Ecco #DimmiLaVerità del 5 dicembre 2025. Il senatore Gianluca Cantalamessa della Lega commenta il caso dossieraggi e l'intervista della Verità alla pm Anna Gallucci.
Giulia Bongiorno (Imagoeconomica)
La Lega mette nel mirino il ddl e fa slittare l’approvazione a febbraio. La Bongiorno: «È necessario ascoltare esperti». Il timore è che norme troppo vaghe invertano l’onere della prova. In effetti sul punto il presidente del Tribunale di Milano si è già contraddetto.
L’accordo tra Elly Schlein e Giorgia Meloni sul ddl consenso è chiuso, certo, ma non nei dettagli, come ovvio che accada tra presidente del Consiglio e leader di opposizione. Difficile immaginarle al tavolo insieme a scrivere la legge, ma è proprio nei dettagli che, come si dice, spesso si nasconde il diavolo. O meglio detto: nei particolari si celano le preoccupazioni. Qui si è creata l’impasse che ha portato alla richiesta di approfondimenti da parte della Lega e poi di tutto il centrodestra in commissione Giustizia al Senato. Tra le pieghe dell’emendamento ci sono passaggi poco chiari, che vanno definiti e chiariti bene per evitare di emanare una legge scritta male con tutti i rischi che ne derivano.
Nel dettaglio il terzo comma prevede che «nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non minore eccedente i due terzi». Il passaggio, già previsto dall’attuale articolo 609 bis del codice penale (Violenza sessuale), è già considerato criptico: cosa si intende per minore gravità? Non solo. Il vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini osserva: «Questa sorta di consenso preliminare, informato e attuale, così come è scritto, lascia lo spazio a vendette personali, da parte di donne e uomini, che senza nessun abuso userebbero una norma vaga per vendette personali che intaserebbero i tribunali». Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha commentato: «Devi valutare virgola per virgola, proprio per evitare un domani delle interpretazioni eccentriche. Questo secondo me è il problema e questo è quello che ha detto la presidente Bongiorno».
Giulia Bongiorno infatti, oltre a essere uno dei più importanti e preparati avvocati penalisti italiani, ricopre la carica di presidente della commissione Giustizia in Senato. Sua la decisione di audire nuovi esperti. «Questa è una norma importantissima, ma non è che il patto tra Schlein e Meloni era sul singolo comma di una norma o sulla questione che si sarebbe dovuta approvare il 25 novembre. Non è che se io considero importantissimo valorizzare il consenso vuol dire che la legge venga fatta senza un minimo di approfondimento in commissione. Questo disegno di legge è arrivato da noi ieri (martedì, ndr) mattina e alcuni dei senatori della mia commissione hanno detto che fosse il caso di approfondirlo. Visto che si tratta di una riforma importantissima, ho accordato questo tempo e ho già ricevuto centinaia di richieste di audizioni, perché ci sono tantissime persone che vogliono partecipare e dare la loro indicazione. Quindi, non c’è nulla di diverso se non un approfondimento, l’accordo tra Schlein e Meloni sarà assolutamente rispettato e la legge si farà, escludo categoricamente che ci sia una volontà di affossarla». Sui tempi poi ha aggiunto: «Ho già dato il termine per lunedì per indicare gli esperti da audire. Ho chiesto ai gruppi che vengano sentite persone esperte, tecnici. In secondo luogo è vietato superare il numero di due per gruppo».
In seguito sarà fissato un termine per presentare nuovi emendamenti. Sempre Bongiorno ha spiegato: «Ho chiesto se ci fosse unanimità nella rinuncia agli emendamenti, l’unanimità non c’è stata». Se dovessero passare delle modifiche la legge ritornerà alla Camera per una nuova approvazione. «In commissione la legge sarà pronta a gennaio. A febbraio potrebbe già esserci l’approvazione in Senato», ha precisato la Bongiorno. E anche il presidente del Senato Ignazio La Russa ha chiarito «Meloni d’accordo con Schlein. Non fa alcun passo indietro sul ddl consenso».
Eppure son dure le reazioni del centrosinistra che accusa la maggioranza di tradire i patti e di voler affossare la legge. La fretta delle opposizioni per alcune fonti parlamentari era strategica, voluta per far passare una norma non condivisa, dopo aver strumentalmente fatto passare la generica disponibilità di Meloni per un accordo su quel testo. Lo stesso ministro delle Pari opportunità e della Famiglia Eugenia Roccella ha sollevato dubbi circa la possibilità che si inneschi l’inversione dell’onere della prova a carico dell’accusato di stupro. Il presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia la considera una «suggestione, un profondo sbaglio giuridico-processuale» perché «dovrà essere il pm, non la donna, che si limiterà a fare una denuncia, che viene fatta sempre sotto assunzione di responsabilità, a dimostrare che quel rapporto è avvenuto senza un libero consenso». Tuttavia Roia sullo stesso nodo esprimeva un parere opposto intervistato da Repubblica appena una settimana fa. Rispondendo alla domanda: «Adesso dovrà essere l’uomo a dimostrare che la donna era consenziente?», ha detto: «Se io fossi un pm, davanti ad una donna che mi dice di aver subìto violenza, la prova c’è già. Poi naturalmente andrà valutata nel dibattimento». A dimostrazione del fatto che le leggi, specie se mal scritte, si possono interpretare a piacimento.
