Adesso anche la politica si interessa al caso del colonnello Massimo Giraudo e contemporaneamente spuntano nuovi accusatori. Nel suo ambiente, soprattutto dentro l’Arma, il militare era conosciuto come «il prete» per l’esibita fede religiosa. Adesso è sotto indagine come molestatore sessuale. È questa l’incredibile parabola di un investigatore tra i più noti e sul cui valore i magistrati sono divisi.
I suoi metodi, come i suoi risultati, sono molto discussi, ma non gli mancano gli estimatori, soprattutto in alcune Procure. Come in quella di Palermo ai tempi della Trattativa Stato-mafia.
Classe 1963, grande esperto di terrorismo neofascista è diventato un punto di riferimento in inchieste come quella sulla strage bresciana di Piazza della Loggia. Una bomba che nel 1974 costò la vita a 8 persone e causò più di 100 feriti. Nell’ambito di quest’indagine, che dopo cinquant’anni è ancora alla ricerca di esecutori e mandanti, nel 2022, Giraudo ha avvicinato Donatella Di Rosa, soprannominata Lady Golpe per aver denunciato un finto colpo di Stato negli anni ’90. L’ufficiale riteneva utili alla ricostruzione dei fatti le frequentazioni giovanili della donna negli ambienti di estrema destra lombardi, ma tra un interrogatorio e l’altro le avrebbe inviato foto, video e messaggi che definire osceni è riduttivo. Proposte ancora più irricevibili se si considera che a rivolgerle a una teste era un investigatore.
Per questo la Di Rosa ha presentato querela, rimarcando il presunto tentativo di subornazione e le molestie. Il procedimento è stato affidato al gruppo violenze della Procura di Roma. Il procuratore aggiunto Giuseppe Cascini e il pm Pantaleo Polifemo il 20 marzo hanno ascoltato la versione della donna e adesso si apprestano a far copia delle chat presenti nel suo telefonino.
Ma in contatto con l’avvocato della Di Rosa, Arturo Ceccherini, c’è anche il legale di un altro «cliente» di Giraudo, il settantunenne padovano Maurizio Tramonte, condannato nel 2015 all’ergastolo per la strage di Brescia.
L’uomo negli anni ’70 era un giovane attivista del Movimento sociale italiano e un infiltrato del Servizio informazioni difesa (Sid, dal 1966 al 1977 unico apparato d’intelligence italiano) nel gruppo eversivo di Ordine nuovo. È rimasto testimone sino agli anni ’90, quando ha incontrato l’allora capitano Giraudo a cui affidò una sorta di confessione. Che, successivamente, ritrattò, perché gli sarebbe stata estorta. In un memoriale agli atti di uno dei primi processi Tramonte descrive il rapporto simbiotico, fatto anche di confessioni intime, che aveva instaurato con Giraudo.
All’epoca si trovava ai domiciliari dopo essere stato coinvolto in tre bancarotte. Quindi era un soggetto particolarmente influenzabile, come la Di Rosa.
«Nel 1995 sono stato avvicinato dal capitano Massimo Giraudo. […] tra me e Giraudo è nato uno stretto rapporto: per quanto mi riguarda anche di amicizia e di affetto, spesso ci siamo trovati a parlare persino dei nostri più intimi problemi personali ed affettivi. Ribadisco che per me quello era un periodo molto difficile: se da un lato vedevo Giraudo come colui che avrebbe potuto aiutarmi davvero, dall’altro lo vedevo come colui che avrebbe potuto distruggermi. Aiutarmi non solo dal punto di vista emotivo (ero solo, lui era disponibile ad ascoltarmi in qualunque momento del giorno e della notte e per qualsiasi cosa), ma anche in relazione ai miei problemi giudiziari (i processi in corso si sarebbero potuti “rallentare”). Distruggermi perché, in modo velato, sebbene inequivocabile, mi faceva capire che ai miei problemi comunque avrebbero potuto aggiungersene altri non meglio specificati». Dinamiche che ricordano da vicino il «protocollo» denunciato da Lady Golpe.
Anche se Tramonte aveva spiegato di non «ricordare alcunché» del periodo in cui era informatore del Sid, le sue reminescenze sarebbero state «stimolate» dal capitano, con documenti e ricostruzioni storiche. Tanto che i giudici parlano di una «inquietante situazione, caratterizzata da pressioni e informazioni (fonti di successive circuitazioni) provenienti […] dal capitano Giraudo» e definiscono la collaborazione di Tramonte di «natura speculativa e non disinteressata».
Il confronto tra investigatore e fonte partorisce le dichiarazioni accusatorie e autoaccusatorie di Tramonte. Ma è una maieutica che ha ben poco di socratico: «Se dapprincipio le nostre erano conversazioni “serene”, piano piano le cose sono cambiate. Massimo si faceva insistente, non era soddisfatto di quello che gli dicevo, sosteneva io sapessi di più».
E Tramonte crolla. Il motivo lo spiega lui stesso: «In quel periodo ho iniziato a fare uso di stupefacenti; la paura di restare solo, l’abuso di cocaina, fatto sta che non mi sono mai sottratto alle insistenze di Massimo: più conferme mi chiedeva, più gliene davo: è iniziata così la mia rovina. Rispondevo a qualsiasi domanda: più chiedeva, più rispondevo, più inventavo (aiutato dal fatto che il più delle volte ero sotto l’effetto di cocaina). Ho inventato episodi assolutamente inverosimili. Nonostante questo Massimo mi ascoltava interessato e questo suo atteggiamento, non nego, mi spiazzava. In alcune occasioni mi ha stimolato affinché dicessi esattamente quello che lui voleva sentirsi dire ed io l’ho fatto. Non ho mai trovato il coraggio di gridare sto mentendo».
