Ansa
Bruxelles, media e progressisti tacciono davanti all’esodo di 100.000 profughi dal Nagorno. La retorica dell’accoglienza imposta all’Italia sparisce davanti al gas azero.
Dal 12 dicembre la strada che porta alla regione di minoranza armena è bloccata da sedicenti ambientalisti azeri. Tigran Grigoryan, analista politico, spiega che «la tattica dell'Azerbaigian è rendere la vita così difficile che le persone vogliono andarsene. Potrebbero aprire la strada in una direzione e si aspettano che segua una sorta di pulizia etnica 'volontaria».
Ci scrive l'ambasciatore dell'Azerbaijan in Italia Mammad Ahmadzada
Spettabile Direttore, scriviamo in riferimento all'articolo a firma di Ignazio Mangrano «Le elezioni nel Nagorno Karabakh come garanzia per la pace e la sicurezza nella regione» pubblicato nel vostro giornale lo scorso 9 maggio 2020.Purtroppo dobbiamo evidenziare come l'impostazione generale dell'articolo, in particolare l'approccio alle così dette "elezioni" in Nagorno Karabakh, territorio dell'Azerbaigian sotto l'occupazione militare da parte dell'esercito dell'Armenia, così come alle radici del conflitto e alla situazione attuale, rischi di sostenere le rivendicazioni territoriali dell'Armenia contro l'Azerbaigian e gli sforzi della prima per mantenere lo status quo ed imporre il fait-accompli nei territori occupati, per consolidare le consequenze dell'aggressione militare.
Il Nagorno Karabakh è la parte montuosa del Karabakh, una terra storica dell'Azerbaigian. Dai tempi antichi fino all'occupazione dell'Impero zarista, all'inizio del 1800, questa regione era parte di diversi stati azerbaigiani, da ultimo il khanato del Karabakh. Il Trattato di Kurakchay del 1805 stabilì il passaggio del khanato del Karabakh all'Impero russo. Al Trattato di Turkmanchay del 1828, come conseguenza delle guerra tra Russia e Iran, seguì un massiccio trasferimento di armeni nei territori azerbaigiani, in particolare in Karabakh, con un notevole aumento nel corso della prima guerra mondiale. Nel 1978 fu eretto un monumento in Karabakh, a riprova del 150mo anniversario dell'arrivo degli armeni nella zona, deliberatamente distrutto dagli stessi armeni a seguito del conflitto. Il 28 maggio 1918 fu proclamata la Repubblica Democratica dell'Azerbaigian e l'Assemblea Nazionale Armena del Nagorno Karabakh ha riconosciuto ufficialmente l'autorità dell'Azerbaigian. Il 28 aprile 1920 la Repubblica Democratica dell'Azerbaigian venne occupata dall'armata rossa e fu creata la Repubblica Socialista Sovietica dell'Azerbaigian. Il 5 luglio 1921 il Bureau Caucasico del Comitato Centrale del Partito Bolscevico decise di mantenere il Nagorno Karabakh all'interno della RSS dell'Azerbaigian, non di "trasferirlo" o "assoggettarlo" alla normativa azerbaigiana, contrariamente da quanto tipicamente affermato da fonti armene.
Il 7 luglio 1923, il Comitato Esecutivo Centrale della Rss dell'Azerbaigian emanò un Decreto "Sulla formazione della Provincia Autonoma del Nagorno Karabakh" (Nkao). I confini amministrativi della Provincia vennero definiti in modo che gli armeni ne rappresentassero la maggioranza. Possiamo dire che le radici del conflitto sono dunque nel trasferimento degli armeni nei territori azerbaigiani, oltre che nella decisione di creare una provincia autonoma nella parte montuosa della regione del Karabakh dell'Azerbaigian. Dalla fine degli ottanta del XX secolo l'Armenia ha avanzato le sue rivendicazioni territoriali contro l'Azerbaigian, aspirando all'annessione della regione azerbaigiana del Nagorno Karabakh, insieme con la deportazione di 250 mila azerbaigiani dalle loro terre storiche in Armenia. A questo ha fatto seguito l'aggressione militare da parte dell'Armenia contro l'Azerbaigian, che ha portato all'occupazione militare del 20% dei territori dell'Azerbaigian, inclusa la regione del Nagorno Karabakh e i sette distretti adiacenti - il 100% della popolazione di questi ultimi era azerbaigiana, e ha avuto come conseguenza una pulizia etnica contro tutti gli azerbaigiani nei territori occupati - con più di 1 milione di rifugiati e profughi interni, e la distruzione di tutti i monumenti storici azerbaigiani presenti nel territorio.
