Orazio Schillaci (Ansa)
Parlano tutti, anzi straparlano, tranne l’unico che a quest’ora una parola almeno dovrebbe averla già pronunciata. Il silenzio di Orazio Schillaci, ministro della Salute, è imbarazzante.
Parlano tutti, anzi straparlano, tranne l’unico che a quest’ora una parola almeno dovrebbe averla già pronunciata. Il silenzio di Orazio Schillaci, ministro della Salute, è imbarazzante.
E fu così che, in un giorno di primavera, Orazio Schillaci si rese improvvisamente conto di fare parte di un governo di destra. Dopo mesi di tentennamenti e cautele un filo snervanti, il ministro della Salute nel giro di poche ore ha rilasciato una serie di dichiarazioni abbastanza entusiasmanti. Intercettato dal Giornale d’Italia di Luca Greco si è fatto sfuggire alcune affermazioni che svelano un atteggiamento del tutto inedito riguardo al Covid e ai suoi postumi.
A proposito della commissione di inchiesta sulla gestione della pandemia di cui si attende con ansia la partenza, Schillaci ha detto: «Non sono un parlamentare quindi non so chi sarà il presidente, ma no a virostar. Sicuramente è meglio avere una figura terza che possa valutare con indipendenza quello che è successo senza essere unilateralmente schierato. Non credo quindi sia opportuno avere un virologo o una virostar». Nulla di sconvolgente, per carità, ma che esca dalla bocca di un esponente di governo che finora ha brillato per timidezza non è affatto male: la partenza benché ritardata è incoraggiante.
Ancora di meglio il ministro riesce a fare riguardo al grottesco psicodramma sulla malattia X di cui l’Oms va delirando da mesi. «Se guardassimo la storia delle pandemie, l’ultima prima del Covid era l’influenza spagnola, avvenuta più di 100 anni fa», dice Schillaci a riguardo. «Ovviamente mi auguro che per i prossimi 100 anni non ricapiti. Poi è chiaro che bisogna essere pronti se ci saranno nuove malattie, per saperle affrontare. Mi dispiace che tante volte compaiono notizie allarmistiche sui giornali che tolgono la serenità. Anche perché oggi, se guardo alle priorità della salute degli italiani, credo che bisogna impegnarsi sugli screening, sull’oncologia, sulla prevenzione... Su tante cose che durante il Covid sono state trascurate. Bisogna cercare di ridurre le liste d’attesa, quindi le priorità sono tante altre ma se ci dovesse essere una nuova malattia X, come viene evocata, saremo pronti ad affrontarla nel miglior modo possibile».
Che noi si sia pronti ad affrontare qualcosa è ovviamente tutto da dimostrare, e visti i precedenti pure eccessivamente ottimista. Ma che una persona in quel ruolo istituzionale se ne esca dicendo che occorre abbassare la tensione e non terrorizzare le persone è sicuramente confortante.
Il meglio però Schillaci lo ha offerto parlando di effetti avversi e danneggiati da vaccino, evocando una ipotesi di cui finora nessuno aveva parlato seriamente anche se tanti, a partire da noi, l’hanno chiesta con forza. Secondo il ministro si può ragionare sulla istituzione di una commissione scientifica, «di studio», cioè un gruppo di esperti che indaghi sulle reazioni all’iniezione. «Credo che sarebbe opportuno farla per avere maggiore chiarezza e soprattutto per dare maggiore tranquillità a tutti. Ci lavoreremo», dichiara. E aggiunge: «Credo che si potrebbe fare serenamente cercando di capire la dimensione e tipologia degli effetti avversi che si sono verificati». Tale commissione, a quanto si capisce, non dovrebbe essere parlamentare e dunque politica, ma appunto tecnica, composta da studiosi. E dovrebbe eventualmente coordinarsi con la commissione parlamentare di inchiesta. «Devo dire che quest’anno abbiamo registrato un numero molto basso di adesioni alla campagna vaccinale, anche antinfluenzale. Quindi fare chiarezza sarebbe utile», conclude Schillaci con parole emozionanti.
