma che può mettere d’accordo le due sponde dell’Atlantico.
Il Pierino più danaroso e potente del pianeta ne ha detta un’altra. Bella grossa, pure. Del resto: poteva lo «zio Elon», come ormai lo chiamano quelli del clan Trump, esimersi dal commentare la tormentata nascita della nuova Commissione Ue, guidata ancora da Ursula von der Leyen? Dopo il via libera di Bruxelles, Musk scrive dunque sul suo X: «Questo è antidemocratico. Il Parlamento europeo dovrebbe votare direttamente sulle questioni, non cedere l’autorità alla Commissione europea». Insomma: che se ne farebbe il Vecchio continente di un esecutivo bolso e azzoppato, eletto perfino con la maggioranza più risicata della storia? Appena 370 voti, appunto. Un’anatra zoppissima.
La baronessa teutonica non commenta il dileggio. La risposta arriva, invece, dal portavoce, Eric Mamer: «Mi sembra che la legittimità democratica della Commissione europea, sulla base dei trattati esistenti, sia ampiamente chiara a chiunque si preoccupi di farci un pensiero». E, quantomai piccato, aggiunge: «Abbiamo avuto le elezioni, un dibattito e il voto di conferma a luglio». Infine, le «audizioni di 26 commissari, che sono state ampiamente rese pubbliche».
Elon, quindi, faccia un ripassino di diritto comunitario. Anzi, si dedichi a temi che conosce meglio. Impossibile. L’incontenibile tycoon ha deciso di imbracciare il politicamente scorrettissimo. Come ha già dimostrato, in Italia, con l’urticante tweet sulla magistratura: «Questi giudici se ne devono andare». Il riferimento era alla disfida tra il governo e i tribunali sui centri per il rimpatrio in Albania. Risposta del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: «L’Italia sa badare a sé stessa». Controreplica del miliardario: «Decide un’autocrazia non eletta?».
Ecco, ci risiamo. Solo che, stavolta, il bersaglio è l’Europa. Eppure, resta un indiretto problemino per Giorgia Meloni. Nemmeno il tempo di esultare e, zac, arriva l’irriverente accusa. Il premier, difatti, ha stravinto la sua scommessa a Bruxelles. Raffaele Fitto è diventato vicepresidente esecutivo della Commissione, nonostante i Conservatori non abbiano votato in estate per la rielezione di Von der Leyen. Il coretto progressista, all’epoca, non aveva dubbi: l’Italia, per colpa dell’avventata Giorgia, sarebbe rimasta ai margini del continente per il prossimo quinquennio. Invece, alla fine, Fitto è stato eletto. Ed Ecr, il gruppo guidato da Meloni, è sempre più decisivo. Solo che poi, a guastare la festa, arriva lo sprezzante commento dell’amico Elon: la Commissione è un orpello «antidemocratico».
A ben vedere, però, non tutti i post vengono per nuocere. Chi potrà mai provare a ricomporre? L’amica italiana, magari. Il legame tra i due, suggellato dalla visita di Musk a Roma, resta ottimo. Così il premier si trova in una posizione unica e quantomai strategica. Guida un governo stabile, a differenza di quanto accade in Francia e Germania. Ursula ha una maggioranza striminzita, poi. Non può fare a meno di Giorgia. E il premier italiano è destinata a diventare determinante. A questo s’aggiungono gli splendidi rapporti con Elon: «Ormai siamo amici», ammette lei. «Ha fatto cose straordinarie», aggiunge. Lui ricambia, usando parole quasi identiche: «Giorgia Meloni ha fatto cose incredibili». È «ancora più bella dentro che fuori». I soliti sinistroni temevano che le pacche con il vecchio presidente americano, Joe Biden, facessero incarognire il suo successore, Donald Trump? Macché. Adesso Meloni, grazie agli strettissimi rapporti con Musk, punta a diventare la mediatrice tra le sponde atlantiche. Tanto da voler organizzare l’anno prossimo, tramite lo «zio Elon», una chiamata chiarificatrice tra Von der Leyen e Trump, che ha già minacciato sostanziosi dazi: «L’Europa dovrà pagare un prezzo molto grande».
Meloni, viste le avvisaglie, sarebbe una pontiera rispettata sia a Bruxelles sia a Washington. L’intesa personale, intanto, viene cementata da quella economica. Dietro l’attivismo dell’imprenditore sudafricano non c’è solo la passione per l’Antica Roma, confermata dal video del Colosseo su X e l’evocativo tweet «America is New Rome». Palazzo Chigi dialoga da tempo con Starlink, la rete Internet satellitare creata da SpaceX. La compagnia di Musk garantirebbe connessioni sicure alle istituzioni italiane: un possibile accordo da 1,5 miliardi di euro per cinque anni. E poi c’è l’ancor più sostanzioso progetto per integrare la banda larga, che prevede uno stanziamento di 3,8 miliardi del Pnrr. Ora il governo ha aperto proprio alla sperimentazione con Starlink. Nei piani c’è, però, anche una Tesla low cost a guida autonoma, destinata al nostro mercato.
Per arrivare alle stelle, bisogna superare le difficoltà. Musk tenta di fiaccare gli avversari, come l’«antidemocratica» Commissione europea, anche a suon di svillaneggianti post. Non vuole solo arrivare su Marte, ma anche conquistare la sua Gallia. Il motto latino è un proponimento. L’ha persino riscritto sul biglietto inviato al tempio di Giulio Cesare: «Per aspera ad astra. Elon».
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Raffaele Fitto (Imagoeconomica)
Ppe, S&D e liberali a un passo dall’intesa sul ministro di Fdi nell’Ursula bis. Stallo tra popolari e socialisti sulla candidata. Deleghe ridotte al magiaro Olivér Várhelyi dopo la cautela sull’aborto. Il 27 il voto in Aula. Verdi e sinistra francese si sfilano, aprendo le porte all’Ecr.
