La sconfitta più bruciante per il governo di Lubiana è stata il fallimento del vertice sul futuro dell’Europa nel quale la presidenza non è riuscita a imporre una visione temporale condivisa sul futuro allargamento dell’Ue verso i Paesi dei Balcani occidentali. Tuttavia, il Paese è riuscito a sfruttare la presidenza a proprio vantaggio almeno nel riposizionamento internazionale.
Si chiude in questi giorni la presidenza di turno dell’Unione europea slovena. Da gennaio toccherà alla Francia di Emmanuel Macron.
Come quasi tutte le presidenze di turno, anche quella slovena è stata dedicata per lo più alla coordinazione amministrativa e formale delle riunioni a Bruxelles e del vertice semestrale dei capi di governo e Stato, che ha avuto luogo a Lubiana nel mese di ottobre.
La Slovenia si era data quattro priorità per il suo semestre: migliorare l’autonomia strategica dell’Unione, aumentare gli spazi dello Stato di diritto, accrescere l’affidabilità dell’Europa rendendola capace di assicurare la sicurezza dei confini e del vicinato e organizzare una conferenza sul futuro del Vecchio Continente.
Il governo di Lubiana, guidato da Janez Jansa, accusato d’essere eccessivamente vicino alle posizioni polacche e ungheresi, in fatto di Sato di diritto non è certamente riuscito a portare una ventata di novità nell’oramai già sgradevole conflitto di facciata tra liberali e sovranisti che imperversa a Bruxelles. Per impedire qualsiasi azione di avvicinamento tra le due sponde i rappresentanti dell’opposizione slovena hanno cercato d’impantanare Jansa minandone la credibilità sull’argomento. Il Parlamento europeo ha dovuto discutere tanto in commissione quanto in seduta plenaria sulla presunta avversione del premier sloveno nei confronti del sistema mediatico nazionale e la Commissione anticorruzione di Lubiana ha aperto una, nuova, inchiesta nei suoi confronti.
La sconfitta più bruciante per il governo sloveno è stata, però, il fallimento del vertice sul futuro dell’Europa nel quale la presidenza non è riuscita a imporre una visione temporale condivisa sul futuro allargamento dell’Ue verso i Paesi del Balcani occidentali. Anzi, per la prima volta questi sono rimasti completamente senza alcun orizzonte di riferimento, nemmeno teorico. Nessun governo ha voluto condividere la responsabilità di una data limite che potesse regalare ai cittadini della regione la speranza di un futuro migliore, nonché la possibilità di liberarsi delle elites politiche corrotte ed incompetenti che li governano. Nel mese di ottobre, a Lubiana, l’Ue ha perso ancora una volta l’occasione di dimostrarsi un’istituzione credibile ed attraente lasciando i Balcani occidentali nel limbo del deterioramento politico ed economico, da cui sempre più giovani cercano di scappare emigrando. Se si tiene conto che la Bosnia ed Erzegovina sta sperimentando livelli di emigrazione vicina al 10% annuo della propria popolazione e che il Kosovo copre un quarto del proprio Pil con le rimesse dall’estero, si comprende come l’abbandono dei Balcani da parte di Bruxelles possa solo aumentare le distanze tra le parti. I governanti balcanici, ufficialmente contrariati, segretamente ringraziano, consci di poter continuare ad approfittare dei propri feudi.
L’impauperimento sociale della regione non potrà che aumentare le faglie di destabilizzazione geopolitica a oriente dell’Adriatico.
Gran parte della responsabilità di tale infausta decisione autunnale è stata della Germania di Angela Merkel, all’epoca desiderosa di non apportare eccessivi sconvolgimenti al sul suo cambio di mandato alla Cancelleria e soprattutto di Macron. Il Capo di Stato della Francia, Paese a cui spetta la prossima presidenza di turno, non aveva alcun interesse di destabilizzare con una nuova, eventuale, questione balcanica la sua campagna elettorale per la conferma all’Eliseo. Il fatto che la Francia debba affrontare le elezioni presidenziali ad aprile rende la sua guida dell’Unione monca fin da principio. Ci si può attendere un’eventuale guizzo solo verso la fine del semestre, qualora Macron venga confermato.
Tuttavia, il governo di Lubiana è riuscito a sfruttare la presidenza a proprio vantaggio almeno nel riposizionamento internazionale del piccolo Paese centroeuropeo. In questi mesi, spesso anche contrastando le visioni di Berlino – da cui dipende economicamente – Lubiana ha cercato di riavvicinarsi a Washington.
Segno tangibile di tale desiderio è stata la richiesta di veder investire Google nell’economia del Paese.
Il gigante americano ha colto la palla al balzo e promesso di guidare la ristrutturazione digitale della Slovenia investendo 2,5 milioni di euro. Una mossa dichiaratamente anti cinese, in uno Stato per il quale Huawei mostrava eccessivo interesse, di cui l’Ambasciata statunitense ringrazia.