Nel 1903 Orville e Wilbur Wright portarono in volo il loro biplano. Tra i loro allievi i primi piloti della storia dell'aviazione italiana: Mario Calderara e Mario Cobianchi, che nel 1909 volarono con Wilbur a Roma Centocelle.
La notizia dei voli compiuti oltreoceano dai fratelli Orville e Wilbur Wright nei cieli del lontanissimo Ohio non giunse in Italia che nel 1905. Negli anni in cui iniziavano a dare buoni risultati i voli in dirigibile, gli esperimenti sul volo di apparecchi più pesanti dell’aria erano ancora circondati da una spessa parete di scetticismo, ma dall’altra parte alimentavano il mito e l’afflato verso il più grande sogno dell’uomo, il volo. Le perplessità talvolta si basavano sui fatti, vale a dire sui tanti esperimenti dimostrativi terminati con altrettanti plateali fallimenti. Il tentativo più importante avvenuto in Italia fu anche il primo che riguardava un velivolo più pesante dell’aria o meglio un ibrido tra un dirigibile ed un aeroplano. Il 7 giugno 1905, sulla Piazza d’armi di Roma, il Capitano di Artiglieria Vittorio Cordero di Montezemolo volle dimostrare le capacità di volo di un aeromobile progettato dall’imprenditore bresciano Achille Bertelli battezzato “aerostave”. Il motore in quell’occasione non funzionò e l’apparecchio dovette essere trainato da cavalli per potersi levare di pochi metri dal suolo come una sorta di grande aquilone. Da questo esperimento calò sul volo dei primi aeroplani un momentaneo sipario, che soltanto alcuni tra i più giovani entusiasti contribuirono a tenere vivo fino alla svolta di pochi anni più tardi.
Le notizie del successo che stavano avendo alcuni voli sperimentali in America giungevano in Italia frammentarie oppure filtrate da Paesi vicini che stavano raggiungendo risultati di rilievo in campo aeronautico, come la Francia. Proprio da Oltralpe nel 1908 arrivò con il suo apparecchio uno dei primi aviatori del mondo, preparandosi ad una dimostrazione pubblica nei prati di Centocelle (Roma). Léon Delagrange, di fronte ad un pubblico scettico e a tratti iracondo, stabilì il primo record di permanenza in volo: 15 minuti continuativi in cui il pilota coprì una distanza di 12 chilometri ad un’altezza di appena tre metri dal suolo. L’ultimo giorno di esibizioni era presente la Regina Margherita ma per una beffa della sorte Delagrange dovette atterrare dopo un breve volo per un’avaria. La partita pareva chiusa per sempre a favore del dirigibile, quando un ospite americano cambiò per sempre la storia dell’aeroplano in Italia. Si trattava di Wilbur Wright, il pioniere dei pionieri del volo a motore. Il suo biplano, il “Flyer”, stazionava a Centocelle dalla prima metà di aprile 1909. Un comitato di entusiasti dell’aviazione italiani, civili e militari, era riuscito a portare in Italia il primo aviatore del mondo per una serie di voli dimostrativi ma anche allo scopo di insegnare ai primi aspiranti piloti italiani il segreto del volo sul suo biplano.
Mario Calderara, brevetto italiano n.1. L’aviatore che veniva dal mare.
Nel cielo di Centocelle Wilbur Wright rese concreto il sogno del volo di fronte a centinaia di testimoni estasiati. Non soltanto il pilota americano volteggiò a lungo sulle teste degli spettatori senza incidenti, ma effettuò alcuni voli con passeggero. Tra i primi fortunati a provare l’ebbrezza del Flyer vi furono il principe Scipione Borghese, l’onorevole Sidney Sonnino, alcuni ufficiali dell’esercito e qualche nobildonna in crinoline. A terra, un giovane ufficiale di Marina sembrava avere più confidenza di altri con Wilbur Wright. I due si erano conosciuti per corrispondenza quando ancora flebile era l’eco delle magnifiche imprese del volo dei due fratelli dell’Ohio. Il Tenente di Vascello Mario Calderara, allora trentenne in forza alla Regia Marina, veronese di nascita e figlio di un ufficiale degli Alpini era sempre stato attirato dalla vita del mare e scelse la carriera sulle navi militari. Studiò a lungo, da ragazzo, il volo degli uccelli marini mentre si libravano nell’aria e planavano sfruttando le leggi della fisica. Saputa la notizia del successo dei fratelli Orville e Wilbur Wright nel 1905, intrattenne con loro una corrispondenza continua che portò i suoi frutti molto presto. Due anni più tardi, nelle acque di fonte a La Spezia, si vide levarsi in volo un aliante biplano