Alla fine il velo di Maya è stato sollevato e tutti possono osservare con sbigottimento uno squarcio di mondo reale. A dirla tutta si trattava di un velo piuttosto sfilacciato, poiché quel che vi stava sotto era noto a tutti da tempo, però si faceva finta di non vederlo. Ora Mark Zuckerberg in persona ha fornito - ovviamente per interesse personale, non certo per amore della verità - preziose informazioni su quanto accaduto negli ultimi anni. Il fondatore di Facebook ha scritto una breve ma densissima lettera indirizzata a Jim Jordan, repubblicano a capo della commissione Giustizia della Camera dei rappresentanti americana, in cui spiega come le piattaforme di Meta abbiano di fatto orientato il dibattito pubblico su pressione del governo americano.
«Si parla molto in questo momento di come il governo degli Stati Uniti interagisce con aziende come Meta, e voglio che sia chiara la nostra posizione», scrive Zuckerberg. «Le nostre piattaforme sono rivolte a tutti, ci occupiamo di promuovere la parola e aiutare le persone a connettersi in modo sicuro. In questo contesto, sentiamo regolarmente governi di tutto il mondo e altri interlocutori con varie preoccupazioni riguardo al discorso pubblico e alla sicurezza pubblica».
Fin qui, tutto regolare. Ma ecco che cominciano le rivelazioni. «Nel 2021», prosegue Zuckerberg, «alti funzionari dell'amministrazione Biden, inclusa la Casa Bianca, hanno ripetutamente esercitato pressioni sui nostri team per mesi affinché censurassero determinati contenuti relativi al Covid-19, inclusi umorismo e satira, e hanno espresso molta frustrazione nei confronti dei nostri team quando non eravamo d'accordo. In definitiva, è stata una nostra decisione se rimuovere o meno i contenuti e siamo responsabili delle nostre decisioni, comprese le modifiche relative al Covid-19 che abbiamo apportato alla nostra applicazione in seguito a questa pressione. Credo che la pressione del governo sia stata sbagliata e mi rammarico che non siamo stati più espliciti al riguardo. Penso anche che abbiamo fatto alcune scelte che, con il senno di poi e con nuove informazioni, non faremmo oggi».
Eccola qui, la realtà, nero su bianco. Il capo di Meta ammette serenamente di aver censurato montagne di contenuti riguardanti la pandemia, commettendo di fatto una delle più clamorose operazioni di controllo del pensiero mai verificatesi in Occidente. Sono stati cancellati contenuti umoristici e satirici come nelle peggiori dittature, sono stati rimossi contenuti scientifici e informativi a prescindere dal fatto che fossero veri o meno. Tutto perché il governo degli Stati Uniti (a cui gli interessi di Big Pharma non sono estranei) aveva fatto pressione. Che le cose fossero andate così era abbastanza evidente, e persino ovvio, ma ora ne abbiamo la prova provata grazie alle candide ammissioni di Zuck.
Il quale afferma serenamente: «Come ho detto ai nostri team in quel momento, sono fermamente convinto che non dovremmo compromettere i nostri standard di contenuto a causa delle pressioni di qualsiasi amministrazione in entrambe le direzioni e siamo pronti a reagire se qualcosa del genere dovesse accadere di nuovo». Ah certo, questo ci fa stare molto più sicuri.
Purtroppo sembra che la portata di queste dichiarazioni non sia stata effettivamente compresa qui nel mondo «sviluppato». Per prima cosa, non si può accettare che la mostruosa operazione di censura passi in cavalleria, anche se Zuckerberg si comporta come un bambino che chiede scusa per la marachella e passa oltre. Per anni i nostri media hanno berciato contro presunti fascisti di ritorno, contro la disinformazione russa, contro la Spectre sovranista. Adesso però ci troviamo davanti agli occhi la spaventosa evidenza della dittatura progressista, che si manifesta tramite il controllo capillare delle piattaforme e dell’informazione. Possibile cavarsela con qualche scusa e via? Decisamente no.
Qui si dovrebbero pretendere azioni risarcitorie da parte del governo americano, chiaramente colpevole di una orrenda violazione delle libertà. La Casa Bianca, tuttavia, sembra non avere alcuna intenzione di chiedere scusa, anzi. «Di fronte a una pandemia mortale, questa amministrazione ha incoraggiato azioni responsabili per proteggere la salute e la sicurezza pubblica», si legge in un comunicato ufficiale della presidenza Usa. «La nostra posizione è stata chiara e coerente: crediamo che le aziende tecnologiche e gli altri attori privati debbano tenere conto degli effetti che le loro azioni hanno sul popolo americano, pur prendendo decisioni indipendenti sulle informazioni che presentano». In pratica, la Casa Bianca rivendica la censura.
Qui però non viene chiamato in causa solo l’esecutivo statunitense. Qualche parola di rammarico la vorremmo sentire anche da tutti i saputoni che negli anni del Covid hanno citato a sproposito la scienza e hanno tifato per la censura alimentando la psicosi fake news. Nei fatti, costoro sono stati complici di un regime, collaborazionisti, e hanno perduto ogni dignità.
Zuckerberg, tra l’altro, non la dice tutta. Perché i suoi social mica censurano solo le notizie sul Covid. Da parecchio tempo ormai agiscono come una moderna inquisizione - purtroppo con la complicità di tutti noi che ci ostiniamo a usufruire delle piattaforme - e hanno imposto a ogni livello la «cultura della cancellazione».
Sarebbe giunto il momento, quindi, che le nazioni occidentali iniziassero a prendere seri provvedimenti a difesa della libertà dei popoli. Non è più accettabile che finti distributori di contenuti che agiscono come editori e come autorità morali continuino a dettare legge. Tanto più che, anche qualora Meta cambiasse i suoi metodi, certo la libertà di opinione non potrebbe dormire sonni tranquilli. Se negli anni del Covid a fare il lavoro sporco ci hanno pensato Zuck e i suoi, nei prossimi anni sarà direttamente l’Unione europea a occuparsi di tappare la bocca alle fonti sgradite grazie al Digital services act, il quale è semplicemente una versione istituzionalizzata del sistema Meta: con la scusa della lotta alla disinformazione impedisce la circolazione delle notizie. Siamo di fronte a una emergenza, ma un’emergenza vera: ci viene quotidianamente sottratta libertà, ogni giorno il pensiero viene ostacolato. Mentre i nostri presunti intellettuali sproloquiano sui pericoli delle destre estreme, ci viene sottratto il nostro bene più prezioso.