Di fronte a questo quadro, nel 2010 e nel 2012, in primo e secondo grado, Tramonte e gli altri coimputati (Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, il generale Francesco Delfino e Pino Rauti) vengono assolti a Brescia.
Ma, nell’estate del 2014, la Cassazione rispedisce la pratica alla Corte d’assise d’Appello, questa volta di Milano. E arriva la condanna per i soli Maggi, oggi defunto, e Tramonte.
L’avvocato di quest’ultimo, Baldassare Lauria, spiega alla Verità: «Quanto riferito dalla signora Donatella Di Rosa sul colonnello Giraudo non mi sorprende. Si tratta di “modalità” investigative che ho già appreso da Maurizio Tramonte, il quale è stato più volte sentito dall’ufficiale nella fase delle indagini relative alla strage di Piazza della Loggia, fornendo particolari sulla organizzazione dell’attentato del tutto inventati, tanto che non vi è alcuna corrispondenza con gli elementi oggettivi accertati nel processo. Una mera rappresentazione teatrale». Il cui regista sarebbe stato il colonnello. «Persino i giudici che hanno condannato il mio cliente hanno riconosciuto come lo stesso Giraudo abbia “ammesso di essere stato insistente nel sollecitare Tramonte a parlare”» rimarca Lauria. Che aggiunge: «Il mio cliente, all’epoca soggetto fragile in quanto sottoposto ad altri procedimenti penali e dipendente dalla cocaina, ha detto molto di più di quello che sapeva, solo per assecondare il colonnello e ottenere la protezione». Ma allora perché è arrivata la condanna? «Secondo i giudici l’indubbia tenacia investigativa del capitano Giraudo non sarebbe stata sufficiente a configurare un "condizionante meccanismo di acquisizione" delle dichiarazioni confessorie, al contrario di quanto avevano ritenuto i giudici bresciani nella doppia sentenza di assoluzione».
Anche nel processo di revisione, Tramonte ha denunciato il presunto «metodo illegale» di Giraudo, ma la Corte di Appello di Brescia ha respinto la richiesta difensiva di risentire il colonnello. L’avvocato conclude: «La condanna all’ergastolo di Tramonte è stato il rimedio all’incapacità dello Stato di individuare i veri responsabili della strage. Tramonte collaborava con i servizi segreti del generale Vito Miceli, era pagato per fare l’infiltrato nell’ambiente “ordinovista” padovano, quello che sapeva lo ha riferito, ma non era evidentemente sufficiente, ci voleva altro, e altro è stato detto. Ma, Tramonte non è responsabile della strage di Piazza della Loggia, ci si è voluti accontentare di una verità qualunque, una verità di comodo.
Personalmente auspico l’istituzione di una commissione di inchiesta e appena sarà costituita chiederemo di essere auditi. Nel frattempo siamo già al lavoro per una nuova richiesta di revisione».
Sul sexgate che coinvolge Giraudo e sul suo modus operandi, ieri è intervenuto anche il parlamentare di Fratelli d’Italia Federico Mollicone, presidente della commissione Cultura della Camera dei deputati in quota: «Sorge il sospetto che “metodi” simili (a quelli denunciati dalla Di Rosa, ndr) o comunque del tutto illegali siano stati adottati da Giraudo anche in altre inchieste, con il gravissimo dubbio che molti atti relativi a delicate investigazioni su stragi ed eversione siano stati manipolati e inquinati. Serve un riesame completo e approfondito di tutto il lavoro svolto dal colonnello Giraudo in questi anni su determinati filoni di indagine».
Per questo Mollicone annuncia: «Presenterò un’interrogazione ai ministri competenti per conoscere nel dettaglio il quadro delle collaborazioni del colonnello Giraudo con le varie Procure della Repubblica, il suo ruolo nella commissione Antimafia e, soprattutto, le attività di indagine a lui delegate dai magistrati nelle varie inchieste su terrorismo, eversione e stragi. Occorre al più presto fare assolutamente chiarezza, perché quello che sta emergendo sulla vicenda di Donatella Di Rosa è particolarmente grave e preoccupante».
Ieri, dopo essere stata sentita in Procura, l’ex Lady Golpe ha inviato via Pec una precisazione ai magistrati che hanno in mano la sua denuncia. Evidentemente la sessantacinquenne bergamasca non è rimasta soddisfatta del primo incontro: «Ho preso atto con rammarico del fatto che viene fortemente considerata solo la parte sessuale della vicenda» scrive. E sottolinea come, durante il «rapporto» con il colonnello, lei fosse «una teste»: «Prima sentita a verbale per Piazza della Loggia ed altro, poi pressata in vari modi per continuare a deporre».
Fa sapere di ritenere «molto più grave subornare e pressare una teste piuttosto che filmare e fotografare pratiche sessuali di qualsiasi genere». E, comunque, quello che la Procura considera un «mero reato sessuale», a giudizio della Di Rosa «è, invece, una forma di coercizione e pressione su una persona resa fragile dalle proprie condizioni di vita». Dopo questa precisazione, la presunta vittima conclude: «Mi auguro quindi che questo aspetto sia preminente rispetto a foto pornografiche che al limite dovrebbero costituire oggetto di cura medica e meno di indagine, visto che si tratta di soggetto che ha potere di colpire come nessun altro la vita altrui e che dovrebbe servire con rispetto lo Stato».