Dopo mesi e mesi di incertezza per la redazione romana del Giornale è arrivata la notizia della chiusura. A comunicarlo è stato direttamente l'editore del quotidiano fondato da Indro Montanelli nel 1974, ovvero la Società europea di edizioni. Restano in bilico, dunque, le posizioni di 18 giornalisti e tre poligrafici, ai quali è stato dato tempo fino al 30 aprile per trasferirsi nella sede milanese del quotidiano. A tale notizia ha fatto seguito l'immediata reazione del Comitato di redazione (Cdr), il quale ha diffuso il seguente comunicato: «Le rappresentanze sindacali deprecano e respingono la decisione, arrivata dopo mesi di trattative sulla riduzione del costo del lavoro giornalistico, durante le quali i dipendenti del quotidiano hanno dimostrato la massima disponibilità. Ai dipendenti poligrafici una ipotesi analoga era stata semplicemente ventilata e mai neppure formalizzata. L'azienda, con un vero e proprio ricatto, mette i lavoratori e le loro famiglie davanti alla scelta secca tra le dimissioni e il trasferimento coatto da Roma a Milano. La chiusura della redazione del giornale si configura come una rappresaglia di un management poco abituato a relazioni industriali collaborative. La soppressione della redazione romana rappresenta la perdita di un punto di riferimento culturale e politico e segna il tramonto di una lunga stagione editoriale. La scelta non porta alcun beneficio economico ai conti del quotidiano, anzi rischia di relegarlo a un ruolo di foglio senza più ambizioni nazionali. La redazione di Roma è sempre venuta incontro alle esigenze economiche e strutturali del giornale, con un progetto riuscito di integrazione sul lavoro di desk tra Roma e Milano».
Oltre al duro comunicato il Cdr, congiuntamente alla Rappresentanza sindacale unitaria (Rsu), ha reagito proclamando lo stato di sciopero nella giornata di martedì 19 marzo, come segno di protesta contro la decisione unilaterale della Società europea di edizioni.
Al comunicato del Cdr ha fatto poi seguito la replica dell'editore, attraverso una nota firmata dall'amministratore delegato della Società europea di edizioni, Andrea Favari: «Facendo riferimento alle notizie di stampa relative alla chiusura della sede romana del Giornale, l'Editore precisa che la decisione è stata presa dal Consiglio di Amministrazione della Società europea di edizioni, tenutosi, ieri, 18 marzo. Senza l'avallo di persone estranee al CdA».
La notizia della chiusura della redazione romana del Giornale arriva dopo un periodo in cui il Cdr aveva già manifestato grande preoccupazione per la possibile vendita del gruppo. In un comunicato del 14 marzo si leggeva come «l'amministratore delegato del gruppo Mondadori Ernesto Mauri, che ha una partecipazione del 36% della Società europea di edizioni, ha spiegato che con l'azionista di maggioranza sta studiando un piano per la riduzione del costo del lavoro. Ha parlato di non meglio precisati ammortizzatori sociali, di decisioni meno traumatiche da trovare attorno a una tavolo e del costo del lavoro che non si adegua alle mutate condizioni del mercato». Il comunicato del Cdr proseguiva: «Negli ultimi anni il costo del lavoro del Giornale è costantemente calato, così come l'organico, che è ormai ridotto all'osso se confrontato con quello degli altri grandi quotidiani nazionali e i giornalisti hanno individuato e segnalato all'azienda una serie di sprechi e costi che è possibile ridurre, se non azzerare, visto che non sono funzionali alla realizzazione del prodotto e pesano in modo considerevole sul bilancio. Quindi anche sugli azionisti Mondadori, che ne saranno informati nella sede più opportuna».
Il Comitato di redazione ha proposto anche una soluzione: «Si fa presente all'ad di Mondadori che dal dicembre scorso il Cdr ha dato disponibilità a trattare su un piano di solidarietà ed esodi incentivati, ma l'azienda ha risposto con rinvii e silenzi imbarazzanti. Sono passati quattro mesi e altre perdite economiche che colpiranno gli azionisti del giornale e anche il portafogli degli azionisti Mondadori. Ma non per colpa dei giornalisti del Giornale. Per giornalisti che guadagnano stipendi non molto lontani dai minimi tabellari appare incredibile che un ad che guadagna circa 2 milioni di euro l'anno bonus a parte (2,7 milioni nel 2017) proponga come unica soluzione - per sanare una perdita che per quanto tocca a Mondadori risulta inferiore al suo incasso annuo del 2017 - la vendita di una testata storica dell'editoria italiana senza alcuna riflessione sul suo rilancio».
Montanelli e la banalità del male