Sono state definite serrate e febbrili le trattative per trovare l’accordo per chiudere la squadra che farà parte dell’esecutivo Ue guidato da Ursula von der Leyen. Una partita in cui gli spagnoli hanno giocato a dividere, fino all’ultimo. I veti incrociati infatti si sono ripetuti fino a tarda serata, malgrado l’intesa sia stata annunciata da più parti sul l’atteso ok a Raffaele Fitto e Teresa Ribera. I gruppi hanno valutato anche gli altri commissari rimasti in sospeso perché auditi lo stesso giorno: Roxana Minzatu, Henna Virkkunen, Kaja Kallas e Stéphane Séjourné.
La fine del tunnel si era incominciata a intravedere intorno alle 17, mentre era in corso la capigruppo del Parlamento europeo, è uscita la convocazione per i coordinatori delle commissioni che hanno svolto le audizioni dei vicepresidenti esecutivi. La convocazione, fissata per le 19 è stata preceduta da un assessment alle 18. Il segnale era chiaro: l’accordo tra popolari, liberali e socialisti si era finalmente chiuso. Notizia poi confermata da fonti del partito socialista europeo. A rimanere in bilico c’era anche la nomina di Olivér Várhelyi, commissario designato dall’Ungheria per la Salute e il benessere degli animali. Non era piaciuta la sua risposta su salute sessuale e riproduttiva. A chi chiedeva se lo ritenesse materia fondamentale dell’Ue, ha risposto che «l’aborto è più legato a questioni costituzionali e di diritti umani che alla salute e che, in quanto tale, rientra nella giurisdizione dei singoli Stati membri». Per questo la sua nomina è stata accettata, prevedendo però lo scorporamento di «alcune deleghe». Dopo il passaggio dei sette designati e la sua ufficialità, si attende il voto segreto all’intera Commissione europea, nella plenaria a Strasburgo il 27 novembre.
Nelle ore precedenti il Partito popolare europeo ha dimostrato di difendere con grandissima forza la nomina di Raffaele Fitto, come fosse un suo candidato e non un conservatore. Allo stesso modo, il gruppo ha seguito con «attenzione il dibattito sulle conseguenze delle inondazioni di Valencia con la ministra spagnola e candidata alla Commissione europea, Teresa Ribera». Un’audizione che per i popolari costituiva un passaggio fondamentale per l’approvazione della sua candidatura e che è stato commentato così: «Nella sua apparizione al Parlamento spagnolo, la candidata ha evitato di rispondere alle ripetute richieste dei deputati riguardo al suo impegno a dimettersi se la giustizia spagnola la accusasse di illeciti durante la gestione delle inondazioni in due regioni spagnole». Per questo il Ppe «tiene a sottolineare che Ribera dovrebbe essere pronta a dimettersi a seguito di una richiesta del sistema giudiziario spagnolo». Richiesta che ha creato uno stallo nella tarda serata di ieri, a causa della contrarietà dei socialisti spagnoli che ha portato allo stop temporaneo delle riunioni di valutazione su Ribera e su Fitto. Una pausa che non ha visto fine prima che il giornale andasse in stampa.
Sebbene non ancora definitivo, il risultato del Ppe è stato frutto del lavoro del vicepremier italiano Antonio Tajani, che è anche vicesegretario del partito dal 2002. Tajani, sottolineano fonti vicine al ministro, ha accelerato sui negoziati venerdì incontrando prima il capo dei popolari europei, Manfred Weber, poi parlandone al telefono con la presidente Ursula von der Leyen. Lunedì a Bruxelles ha incontrato tre commissari designati per capire come costruire il percorso che avrebbe portato all’accordo di oggi e ieri ha riaffrontato la questione a Varsavia con i ministri degli Esteri europei presenti al vertice Weimar plus, ovvero i colleghi francese, tedesco e polacco. Il risultato è stata l’intesa annunciata da più parti. Tutti avevano festeggiato in qualche modo il superamento dell’impasse pericolosa che si era creata in questi giorni, ancora in corso fino all’ultimo, e che ha fatto scendere in campo persino gli ex premier Romano Prodi, Mario Monti e il capo dello Stato, Sergio Mattarella, a favore del candidato di Fdi.
A perdere su tutta la linea, in caso di via libera a Fitto, sono i Verdi. «È un accordo che ci delude: da parte nostra, c’era bisogno di un cambiamento di portafoglio di Fitto. E se non c’è, voteremo contro Fitto e contro Varhelyi» ha detto il co-presidente dei Verdi Ue, Bas Eickhout. «Lunedì decideremo comunque il nostro voto finale sulla nuova Commissione di Von der Leyen, ma così l’Ue crea una situazione molto instabile», ha commentato.
È chiaro che se i Verdi escono, il peso di Ecr non può che crescere. A tirarsi fuori dal voto in plenaria anche i socialisti francesi: «Condanno la convalida in seno al Parlamento Ue di un vicepresidente esecutivo della Commissione di estrema destra. Insieme ai miei colleghi della delegazione voterò contro la Commissione nel suo insieme la prossima settimana», ha detto l’eurodeputato Christophe Clergeau, anticipando l’intenzione della delegazione socialista francese di votare contro l’intero collegio. La probabile nomina di Fitto, comunque, sarà una vittoria italiana e del gruppo Ecr, accusato di aver giocato male le sue carte non votando il von der Leyen 2. Invece dimostrando coerenza, alla fine potrebbero riuscire ugualmente ad entrare nell’esecutivo e il peso dei conservatori di Meloni saerbbe decisamente più grande di quello che avrebbero avuto votando il bis della tedesca.
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