Ieri Matteo Renzi ha dichiarato al quotidiano Avvenire: «Mi auguro che (l'inchiesta di Perugia sugli accessi abusivi, ndr) non finisca come è finito l'altro grande scandalo degli ultimi anni, vale a dire il caso Palamara: con un capro espiatorio e con un gattopardesco “tutto cambi, perché nulla cambi”».Il ministro della Difesa Guido Crosetto, i cui redditi vennero attenzionati da Striano e finirono sulle pagine del quotidiano Domani, ha subito rilanciato: «Il rischio è che questa vicenda, come tante altre e come quella Palamara, finisca senza alcun accertamento definitivo». Tutti nel nostro caruggio, come si dice a Genova. E noi ne siamo ben felici. Se sul nostro carro salgono certi pesi massimi è possibile che un mistero che dura da 5 anni possa finalmente essere risolto. Al progetto di affondamento del candidato sostenuto da Palamara parteciparono magistrati, investigatori e noti giornalisti. Su tre di questi sono state svolte indagini, dopo una denuncia presentata dallo stesso Palamara a Firenze. Qui il procuratore aggiunto Luca Turco, dopo la richiesta di perquisizione e sequestro presentata dall’ex ras delle nomine, ha disposto, su suggerimento del Gip, l’acquisizione dei tabulati, salvo poi chiedere l’archiviazione del fascicolo, rimasto contro ignoti. Oltre a succitato terzetto, a quell’azione quasi militare contro Palamara, Viola & c. prese parte anche l’attuale direttore del Domani, il cui giornale oggi è finito dell’occhio del ciclone per il caso Striano. Ma se adesso il problema è la diffusione di segnalazioni di operazioni sospette inviate all’Ufficio di informazione finanziaria e di dichiarazioni dei redditi, là i giornalisti, senza suscitare l’attuale scandalo, ottennero trascrizioni di intercettazioni effettuate con il trojan sul cellulare di uno dei magistrati più potenti d’Italia. E se le procurarono nel pieno delle indagini, con il telefonino ancora caldo e la microspia attiva.
Le captazioni erano partite da neppure un mese, ma avevano scoperto quasi subito una vicenda che con la corruzione al centro delle investigazioni non c’entrava nulla. Infatti registrarono le trattative in corso tra membri del Csm per l’individuazione del nuovo procuratore di Roma e scoprirono che due politici del Pd (Cosimo Ferri, un magistrato, e Luca Lotti), brigavano per quella scelta. Ma Viola a quel suk non aveva mai partecipato e non è mai stato indagato. Eppure i giornalisti, che i tabulati dimostreranno aver avuto intense interlocuzioni con importanti toghe al corrente dell’inchiesta e ostili alla nomina dello stesso Viola, il 29 maggio 2019 non si fanno problemi a violare il segreto istruttorio e a bruciare un’indagine in corso. I magistrati di Perugia anziché iscriverli sul registro degli indagati per l’eclatante violazione, decidono di emettere a tempo di record un dettagliato decreto di perquisizione che rende automaticamente disponibili per i media i capi di imputazione e spezzoni di conversazioni. Ma, in quelle ore, i cronisti ottengono anche altre informazioni riservate che non si trovavano nel decreto consegnato a Palamara il 30 maggio 2019.
Risultato: cinque consiglieri del Csm sono costretti a dimettersi senza aver commesso alcun reato. Palamara viene radiato dalla magistratura e l’indicazione di Viola procuratore della Capitale finisce in archivio senza un motivo ufficiale. Ma chi ci fosse dietro a questa incredibile operazione non è mai stato scoperto. I segugi di Perugia, così solerti a scoperchiare i presunti altarini di Striano, non hanno mai iniziato un’indagine su questa vicenda, nemmeno quando hanno scoperto che un cancelliere della Procura, in stretti rapporti con almeno due dei giornalisti autori di quella clamorosa fuga di notizie, aveva scaricato, il 31 maggio 2019, 41 file segreti dell’inchiesta Palamara. All’epoca, a nessuno venne in mente di controllare gli accessi alla banca dati della Procura, come è stato fatto dopo la pubblicazione della richiesta di archiviazione per Loggia Ungheria o dopo gli articoli sui redditi di Crosetto.