Siamo perfettamente consci del fatto che una cosa sono le parole e un’altra i fatti. Dunque resta da capire se queste frasi del ministro siano dal sen fuggite a margine di un incontro pubblico, se siano state strappate in un momento di confusione o se, in effetti, corrispondano a un pensiero concreto finora rimasto prigioniero dei timori e della convenienza politica. Tradotto: ci crederemo davvero quando vedremo i risultati, e non prima. Tuttavia siamo pronti - perché vogliamo cogliere ogni brandello di positività - a concedere il beneficio del dubbio. Sì, vogliamo credere che il ministro dica sul serio e che sia disposto a organizzare una commissione sugli effetti avversi, iniziando così a rendere giustizia a tutti coloro che finora hanno sofferto e sono stati condannati alla invisibilità. Ovvio: ci andiamo piano con gli entusiasmi. Sappiamo bene che anche un bel gesto può rivelarsi un boomerang e che talvolta studiare significa affossare o occultare: basta usare superficialità e correttezza politica per rovinare ogni buon proposito. Abbiamo inoltre imparato - osservando il percorso della commissione parlamentare di inchiesta sul Covid - che anche i progetti nati con le migliori intenzioni e sostenuti con tutte le forze per diventare reali devono affrontare gli ostacoli più ingombranti e le prove più severe, dilatando i tempi. Ma per ora, in questo vuoto totale di buone nuove, le parole di Schillaci sono una fiammella tenue ma luminosa, che bisogna lavorare per alimentare e trasformare in un fuoco. E, non deve passare inosservato, le frasi del ministro arrivano dopo quelle di Giorgia Meloni che a Fuori dal coro ha promesso a Mario Giordano: «Sugli effetti avversi andremo fino in fondo». Sì, sempre frasi sono, ma del presidente del Consiglio, e in teoria dettano la linea. Sommate alle uscite schillaciane, beh, male non fanno.
Per chiudere in bellezza la sua giornata da destrorso, Schillaci si è espresso pure sulla disforia di genere, tenendo il punto sulla necessità di approfondire il fenomeno e di mettere il naso nell’operato degli ospedali che trattano i minori e li avviano al cambio di sesso. Assieme alla collega Eugenia Roccella, Schillaci ha replicato alle associazioni di medici e attivisti che avevano protestato per le ispezioni all’ospedale Careggi di Firenze e si erano schierate in difesa dei farmaci bloccanti della pubertà. «Sono del tutto immotivate le preoccupazioni espresse in queste ore da alcune associazioni e da altri soggetti in merito al tavolo interministeriale sull’utilizzo dei farmaci ormonali bloccanti della pubertà nel trattamento della disforia di genere dei minori», hanno scritto i due ministri in una nota congiunta. «Le notizie giornalistiche sul caso Careggi, con le successive interrogazioni parlamentari e la conseguente ispezione, e i mutamenti di indirizzo da parte di altri Paesi che avevano promosso un utilizzo estensivo di questi farmaci e ora stanno rivedendo le proprie posizioni hanno reso non solo necessaria, ma anche urgente, una ricognizione tanto della letteratura scientifica quanto dei cambiamenti a livello procedurale, regolatorio ed eventualmente legislativo intervenuti all’estero. Questa ricognizione, affidata a esperti di alta e riconosciuta qualificazione scientifica, potrà fornire elementi conoscitivi a garanzia dei minori e dell’adeguatezza dei percorsi terapeutici, elementi che siamo certi stanno a cuore a tutti. Si tratta», concludono Roccella e Schillaci, «di un lavoro tecnico-scientifico e non di una consultazione associativa, sicché nessuna “esclusione” può essere lamentata e anche le contestazioni di metodo sono totalmente prive di fondamento».
Insomma, l’aria è buona. Cade qualche velo tra i tanti che hanno coperto la gestione dei vaccini e si mette un punto fermo sulla disforia e le derive gender. Tutto sta a capire se questi lievi segnali porteranno a qualcosa di più solido, per cui attendiamo senza abbassare la guardia: la speranza è l'ultima a morire ma Speranza (con tutto ciò che rappresenta) è sempre in agguato.