Con un lavoro certosino i carabinieri del Nucleo investigativo di Roma hanno collocato l’avvocato Luca di Donna, molto vicino all’ex premier Giuseppe Conte (entrambi sono figliocci di Guido Alpa, il giurista recentemente scomparso) a capo di un vero e proprio comitato d’affari, a cui avrebbero partecipato altri due famosi avvocati romani, Federico Tedeschini (attualmente sotto processo per diversi reati, tra cui la corruzione) e Angelo Caliendo (per gli investigatori i tre professionisti «risultano gli organizzatori dell'associazione»), nonché l’ex parlamentare di Forza Italia Giancarlo Innocenzo Botti (ex presidente di Invitalia dal 2010 al 2016 ed ex commissario Agcom), che puntava a rastrellare commesse ( pubbliche interferendo sui ministeri e sulla Struttura commissariale Covid . È quanto emerge, con dovizia di particolari, dalle intercettazioni ambientali effettuate dai carabinieri negli studi di Di Donna e di Tedeschini, uno molto informato, essendo il suo studio una specie centro di gravità permanente degli affari romani. L’inchiesta è partita puntando sulle operazioni avviate «al fine di far ottenere commesse pubbliche, anche per importi di milioni di euro, a società fornitrici di dispositivi di protezione individuale e materiali utili a contrastare la diffusione del Covid». Il tema dei dpi è centrale in diversi degli affari individuati dagli investigatori come d’interesse del sodalizio (sono 11 in tutto quelli elencati nell’informativa di 138 pagine del giugno 2023).
I carabinieri, per esempio, citano un’operazione per far acquisire una commessa di mascherine da parte della Protezione civile/Invitalia all’imprenditore genovese Massimo Pollio, titolare della Imagro. Un mandato iniziale per 4 milioni di chirurgiche in cambio di 2,14 milioni (la lettera di incarico è del 13 marzo 2020). Le intercettazioni hanno documentato come Tedeschini, Caliendo e il collega Claudio Vinci abbiano «supportato» Pollio sotto il profilo legale. Infatti, l’imprenditore aveva ottenuto la commessa, ma poi il commissario Domenico Arcuri aveva annullato il contratto, «avvalendosi di un parere negativo del comitato tecnico scientifico». A questo punto, Pollio si rivolge allo studio Tedeschini per avanzare ricorso al Tar che, però, nega la propria giurisdizione. La Imagro impugna la sentenza e il Consiglio di Stato, presieduto da Franco Frattini, accoglie il ricorso (decisione di cui l’avvocato si vanterà) e fissa un’udienza di merito. Nelle more Arcuri decide di «ripristinare/rifare il contratto alla ditta di Pollio». Accetta di pagare 36 milioni di euro per una fornitura da 68 milioni di mascherine, la metà di quelle che erano state commissionate il 23 aprile 2020. E qui spunta un’intercettazione che, se approfondita, potrebbe aprire scenari clamorosi e che fa riferimento alla maxi commessa da 1,2 miliardi di euro che tre consorzi cinesi avevano ottenuto dal commissario grazie all’intermediazione di una strana banda finita poi a processo e di cui facevano parte soggetti come il giornalista Mario Benotti, il banchiere sammarinese (condannato per diversi reati e al centro di numerose inchieste) Daniele Guidi, l’imprenditore nel settore della Difesa Andrea Tommasi e il «bibitaro» ecuadoriano (vendeva succhi e cannabis light) Jorge Solis (oggi sotto processo anche per estorsione). Mentre Arcuri dava il via libera agli 800 milioni di mascherine provenienti da tre consorzi cinesi (dpi risultati poi in gran parte difettosi, al punto da far contestare alla Procura la frode in pubbliche forniture), molte altre aziende, come quella di Pollio o la Jc electronics (che in primo grado ha ottenuto dal Tribunale di Roma un risarcimento da 203 milioni di euro) di Torino venivano indebitamente escluse.