La pm Gemma Miliani non è andata a caccia delle fonti dei giornalisti che le avevano fatto saltare per aria l’inchiesta. Non ha nemmeno chiesto i tabulati e le celle telefoniche di chi aveva fatto gli scoop e violato il segreto investigativo. Questi dati li ha chiesti soltanto, come detto, la Procura di Firenze, dopo la denuncia di Palamara e la sollecitazione di un giudice. Ma in Toscana non avevano a disposizioni altre informazioni fondamentali, come gli accessi al database del Tribunale di Perugia e i nomi dei possibili complici dei cronisti, a partire dal cancelliere. La Procura del capoluogo umbro, implacabile con Striano, ha fatto da spettatrice mentre venivano ribaltati gli assetti della magistratura. Perché? Non abbiamo la risposta. Ci risulta, però, che persino Cantone, l’uomo che ha inchiodato Striano ed è stato portato in trionfo dalla classe politica, dopo aver appreso che Guadagno aveva scaricato 41 file del procedimento Palamara, non avrebbe approfondito quel filone, lasciando dormire sonni tranquilli ai giornalisti che hanno pubblicato in esclusiva anche alcune succulente anticipazioni sull’inchiesta del tenente infedele. Come abbiamo svelato nei giorni scorsi, una delle firme di punta del pool di cronisti che fece saltare la nomina di Viola, Fiorenza Sarzanini, vicedirettore del Corriere della sera, dopo essere stata a Perugia, l’1 giugno del 2019, telefonò al procuratore aggiunto di Napoli Vincenzo Piscitelli e a Giuseppe Borrelli, il quale al Csm ha raccontato, mai smentito, quanto sarebbe accaduto. Il 3 dicembre del 2019, Borrelli, in quel momento in corsa per la Procura di Salerno, ha riferito di aver avuto dalla Sarzanini delle precise indicazioni circa il contenuto di intercettazioni che, in quel momento storico, erano senza ombra di dubbio soggette al segreto istruttorio. Ma la notizia è caduta nel vuoto: non risulta che alcuno dei presenti nella quinta commissione del parlamentino dei giudici abbia segnalato una qualche notizia di reato alla Procura competente.
Borrelli, al Csm, racconta di aver ricevuto da un collega uno screen shot di un passaggio del decreto di perquisizione di Palamara, dove si leggeva una frase così parafrasata dal magistrato: «Se va a Perugia non lo iscriverà mai». Tra i candidati ad andare a fare il procuratore in Umbria c’era proprio Borrelli. E così la toga sospetta che quelle parole potessero essere riferite a lui. Passano poche ore e la moglie di un collega, Cesare Sirignano, sostituto procuratore alla Direzione nazionale antimafia, telefona a Borrelli. La donna gli dice che il coniuge teme di essere indagato e che lei ha paura che il compagno possa compiere un gesto insano. Per questo Borrelli, che, a sua volta, è preoccupato di essere nominato nelle conversazioni anche per l’amicizia con Sirignano, decide di incontrare quest’ultimo e di registrare il colloquio. Quando i due si vedono, è il pomeriggio dell’1 giugno, Borrelli avrebbe ricevuto una telefonata dalla Sarzanini. Così descritta al Csm: «Mi fa: “Ciao Peppe, come stai? Senti, ma tu hai capito - ricordo bene le parole - che il magistrato di cui si parla in quella conversazione sei tu?”. Dissi io: “Credo di averlo capito, però, mi sembra, per la verità, di uscirne bene, perché la conversazione si conclude, ripeto, con l’affermazione “non lo farà mai”. La
Sarzanini mi fa: “Ma la conversazione non finisce così”. io dico: “Ah, no? E come finisce?” e lei mi dice “Guarda, io non l’ho letta, ma mi hanno detto che finisce con le parole: no, no, ci ho parlato e lo fa”». Quindi Borrelli, attuale procuratore di Salerno, davanti al Csm, sostiene che la Sarzanini gli avrebbe riferito intercettazioni che erano agli atti dell’inchiesta, ma non erano ancora divenute pubbliche. Infatti, nella captazione del 7 maggio 2019 Sirignano dice: «Guarda che se tu vai a Perugia, tu vai a Perugia perché sei affidabile! Capiscimi che cosa vuol dire questa parola. Te lo devo spiegare?». E, sempre nel racconto di Sirignano, Borrelli avrebbe risposto: «No, no ho capito».
Il 2 giugno sul Corriere della sera la Sarzanini scrive un articolo intitolato: «Anche un pm dell’Antimafia nella trattativa sulle Procure. Patto con i politici per 5 posti». La giornalista svela le identità di Sirignano e di Borrelli che sul decreto non compaiono. Ma, nell’articolo, riporta solo la frase di Palamara contenuta nell’atto consegnato all’ex presidente dell’Anm: «Eh deve aprire un procedimento penale su Ielo (Paolo, ndr)... cioè stiamo a parla’ di questo... non lo farà mai». Ma se la ricostruzione di Borrelli è attendibile, la persona che ha rivelato alla giornalista i nomi dei mister x tenuti coperti nel decreto le avrebbe anche riferito il contenuto di intercettazioni che non erano contenute nell’atto. Chi è stato? Nelle carte scaricate da Guadagno c’erano anche queste informazioni? Tutte questioni su cui la Procura di Perugia non ha cercato risposte.
Adesso Renzi e Crosetto invocano una commissione parlamentare su «dossieropoli», dove potrebbero regolare i loro conti con i giornalisti. Il fu Rottamatore vorrebbe buttare nel pentolone anche la vecchia vicenda Consip, dove un carabiniere è già stata condannato per una fuga di notizie su un procedimento di cui tutto il Giglio magico era al corrente, rivelazione che con la caduta del governo dei mille giorni nulla c’entra. Quello che nessuno ha il coraggio dire è che più che di «dossieropoli», bisognerebbe parlare di «Procuropoli».