La storia è raccontata nei dettagli in queste pagine dal nostro Francesco Bonazzi il quale, non essendo abituato ad accontentarsi né dei comunicati ufficiali né delle versioni di comodo, ha preferito fare due conti, scoprendo come ciò che i 5 stelle presentano come una grande vittoria dello Stato sia, per le casse del medesimo, una pesante sconfitta.
Sintetizzo in breve ciò che il collega racconta più diffusamente senza dimenticare alcun dettaglio. La sostanza è questa: se, dopo il crollo del ponte Morandi, il governo avesse fatto ciò che Giuseppe Conte aveva promesso, ovvero avesse receduto dalla concessione ad Autostrade (la famosa «caducazione» evocata a cadaveri ancora caldi da colui che ancora si definiva l'avvocato del popolo) lo Stato avrebbe dovuto sborsare 19,1 miliardi. Una cifra mostruosa che in molti, e noi tra questi, avremmo ritenuto non dovuta, visto com'era mantenuto un bene finanziato con le tasse dei contribuenti. Ma a prescindere dal fatto che tale somma dovesse essere pagata o meno, una buona parte sarebbe tornata nelle casse pubbliche sotto forma di tasse. Bonazzi ha calcolato che le imposte introitate dal fisco sarebbero state pari a 5,3 miliardi e dunque, Benetton e soci avrebbero messo in tasca 13,8 miliardi.
Troppi? Sì. Un'enormità soprattutto considerando ciò che è successo sul Morandi. Tuttavia, non aver innescato il recesso, ma avere avviato una procedura che condurrà all'acquisto di Autostrade da parte di Cassa depositi e prestiti e di alcuni fondi d'investimento, comporterà per lo Stato una spesa maggiore e per i Benetton un incasso superiore al previsto. Non ci credete? Basta fare due conti, come li ha fatti Bonazzi.
In caso di recesso, come abbiamo visto, la spesa netta per il governo sarebbe stata di poco inferiore ai 14 miliardi. Per effetto invece dell'offerta presentata da Cassa depositi e prestiti e dai soci, a Benetton e compagni andranno 9,1 miliardi, a cui forse si aggiungeranno 400 milioni di indennizzo Covid. In totale, dunque, lo Stato pagherà 9,5 miliardi e mezzo, in apparenza molti meno rispetto al costo della «caducazione» della concessione. O per lo meno questo è ciò che sembra. Infatti, ai soldi che ufficialmente sono iscritti per l'operazione bisogna aggiungere 8,8 miliardi di debito, che prima pesavano sulle spalle della famiglia veneta e da domani ricadranno su quelle degli acquirenti, vale a dire degli italiani. Già qui si capisce che l'affare sia molto meno conveniente di quanto si dice, ma se a ciò si aggiunge che i soli indennizzi per il crollo del Ponte Morandi rischiano di costare allo Stato 3,4 miliardi, a cui si dovranno probabilmente aggiungere i costi legali, beh si capisce che l'affare non lo ha fatto il Paese, ma i fratelli dei maglioni a colori. Mettendo insieme le cifre, tra quelle che saranno liquidate alla famiglia veneta e quelle che si rischia di dover liquidare tra investimenti e danni, si arriva a 21,3 miliardi, 7,3 in più dell'ipotesi iniziale di «caducazione» della concessione. Non è finita. Se già c'è da farsi venire un travaso di bile per il regalo fatto ai Benetton, a mandare su tutte le furie qualsiasi persona di buonsenso è il fatto che, a seguito delle plusvalenze, il gruppo veneto pagherà qualche cosa di più di alcune briciole. Infatti, mentre ai comuni mortali è applicato un salasso, in questo caso ci si dovrebbe fermare al 5 per cento della plusvalenza, che tradotto in valori assoluti significherebbe all'incirca un centinaio di milioni su un guadagno di circa 2 miliardi.
Vi sembra una porcata? Beh, anche a noi, soprattutto perché tutto ciò avviene a distanza di tre anni dalla strage in cui persero la vita 43 persone. E poi perché, dopo tante promesse inutili, si scopre che alla fine chi ha incassato lucrosi dividendi, gran parte dei quali dovuti anche alle scarse manutenzioni della rete autostradale, oggi non paga dazio, ma addirittura se ne va con le tasche piene. È vero, i Benetton devono rinunciare a quella che per vent'anni è stata una gallina dalle uova d'oro. Ma al contrario di ciò che era stato raccontato, non se ne vanno a mani vuote. Anzi: escono dalla società che ha gestito i pedaggi con una montagna di denaro, liquidità che potranno impiegare per nuovi affari, alla faccia di tutti coloro che avevano creduto alle parole di Giuseppe Conte, il quale da giurista dichiarò che non si potevano aspettare i tempi della giustizia. Eh già. Ma si era dimenticato di aggiungere che, per quelle 43 vittime, non bisognava neppure aspettarsi la giustizia.
L’umarell di Treviso incolpa gli altri e conta i suoi miliardi