iStock
Dopo anni di abbandono tornano le lezioni di educazione civica a scuola. 33 ore annuali per educare e istruire i futuri cittadini, a cui il disposto del decreto vuole dare un maggior senso di appartenenza alla comunità nazionale.
Dopo anni di abbandono tornano le lezioni di educazione civica a scuola. 33 ore annuali per educare e istruire i futuri cittadini, a cui il disposto del decreto vuole dare un maggior senso di appartenenza alla comunità nazionale.
Firmato accordo per l'attivazione di un istituto armeno-italiano tra Università per Stranieri di Perugia, l'Università della Tuscia e l'Eurasia International University di Yerevan.
È stato sottoscritto oggi a Yerevan (Armenia) l'accordo di collaborazione tra l'Eurasia International University , l'Università della Tuscia e l'Università per Stranieri di Perugia finalizzato all'attivazione di un istituto armeno-italiano. La cerimonia si è svolta presso la sede della Eurasia University alla presenza dei rettori dei tre atenei, delle delegazioni delle due Università italiane, dei media e dei rappresentanti del ministero armeno per l'istruzione superiore e degli affari esteri. Nel corso dell'incontro sono intervenuti anche i referenti dell'Ambasciata italiana a Yerevan. L' iniziativa, partita nei mesi scorsi, porterà alla realizzazione di un centro culturale per la promozione e l'insegnamento della lingua e della cultura italiana in Armenia e rappresenterà anche uno strumento di diffusione della lingua e cultura armena in Italia. L'evento si inserisce per entrambe le università italiane in un programma di visite e incontri bilaterali con le istituzioni partner in Armenia, per consolidare i rapporti già esistenti e per implementare ulteriori attività sfruttando la complementarietà delle competenze dei due atenei italiani.
A chiusura del panel dedicato a Lavoro, formazione e innovazione, che ha visto l’intervento del ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara intervistato dal vicedirettore della VeritàFrancesco Borgonovo, è Martino Cervo. Sul palco insieme al vicedirettore della Verità,il direttore di Skuola.net Daniele Grassucci, il Ceo di Openjobmetis Rosario Rasizza, il Ceo di Multiversity Fabio Vaccarono e il prorettore del Politecnico Giuliano Noci.
Creare opportunità di lavoro e non fare elemosina. È questo l’incipit della tavola rotonda moderata da Martino Cervo. Il vicedirettore della Verità ha chiesto al direttore di Skuola.net Daniele Grassucci di approfondire quelle che sono le difficoltà a far incontrare la domanda e l'offerta di lavoro osservando questo tema dal punto di vista privilegiato del mondo della scuola. «Esiste un mismatch particolarmente pesante, perché da 15 anni a questa parte le famiglie e gli studenti privilegiano i licei e di conseguenza gli istituti tecnici e professionali si sono spopolati, quindi si fa fatica a rispondere alle esigenze e alla richiesta di questo tipo di lavori. Ciò accade non solo per motivi vocazionali, ma anche per ragioni legate alla discriminazione di alcuni mestieri che ha fatto sì che si venisse a creare la mancanza di molte figure di mestieri tradizionali. Dobbiamo innanzitutto riformare e rilanciare la formazione tecnica e poi portare l'intelligenza artificiale dentro le scuole, perché non è un avversario da temere ma un compagno di lavoro».
Quando si parla di formazione e lavoro, qualcuno oggi mette in discussione e in dubbio il ruolo dell'università. In merito a questo, il prorettore del Politecnico Giuliano Noci ha le idee chiare: «Partirei da una considerazione di fondo. Il vero tema che dobbiamo considerare è il divario di competenze come fattore discriminante nello sviluppo di un territorio. Rispetto a questo è evidente che l'Italia gioca una partita di rincorsa, siamo quartultimi in Europa per competenze digitali. Abbiamo un gap molto importante che dobbiamo colmare. Il secondo elemento è che manca un disegno che noi vogliamo portare avanti come sistema Paese. Le famiglie non sanno dove iscrivere i propri figli, c’è un tema enorme di orientamento e non parlo solo del laureato ma anche dell’artigiano che è elemento distintivo del Made in Italy che oggi stiamo perdendo. Dobbiamo indirizzare le famiglie e far capire che esistono anche arti e mestieri nobili che faranno il futuro del nostro Paese e far capire dunque che siamo un Paese manifatturiero. In Cina sono ossessionati dal punto di vista dell’educazione, in altri Paesi come la Francia si fanno passi in avanti significativi. Quello che serve, quindi, è semplificare il processo di alternanza scuola lavoro tra scuole e imprese. Inoltre, facciamo in modo che ci sia una maggiore autonomia ai territori. In Italia ci sono 76 università e non è vero che sono tutte uguali, ognuna deve avere una propria specializzazione anche in base al territorio».
A prendere la parola è poi Rosario Rasizza, Ceo di Openjobmetis, la più grande azienda italiana di somministrazione di lavoro. I temi di discussione sono la formazione, i legami tra scuola e lavoro, i salari e il passaggio dall'uscita del reddito di cittadinanza che ha contribuito a creare un mismatch tra domanda e offerta di lavoro. «Oggi siamo in una condizione paradossale, abbiamo più offerta di lavoro di quella che riusciamo a coprire» - afferma Rasizza - «Mancano le figure, mancano le persone. I nostri giovani hanno un rapporto con il lavoro un po’ particolare e la colpa è di noi genitori che non insegniamo loro la fatica di cercarsi un posto di lavoro. A scuola bisognerebbe insegnare come fare un colloquio, come stare davanti a un imprenditore. Siamo in una fase particolare, ma il lavoro deve essere veloce, serve meno burocrazia, solo così possiamo fare qualcosa di buono».
Infine, con Fabio Vaccarono, Ceo di Multiversity, uno più grandi player in ambito di formazione di università telematiche, si parla della contrapposizione tra le università digitali e quelle tradizionali: «Il ritardo italiano sulle competenze è molto grave rispetto agli altri Paesi europei» - dice Vaccarono - «Dobbiamo unire le forze delle eccellenze universitarie tradizionali e digitali per aiutare il nostro Paese a uscire da questa condizione e tenere il passo degli altri Paesi, oppure avremo un’ecatombe sociale. La contrapposizione è solo formale, perché tre quarti dei nostri studenti sono studenti lavoratori che hanno quindi la possibilità di fare quella che chiamiamo alternanza scuola-lavoro».