L'Armenia ha violato gravemente il diritto internazionale umanitario e commesso numerosi crimini di guerra, tra cui il genocidio di Khojaly, l'evento più drammatico del conflitto, che ha visto l'uccisione di 613 civili azerbaigiani, per mano dell'esercito dell'Armenia, nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 1992. I documenti di numerosi organismi internazionali, incluse risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'Onu 822, 853, 874 e 884 del 1993 confermano la regione del Nagorno-Karabakh come parte integrale dell'Azerbaigian, riaffermano il rispetto per la sovranità, l'integrità territoriale e l'inviolabilità dei confini internazionalmente riconosciuti della Repubblica dell'Azerbaigian, condannano l'occupazione dei territori azerbaigiani e chiedono il ritiro immediato, completo e incondizionato delle forze armate dell'Armenia da tutti i territori occupati dell'Azerbaigian, che sono stati ripetutamente e costantemente ignorati da parte dell'Armenia. La creazione da parte dell'Armenia nei territori occupati dell'Azerbaigian di un regime fantoccio, la così detta "repubblica del Nagorno Karabakh" o "repubblica dell'Artsakh", in definitiva nient'altro che il prodotto dell'aggressione militare e della discriminazione razziale e che non è riconosciuto da nessuno stato al mondo, inclusa la stessa Armenia, ha l'obiettivo di mascherare le conseguenze della sua aggressione, mantenere lo status quo e imporre il fait-accompli nei territori occupati. Lo svolgimento di così dette "elezioni" nei territori occupati dell'Azerbaigian rappresenta un ennesimo tentativo dell'Armenia di raggiungere questo obiettivo. Le ultime così dette "elezioni", come tutte le altre, sono state considerate illegali, quindi condannate e respinte da parte della comunità internazionale: tra i vari stati, inclusa l'Italia, compaiono anche numerosi organismi internazionali.
L'Azerbaigian sostiene negoziazioni sostanziali e orientate ai risultati per risolvere il conflitto, riferendosi sia alla legge suprema del nostro stato che al diritto internazionale. La soluzione graduale del conflitto - ovvero un'eliminazione graduale delle sue conseguenze, in cui la fase iniziale è la liberazione dei territori occupati intorno al Nagorno-Karabakh, il ritorno degli azerbaigiani espulsi da questi territori alle proprie case e l'apertura delle comunicazioni tra l'Azerbaigian e l'Armenia - per molti anni è stato oggetto di discussione e si riflette chiaramente nelle dichiarazioni dei co-presidenti del Gruppo del Minsk dell'Ocse. Si suppone quindi di garantire le condizioni per una vita congiunta di entrambe le comunità della regione del Nagorno-Karabakh per qualche tempo, tenendo conto nelle fasi successive dello status della regione nel quadro dell'integrità territoriale dell'Azerbaigian. L'Armenia, paese occupante, tenta di giustificare la sua aggressione militare usando questioni di sicurezza e il principio di autodeterminazione dei popoli.
È impossibile parlare di sicurezza senza eliminare il fattore di occupazione e senza ripristinare i diritti fondamentali di rifugiati e profughi azerbaigiani. La presenza delle forze armate dell'Armenia nei territori occupati è la principale fonte di minaccia alla sicurezza e il maggiore ostacolo alla soluzione del conflitto. Il diritto di autodeterminazione si riferisce ad un popolo ed il popolo armeno già ha esercitato questo diritto creando lo stato dell'Armenia. Prima del conflitto, nel Nagorno Karabakh risiedeva una popolazione costituita da abitanti di origine armena ed azerbaigiana, ma l'esercito dell'Armenia ha espulso totalmente gli azerbaigiani dalla regione. Solo dopo il ritorno degli azerbaigiani in questa area, si potrebbe considerare un'autonomia per la regione, sempre all'interno dell'integrità territoriale dell'Azerbaigian. Scopo di questa nostra è portare la Verità ai lettori, come insito nel nome stesso vostro quotidiano, che molto apprezziamo, e restiamo a completa disposizione per ulteriori informazioni e chiarimenti, disponibili anche ad un eventuale incontro conoscitivo.