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Alberto Stefani, eletto presidente del Veneto (Ansa)
Trionfo scontato del Carroccio, grazie anche all’eredità di Zaia. Il neo presidente: «Lo vorrei in squadra per i prossimi 30 anni». Szumski, radiato per i suoi dubbi su vaccini e pass, prende oltre il 5%: «Un’impresa».
Il Veneto resta al centrodestra. Risultato scontato, meno scontato superare di gran lunga il 60% come fatto dal nuovo presidente leghista Alberto Stefani, il governatore più giovane d’Italia con i suoi 33 anni. Centrosinistra più che doppiato a confermare l’assoluta irrilevanza sul territorio di Pd e alleati.
Nel momento in cui scriviamo Stefani conquista la guida della Regione Veneto con il 64,1%, con un picco del 69% nella provincia di Verona, trascinato da una Lega che nel momento più difficile degli ultimi anni si conferma prima forza e raggiunge quasi il 36% dei consensi.
Nel 2020 la Lega prese appena il 16,9% ma al contrario di queste elezioni, il governatore uscente Luca Zaia correva con una sua lista che ottenne il 44,5%. Insomma il Doge non riesce a riversare tutti i suoi consensi, ma probabilmente gli si possono attribuire almeno la metà dei voti. Risultato ottimo per Fratelli d’Italia che più che raddoppia i suoi elettori (18,6%) se si paragona il dato alle regionali di cinque anni fa (9%). Perde consensi invece se si paragona il dato alle scorse europee, ma trattandosi di competizioni completamente diverse paragonare il dato sarebbe fuorviante. Leggermente inferiore alla media nazionale anche Forza Italia, che ottiene circa il 6,4% dei voti. Il candidato del centrosinistra Giovanni Manildo ottiene il 29,10% delle preferenze con il Pd prima partito della coalizione (16,8%) seguito dal 4,6% di Avs e l’imbarazzante 2,2% del Movimento 5 stelle, circa lo stesso dato di cinque anni fa.
L’astensione in questa regione è particolarmente alta, si reca alle urne solo il 44,6% degli aventi diritto, pari a 4 milioni e 300.000 di veneti. Probabile che si sia aggiunta, oltre all’astensione fisiologica, anche quella dovuta alla affezione nei confronti di Zaia, che in molti avrebbero voluto potesse ricandidarsi.
Per il Doge «si apre una fase ricca di sfide». Le prime dichiarazioni le ha rilasciate dal K3 di Villorba (Treviso) sede regionale della Liga Veneta. «Ho sentito al telefono il presidente Stefani alle 15.01, subito dopo la chiusura dei seggi. Gli ho rivolto i miei auguri più calorosi di buon lavoro, complimentandomi per una campagna elettorale condotta con efficacia e determinazione. Alberto si appresta a guidare la Regione del Veneto in una fase ricca di sfide: sono certo che saprà affrontare questo incarico con senso del dovere e responsabilità». Poi Zaia ha aggiunto: «Un augurio di buon lavoro va anche alla squadra che sarà chiamata ad affiancarlo nella guida della Regione Veneto, con il compito e l’obiettivo di mantenere alto lo standing di un territorio che, per vocazione, esercita un ruolo guida nel Paese». A chi gli chiede di una vicesegreteria della Lega risponde: «Non ho mai avuto come abitudine rispondere alle proposte che non mi fanno i diretti interessati, quindi, non rispondo. Io ho sempre lavorato in maniera coerente».
«Si parlava di spallata al governo, non c’è stata» commenta il leader della Lega Matteo Salvini raggiunta Padova. E poi: davano «la Lega per morta e Salvini per morto da almeno 10 anni. Diciamo che siamo in discreta salute». A chi gli chiede se con questo risultato si possa ridiscutere la Lombardia risponde: «Mancano almeno due anni. Oggi ci godiamo una straordinaria vittoria in Veneto. Esiste una coalizione, esiste una squadra, esistono legittime e reciproche aspettative». Si congratula con Stefani, che conferma vicesegretario federale: «Il risultato del Veneto fa bene a tutti alla Lombardia, all’Emilia-Romagna e si deve prendere d’esempio. Si è parlato poco e si è lavorato tanto e la Lombardia può raggiungere questo risultato. Ottima scelta quella di Alberto (Stefani, ndr) di portare le tematiche del sociale e degli ultimi. Non sono solo temi della sinistra».
