C’è qualcuno in Europa che fa il tifo per la guerra. Ne abbiamo scritto giorni fa, quando il premier polacco Donald Tusk, uno dei beniamini di Bruxelles, ha parlato di situazione prebellica, quasi che i Paesi della Ue si dovessero preparare a un conflitto. Al primo ministro di Varsavia, nelle stesse ore si era aggiunto Emmanuel Macron, che all’improvviso aveva proposto l’invio di soldati francesi in Ucraina. Ieri però, l’inquilino dell’Eliseo è tornato a rincarare la dose, quasi non vedesse l’ora di spedire truppe europee al fronte.
«Dobbiamo essere pronti a questa escalation», ha detto intervistato dalla tv francese, «e noi siamo pronti a questa escalation». Per chi non avesse inteso, monsieur le président ha ribadito il concetto una seconda volta, aggiungendo di essere pronto a prendere decisioni che non facciano vincere la Russia. Certo, Macron è in campagna elettorale e visto che in patria le sue quotazioni sono al minimo, spera di rifarsi in Europa, agitando lo spauracchio di una vittoria di Putin su Kiev. Fosse così si potrebbe anche chiudere un occhio, lasciando che l’uomo che sognava di rappresentare il rinascimento transalpino si bruci con le sue stesse mani o, come in questo caso, con le sue stesse parole. Ma purtroppo la fregola di guadagnare visibilità anche con posizione estreme, unita alla voglia di mostrare il petto pur di apparire macho, rischia di fare brutti scherzi, soprattutto se non si ha a che fare con i gilet gialli o i ferrovieri, ma con un dittatore che ha a disposizione parecchie bombe atomiche e ogni tanto minaccia di farne uso qualora si trovasse in difficoltà. Ciò a cui stiamo assistendo da un paio d’anni non è un videogioco, e nemmeno un kolossal dove il bene deve trionfare sul male. Per due anni ci hanno raccontato che l’Ucraina non può essere lasciata sola e che aiutandola si difende il principio che nessuno può essere aggredito e che la libertà di un Paese è sacra. Peccato che il mondo sia pieno di Paesi che fanno la guerra ad altri e di regimi che limitano la libertà dei propri cittadini. Non sta scritto da nessuna parte che il bene possa sempre trionfare sul male: né a suon di miliardi, né dall’alto di una presupposta superiorità morale e democratica. Perciò non è il caso di scherzare, né di sfruttare ciò che sta succedendo in Ucraina (che l’Europa ha illuso e a cui un domani non escludo che possa voltare le spalle) per regolare i propri conti interni o accreditarsi nella Ue in vista delle prossime elezioni. Oggi nessuno sa dire quale sia la contabilità delle vittime in una guerra che va avanti da due anni. Si parla di almeno mezzo milione di morti, 350.000 dei quali sarebbero russi e il resto ucraini. Se le cifre fossero vere, parliamo di oltre 6.000 caduti al mese, ovvero 200 al giorno. Provate a immaginare quanti soldati europei potrebbero tornare cadaveri qualora entrassimo in guerra. Dieci, venti, cinquanta o cento. E dopo di che interrogatevi sugli impatti che tutto ciò avrebbe sull’opinione pubblica. L’America scappò dal Vietnam perché dopo anni di guerra il Paese non era più in grado di sopportare le bare che rientravano dal fronte. Quella lunga scia di morti, ripresa dalle telecamere, non era più accettabile per la maggioranza degli americani. Perché questa è la differenza fra una democrazia e un regime: la prima non può nascondere le vittime e non può ignorare il sentimento dei cittadini, mentre il secondo può fingere che i morti non ci siano e imbavagliare l’informazione. Dunque, Putin può usare i giovani russi, prelevati dalle lande più disperse del Paese, e obbligarli a combattere. Ma l’Europa no. Può sopportare un tributo di sangue fino a che le missioni militari sono camuffate dietro le operazioni di peace keeping, e comunque con un numero contenuto di vittime.
Perciò è importante contenere l’eccitazione di politici come Macron, i quali magari pensano che la loro industria bellica, in caso di conflitto, potrebbe guadagnare e qualche vantaggio potrebbero trarne anche loro, risorgendo nei sondaggi dopo mesi di caduta libera. Oggi parlare di guerra appare solo una mossa disperata. E bene ha fatto, per una volta, Sergio Mattarella a citare la Costituzione italiana, che ripudia la guerra. Così come è stato sensato l’intervento di Antonio Tajani, il quale da ministro degli Esteri, ma anche da esponente del Ppe, ha ricordato che inviare truppe europee in Ucraina significa scatenare la terza guerra mondiale. Dopo di che sia Mattarella sia il segretario di Forza Italia devono porsi il problema di come calmare l’esagitato inquilino dell’Eliseo al quale noi italiani siamo legati da un trattato di collaborazione reciproca e con il quale finora si è guidata la Ue.