E Tedeschini, un’idea sulle motivazioni alla base di queste estromissioni, se l’era fatta. I carabinieri sintetizzano che l’avvocato «affermava che Invitalia avrebbe sospeso il contratto per le mascherine con la ditta di Pollio per favorire un’altra compagine, facente capo a un soggetto denominato cicciotto e giornalista Rai, verosimilmente Mario Benotti». Le esatte parole dell’avvocato sono state queste: «Arriva il mio amico, quel "cicciotto", come si chiama? […] eh, hai capito, quello della Rai, arriva D’Alema, Arcuri gli annulla il contratto, cioè gli dice il contratto è finito». Forse la commissione parlamentare Covid che sta investigando su tutte le ombre delle forniture effettuate durante il Covid dovrebbe chiedere a Tedeschini che cosa intendesse con quella frase criptica. Anche perché Massimo D’Alema, formidabile consulente di aziende grandi e piccole (è rimasto invischiato anche nella vicenda della fornitura di armi colombiane per cui la Procura di Napoli ha chiesto l’archiviazione), all’epoca aveva favorito la fornitura di respiratori dalla Cina. I carabinieri continuano: «A seguire Pollio affermava che con il nuovo commissario per l’emergenza Covid (il generale Figliuolo) lui non aveva avuto i problemi che aveva avuto col predecessore che definiva in maniera sprezzante. Quindi i presenti commentavano la figura di Arcuri ed i suoi rapporti con alcuni politici». Sarebbe interessante poter leggere l’intercettazione citata dagli investigatori.
I magistrati scrivono che inizialmente, per questa vicenda, era stata contestata la corruzione, «ipotizzando che parte della ingente somma richiesta dagli intermediari all’imprenditore Pollio fosse destinata a un pubblico ufficiale rimasto ignoto che avrebbe dovuto sbloccare la vicenda». Poi i pm hanno ritenuto di contestare solo il traffico di influenze illecite. La fornitura era stata revocata, come detto, da Arcuri («il commissario ad acta» lo chiamano i pm), e «ne era scaturito un contenzioso davanti al giudice amministrativo, definito stragiudizialmente con accordo transattivo novativo». Per portare a casa il risultato, secondo gli investigatori, gli avvocati si sarebbero avvalsi dell’«ausilio» di Innocenzi Botti, «soggetto completamente estraneo a un rapporto di mandato professionale», ma che sarebbe stato pagato 80.000 euro, attraverso una «vendita di orologi» fittizia. In tutto Pollio, nel piano del gruppo, avrebbe dovuto versare 365.000 euro di parcelle professionali. Alla fine, il 17 dicembre 2024, l’aggiunto Stefano Pesci e il pm Fabrizio Tucci chiedono l’archiviazione per tutti gli indagati perché, a loro dire, «la mediazione illecita era finalizzata alla commissione da parte del pubblico ufficiale trafficato (rimasto ignoto) di un abuso d’ufficio abrogato» dalla cosiddetta Riforma Nordio.
Il presunto sodalizio puntava anche ad affidare a una società di Innocenzi la sperimentazione di un prodotto salvavita di origine israeliana che avrebbe dovuto essere certificato presso il ministero della Salute. A portarlo in Italia era stato l’imprenditore Roberto Dagan, il quale aveva ottenuto il mandato per la distribuzione in Italia di un’apparecchiatura israeliana (la Breath of health - Respiro della salute) che permetteva, soffiando all’interno di un palloncino, di testare la positività al Covid, nonché l’eventuale presenza di 5 malattie letali, dal cancro e al Parkinson. Tedeschini, intercettato, spiegava che Dagan aveva origini libanesi e il padre sarebbe stato un capo del Mossad. Il gancio per riuscire nell’impresa era stato individuato nell’ex politico democristiano Angelo Sanza, molto legato all’ex ministro e conterraneo (sono entrambi lucani) Roberto Speranza, che andava convinto «della bontà dell’operazione». Scrivono i carabinieri: «Dalle conversazioni registrate, è emerso che, al ministero della Salute, avessero chiesto a Sanza una presentazione scientifica del prodotto proposto. A questo punto, il gruppo ha programmato di avvalersi della società Entheos worldwide Srl (di cui, ha evidenziato il Fatto quotidiano, è stato socio, dal dicembre 2021 al febbraio 2023, Alessandro Crosetto, figlio del ministro Guido, ndr), riconducibile al già citato Innocenzi, per la sperimentazione/collaudo del macchinario, necessaria per la certificazione da parte del ministero». Gli eventuali profitti sarebbero stati suddivisi «in maniera tale da occultare l’attività effettivamente resa da Sanza (intervenuto sul ministro)» puntualizzano gli investigatori. Che citano la frase di uno dei sodali: «Dobbiamo definire in questo accordo tra noi il ruolo di Angelino che non può essere quello che è, perché sennò diventa traffico di influenze».