simile per struttura al Flyer dei Wright ma con un paio di galleggianti al posto dei pattini e senza motore. Veniva trainato dal cacciatorpediniere “Lanciere” vincolato ad un cavo. Calderara lo portò in volo per un totale di circa 60 ore fino a quando un ammaraggio violento fece rischiare la vita al suo pilota, raccolto semi annegato. Nel 1908 era a Centocelle con Delagrange e conobbe uno dei primi costruttori di aeroplani in Europa, il francese Gabriel Voisin. Fu presso la sua officina di Issy Les Molinaux (periferia di Parigi) che Calderara ottenne di trasferirsi per un semestre per apprendere le tecniche della costruzione degli aeroplani. Un mecenate della capitale francese, Ambroise Goupy, finanziò il primo progetto di Calderara. Nacque così il biplano Goupy Calderara, che volò con successo nel marzo 1909 e che fu il primo apparecchio dotato di elica trattiva Tornato in Italia, incontrò Wilbur Wright nell’aprile 1909 durante i voli dimostrativi. Il pioniere americano lo riconobbe come il suo allievo ufficiale, anche perché Calderara era l’unico italiano ad avere avuto esperienza di volo e ad aver costruito una macchina volante efficace. Fu l’Aeroclub d’Italia a ratificare il primo brevetto di pilota di aeroplani in Italia, con i dati di Mario Calderara. Il biplano Flyer fu acquistato e rimase a Roma dove il pilota della Marina iniziò a insegnare i segreti del volo. Il 6 maggio durante una giornata particolarmente ventosa il Flyer precipitò e Calderara rischiò nuovamente la vita. Ma l’incidente non tolse il primo aviatore certificato dai comandi. Nel cielo di Brescia si tenne il primo Circuito aereo italiano, una gara sportiva tra i primi piloti del mondo. Dall’8 al 20 settembre 1909 Mario Calderara fu tra i partecipanti (in prevalenza francesi e inglesi) e riuscì a conquistare il primato della distanza, mentre primo assoluto fu il britannico Curtiss. Il biplano Flyer con motore potenziato pilotato da Calderara fu ammirato nelle sue evoluzioni da Vittorio Emanuele III. La presenza del Re fu il miglior viatico per la causa della nascita dell’aviazione italiana, che appena due anni più tardi, nella guerra di Libia, ebbe il battesimo del fuoco. Da un aereo italiano, quello pilotato dal Capitano Riccardo Moizo, caddero bombe a mano su un villaggio libico. Era il primo bombardamento aereo del mondo.
Mario Cobianchi, dall’amaro Montenegro al cielo
Bolognese classe 1885, Mario Cobianchi era il figlio di Stanislao, titolare dell’omonima fabbrica di liquori che produceva tra le altre specialità l’Elisir di Lungavita poi ribattezzato Amaro Montenegro. La sua prima passione fu lo studio del violino, che intraprese al conservatorio del capoluogo felsineo. L’inizio del nuovo secolo, segnato dal rapido progresso nel mondo della meccanica e dei motori, conquistò il giovane spirito inquieto di Mario che si impegnò dapprima nelle corse ciclistiche, quindi in quelle delle prime motociclette. Se Mario Calderara ebbe modo di conoscere i fratelli Wright tramite la corrispondenza, Cobianchi vide i loro primi voli di persona, quando lasciò Bologna per l’Ohio. Ritornato in Italia nel 1908, il giovane bolognese si dedicò alla costruzione di un elicoplano (un aereo con eliche spingenti e sostentatrici) e poi di un monoplano trasformato in seguito in biplano per aumentarne la portanza, il Cobianchi 2. Con questo aereo, spinto da un motore da 100cv, partecipò al primo circuito internazionale d’Italia a Brescia nel 1909 assieme a Calderara. Il suo brevetto di volo, n.24 in Italia, lo conseguì in Francia a bordo di un biplano Farman, aereo che Cobianchi decise di acquistare per l’utilizzo in Italia. Nel 1911 farà clamore con il primo sorvolo della torre di Pisa e riempì le cronache dei giornali quando nel cielo di Torino partecipò alle celebrazioni per i 50 anni dell’Unità d’Italia. Fu subito dopo volontario nel Battaglione Aviatori del Regio Esercito nella campagna di Libia. Al termine della Grande Guerra Mario Cobianchi partì per gli Stati Uniti dove rimase per circa due anni come supervisore di due nascenti aziende aeronautiche e come membro dell’Aviazione civile americana. Tra le due guerre ebbe incarichi ministeriali e diplomatici tra Italia e Stati Uniti fino allo scoppio delle ostilità nel 1940. Morì a Roma nel 1944 mentre gli aeroplani alleati bombardavano l’Italia.