«Occhi e cuore solo per i veneti» esulta in prima battuta sui social Stefani che si augura di avere Zaia nella sua squadra per i prossimi 30 anni. In conferenza stampa commenta l’affluenza «non può soddisfarci» e si esprime sulla giunta: «Pacta sunt servanda», dice, rispondendo a chi gli chiede se la distribuzione degli assessori concordata con Fdi (che vede una maggioranza di assessori al partito di Giorgia Meloni) cambierà dopo la larga vittoria della Lega. «Siamo una coalizione, una squadra compatta. Per me le squadre restano tali fino alla fine».
«Una vittoria frutto del lavoro, della credibilità e della serietà della nostra coalizione. A Stefani vanno i miei complimenti e i migliori auguri per le sfide che lo attendono» le parole del presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Ma se la vittoria del centrodestra era scontata, il risultato più sorprendente lo ottiene Riccardo Szumski, che si posiziona al terzo posto raccogliendo il 5,16% dei voti, con l’appoggio di Szumski Resistere Veneto. «Abbiamo fatto l’impresa con 4 gatti e tanta volontà ma adesso inizia il bello» commenta il medico radiato dall’albo per le sue posizioni critiche nei confronti dei vaccini e del green pass. Infine, Marco Rizzo, ottiene l’1,15% delle preferenze, mentre Fabio Bui lo 0,52% dei voti.
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2025-11-13
Dimmi La Verità | Alberto Gusmeroli (Lega): «La nuova rottamazione delle cartelle esattoriali»
Ecco #DimmiLaVerità del 13 novembre 2025. Il presidente della commissione Attività produttive Alberto Gusmeroli, della Lega, spiega i dettagli della nuova rottamazione delle cartelle esattoriali.
Il Carroccio inchioda i sindacati: «Sette mobilitazioni a novembre e dicembre. L’80% delle proteste più grosse si è svolto a ridosso dei festivi. Rispettino gli italiani».
È scontro politico sul calendario degli scioperi proclamati dalla Cgil. La Lega accusa il segretario del sindacato, Maurizio Landini, di utilizzare la mobilitazione come strumento per favorire i cosiddetti «weekend lunghi», sostenendo che la maggioranza degli scioperi generali indetti nel 2025 sia caduta in prossimità di giorni festivi o di inizio e fine settimana.
Secondo una nota diffusa dal Carroccio, «varie sigle sindacali, Cgil in testa, nel 2025 hanno organizzato 22 scioperi generali, sette dei quali annunciati tra novembre e dicembre». La Lega sottolinea che «quasi l’80% delle iniziative si sono svolte di venerdì o di lunedì. Gli altri, di sabato o nei festivi». Da qui la critica: «Landini nega di volersi organizzare il fine settimana allungato: ci dica perché la difesa dei lavoratori non è mai in agenda, per esempio, in qualche mercoledì feriale. Chiediamo rispetto per milioni di cittadini italiani ostaggio di qualche sindacalista festaiolo, viziato e capriccioso».
Il deputato Igor Iezzi ha definito «inaccettabile» questa linea di condotta. Sulla stessa linea il deputato Andrea Crippa, che in una nota si domanda «per quanto tempo Landini e i suoi credono di poter prendere in giro gli italiani». Anche il senatore Claudio Borghi è intervenuto nel dibattito, criticando aspramente l’operato del segretario confederale. «La Cgil perde 22 a zero. Zero è il numero di scioperi generali fatti quando il governo Monti spostava l’età pensionabile di sette anni anche per chi era appena stato licenziato, quando si creava disoccupazione a colpi di tasse sulla casa e tagli agli investimenti, quando il lavoro veniva oppresso dalla minaccia artificiale dello spread. Adesso che abbiamo il record di occupati, il minimo storico di disoccupazione e l’aumento più grande degli ultimi decenni negli investimenti pubblici, l’ineffabile Landini invoca 22 fine settimana lunghi camuffati da scioperi generali». «Così facendo» ha aggiunto, «si ottiene una sola cosa: lo svilimento del diritto di sciopero e la perdita totale di credibilità di un’istituzione importante come il sindacato. La domanda è la stessa che Cicerone rivolgeva a Catilina: “Fino a quando, o Landini, abuserai della nostra pazienza?”».
Alle critiche si è aggiunto anche Armando Siri, capo dei dipartimenti della Lega e consigliere di Matteo Salvini, che in un’intervista a la Repubblica ha dichiarato: «Landini è desaparecido sulle banche, non gli ho sentito dire una parola sull’iniziativa che il governo ha preso, anche se fa uno sciopero generale contro la manovra, contro “i ricchi”. Poi bisognerebbe dire che ci sono 82 contratti fermi nella Pubblica amministrazione, che la Cgil non ha voluto firmare. Quanto al giorno scelto, fa un torto a tanti altri che al lavoro ci devono andare». Ha aggiunto che «una riflessione su una stretta sugli scioperi a ridosso del weekend ci può stare. Troppi lavoratori si sentono danneggiati. Di certo non si ottengono risultati con scioperi così».
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