Inizialmente Tedeschini non ritiene Speranza avvicinabile («No io al ministero della Salute... finché c’è ’sto cazzo di ministro non voglio sapere niente»), ma poi cambia «repentinamente decisione, avendo rammentato la propria amicizia con l’onorevole Sanza, il quale avrebbe potuto fungere da tramite con l’allora ministro». Dice, infatti: «Oddio, io ce l’ho la strada per il ministro che è il mio amico l’onorevole […] è proprio un uomo suo del mio grande amico ... onorevole ...». All’interlocutore di turno Tedeschini spiega che Speranza è «stato un allievo politico di Sanza». In un’altra occasione trilla: «Possiamo dare con Speranza (incomprensibile) tantissimo, è straamico di Sanza [...] con Sanza sono proprio amici amici…». Effettivamente Tedeschini e Sanza si incontrano più volte. Durante uno di questi abboccamenti l’avvocato fa sapere all’ex parlamentare che «al ministro bisogna presentare una mezza paginetta in Italiano» sul prodotto.
Pochi giorni dopo la riunione, il 6 novembre 2021, Sanza contatta telefonicamente Tedeschini: «Senti solo per dirti che esco in questo momento dall’incontro con il ministro della Salute […] a cui ho consegnato quelle brochure ...». E aggiunge: «Mi farà sapere». Per i carabinieri le brochure erano «quelle che Dagan gli aveva consegnato in occasione dell’appuntamento del 25 ottobre 2021». In un secondo incontro, Sanza, accompagnato dalla moglie, fa sapere che Speranza ha «delegato per la trattazione della pratica Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore della Sanità, nonché portavoce del Comitato tecnico scientifico». Nell’informativa si legge anche che «Sanza, in merito, aggiungeva che l’intenzione del ministro Speranza fosse quella di far mettere in contatto Brusaferro, oltre che con Dagan, definito da Tedeschini "il commerciale", anche con qualcuno che avesse una conoscenza scientifica del macchinario».
Prima della fine della conversazione, Sanza, sollecitato dalla moglie Aurora, «ricorda a Tedeschini di chiamare Dagan per riferirgli che quelli del ministero della Salute avrebbero voluto un incontro». E Tedeschini risponde lapidario: «Io non dico mai queste cose per telefono, ché ci danno il traffico di influenze!». Quindi aggiunge: «Voglio solo sapere quando viene a Roma ... perché sennò finiamo come il povero Luca (Di Donna, indagato e perquisito nel settembre del 2021, ndr)». Sanza, a questo punto, rassicura Tedeschini a proposito del suo incontro con Speranza: «Mi sono guardato bene dal mettere in circolazione biglietti! Gli ho dato quella brochure in inglese, che andava molto bene, ti devo dire».
Il 29 novembre 2021, durante un altro rendez-vous, Sanza «esterna la necessità di trovare un medico che, convinto del progetto, possa recarsi a parlare con Brusaferro […] giungendo alla conclusione, condivisa da Tedeschini, di interessare tale Nicola (Di Daniele, ndr), indicato quale vice direttore di Tor Vergata». In un’altra conversazione Innocenzi afferma che, in quel momento, nel comitato scientifico della Entheos «figura il professore Matteo Bassetti di Genova (noto virologo) e che socio della stessa è il professore Carlo Tomino, indicato da Innocenzi come "ex direttore generale dell’Aifa e attuale vicerettore del San Raffaele per la parte di virologia"». Nomi che avrebbero potuto rendere inutile il coinvolgimento di Di Daniele. Secondo Sanza questa situazione «avrebbe aiutato molto nella scelta il ministro Speranza, il quale avrebbe considerato una sorta di garanzia, per la sperimentazione del macchinario, la presenza di Bassetti, nonché di una società italiana per l’importazione».
Il 24 novembre 2023 l’ex ministro è stato sentito dal pm Fabrizio Tucci e ha ammesso di aver ricevuto il 6 novembre una brochure blu da Sanza, di cui ha detto: «È stato una delle personalità principali della mia Regione. Chiaramente lo conosco, ma non ho rapporti con lo stesso. Mi capita e mi è capitato di incontrarlo nel Transatlantico e di parlare con lo stesso, come con altri colleghi». Poi, a proposito dell’affare, ha spiegato, pur senza offrire certezze: «Successivamente all’incontro, se non erro, il progetto non ebbe seguito. Non ricordo se fui io stesso a effettuarne la valutazione o se la affidai per verificarne il merito a qualcuno del gruppo tecnico-scientifico dei miei collaboratori».
Anche in questo caso i magistrati hanno chiesto l’archiviazione a causa dell’abolizione parziale del reato di traffico illecito di influenze. La formula è sempre la stessa: manca la «prognosi favorevole di condanna». Insomma la colpa è sempre del guardasigilli Carlo Nordio, mai degli inquirenti che in questi affari milionari non trovano mai le mazzette. Sembra che a Roma i pubblici ufficiali elargiscano favori ai comitati d’affari rigorosamente a titolo gratuito.