(IStock)
Il manager avrebbe fatto pedinare un dirigente di Jp Morgan, controllare aziende e spiare ossessivamente una sua dipendente. E in una intercettazione spunta il nome dell’ex ad dell’«Unità» Guido Stefanelli.
Nella mia carriera da direttore mi è capitato di scoprire molti altarini: dal bacio in fronte che Fiorani promise al governatore della Banca d’Italia fino all’«Abbiamo una banca» di Fassino. Però, tra tutte le accuse che mi sono tirato addosso per aver semplicemente fatto il mio mestiere, che è quello di dare le notizie e non di nasconderle per compiacere qualcuno, mai ero stato accusato di essere un eversore.
Per aver raccontato delle telecamere con cui alla Coop qualcuno si era messo a spiare i lavoratori, mi hanno processato per ricettazione. Per i viaggi di Napolitano e gli sprechi del Quirinale mi sono invece beccato un vilipendio al capo dello Stato. L’accusa di essere un sovversivo, anzi un terrorista, finora però mi era stata risparmiata. A colmare la lacuna ha provveduto l’Unità, che ieri se n’è uscita in edicola (quelle poche che ancora reggono e quelle poche che distribuiscono il quotidiano comunista) con il seguente titolo: «Eversione a mezzo stampa. Intercettavano i parlamentari e poi consegnavano tutto a Belpietro per infangare le Ong, Casarini, il Pd e il papa». Il minuscolo per il Papa, a fronte di maiuscole per Ong e compagni, ovviamente non è mio, ma tant’è.
Nell’articolo, il giornale fondato da Antonio Gramsci e che l’attuale direttore Piero Sansonetti sta provando a riaffondare, si sostiene che nell’inchiesta della Procura di Ragusa a carico di Luca Casarini e della sua banda di disobbedienti siano stati intercettati i parlamentari, in spregio «del diritto e delle leggi» (che poi sono la stessa cosa, ma anche su questo sorvoliamo). Il riferimento è alle notizie pubblicate dalla Verità, che svelano i rapporti tra alcuni onorevoli del Pd e Mediterranea, l’Ong nata da esponenti dei centri sociali e finanziata da alcune diocesi con la benedizione della Cei. Secondo l’Unità, gli inquirenti che hanno indagato Casarini e compagni per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, hanno «disposto tonnellate di intercettazioni e sequestrato altre tonnellate di messaggi whatsapp e email», consegnando il tutto a noi, che da giorni andiamo «pubblicando messaggi e intercettazioni in prima pagina senza che nessuno intervenga». E tra queste tonnellate di intercettazioni, whatsapp e email - udite, udite - ci sarebbero anche quelle di alcuni onorevoli compagni. Da qui l’accusa di eversione per avere violato le prerogative che proteggono le conversazioni e la posta dei parlamentari della Repubblica.
Peccato che quanto scritto da Sansonetti non sia vero. Già, innanzitutto perché al momento non risulta che allegate all’inchiesta di Ragusa ci siano intercettazioni. E in secondo luogo perché, non esistendo le prime, non possono neppure esistere le seconde, ovvero le chiacchiere tra Casarini e deputati o senatori della Repubblica. Sì, se all’Unità sapessero leggere gli articoli che pretendono di censurare, si sarebbero presto resi conto che le guarentigie parlamentari non sono state violate, perché di nessun onorevole è stata resa pubblica, agli atti o sul nostro giornale, una conversazione captata con qualche microspia. E non sono state sequestrate neppure tonnellate di messaggi o email. Semplicemente, agli indagati sono stati sequestrati i telefoni e i computer, come si usa in qualsiasi inchiesta. E in quei device in uso agli indagati sono state rinvenute le chat che Casarini e compagni si sono scambiate. Attenzione: non gli sms con gli onorevoli, ma quelli fra i componenti della Ong che davano conto delle frasi e delle informazioni ricevute - lo dicono loro - dai parlamentari «amici», i quali spifferavano al gruppo di disobbedienti informazioni riservate della Guardia costiera. Anche in questo caso, sono gli stessi militanti di Mediterranea a riferirlo, non un’intercettazione, che per altro non c’è. Dunque, nessuna eversione, nessuna violazione delle prerogative di deputati e senatori, ma solo un’inchiesta che nel pieno della legalità scoperchia gli altarini della sinistra antagonista e della sinistra di governo, con tanto di preti e vescovi a officiare.
Tuttavia, anche se l’attentato agli organi costituzionali denunciato dall’Unità si rivela un petardo, a commento della reazione isterica del quotidiano comunista sono importanti due annotazioni. La prima è che nell’articolo si sollecita la censura, invitando il ministro della Giustizia, l’Ordine dei giornalisti e forse anche l’esercito a tapparci la bocca, impedendo la prosecuzione di un’inchiesta che sta mettendo a nudo i traffici del Pum, Partito unico dei migranti. La seconda annotazione riguarda la curiosa conversione di Casarini e dei suoi compagni. In passato, quando alcuni governi intendevano regolare la pubblicazione di notizie riguardanti le inchieste, la sinistra scese in piazza al grido di intercettateci tutti e Repubblica lanciò una campagna con le fotografie dei militanti con i post-it sulla bocca. Ma all’epoca c’era Berlusconi da abbattere e dunque valeva tutto, anche le conversazioni delle Olgettine e pure le registrazioni abusive. Spiare la camera da letto del presidente del Consiglio dell’epoca non era eversione, era onore al merito. La realtà è che di questi rivoluzionari imbolsiti che ancora ci vogliono impartire lezioni di democrazia e di deontologia ne abbiamo tutti le tasche piene.
Nella mia carriera da direttore mi è capitato di scoprire molti altarini: dal bacio in fronte che Fiorani promise al governatore della Banca d’Italia fino all’«Abbiamo una banca» di Fassino. Però, tra tutte le accuse che mi sono tirato addosso per aver semplicemente fatto il mio mestiere, che è quello di dare le notizie e non di nasconderle per compiacere qualcuno, mai ero stato accusato di essere un eversore.