Divisa, irrilevante, sempre al traino degli Stati Uniti, l’Europa non ha perso solo l’occasione di ritagliarsi un ruolo diplomatico, ma ha visto andare in fumo anche la leadership della Germania. E si è così condannata a un degrado politico ed economico.
Non so chi vincerà la guerra in Ucraina, ma so con certezza chi l’ha già persa. La vera sconfitta è l’Europa, che ancora una volta ha dimostrato di essere divisa e di non contare nulla. All’appuntamento con la storia i leader dell’Unione si sono infatti presentati in ordine sparso e le missioni a Kiev organizzate dai diversi Paesi ne sono la dimostrazione. Bruxelles non ha una linea unitaria, ma ne rappresenta più di una ventina, vale a dire quanti sono gli Stati membri della Ue. Si può infatti dire che la strategia dell’Ungheria sia identica a quella della Polonia o che Estonia, Lettonia e Lituania perseguano gli stessi obiettivi dell’Olanda? La Francia ha una sua visione del conflitto che non è uguale a quella dell’Italia, mentre la Germania ha interessi che divergono da quelli della Svezia o della Finlandia. Lo si capisce anche dalla difficoltà con cui ogni volta si raggiunge l’intesa sulle misure da affrontare per costringere la Russia a mollare l’osso. Se i target coincidessero, non ci vorrebbero ore di discussione e, soprattutto, non si farebbe così fatica a individuare con quali provvedimenti sia possibile costringere Vladimir Putin a fermarsi. Al contrario di quanto ci si aspettava, fino a oggi le sanzioni non hanno funzionato perché, proprio a causa delle resistenze di alcuni Paesi e per le oggettive difficoltà di certi Stati, non hanno colpito al cuore la macchina militare russa. Tuttavia, oltre a muoversi a rilento e senza unità d’intenti, l’Europa nella prima guerra che sconvolge il vecchio continente dopo quasi ottant’anni di pace, procede al traino altrui, senza cioè avere una sua autonoma strategia. È vero che quasi tutti i Paesi che fanno parte dell’Unione sono membri della Nato e che tocca all’Alleanza atlantica occuparsi di difesa, ma questo non è un buon motivo per demandare tutte le decisioni agli Stati Uniti. L’America è una grande potenza e ad essa dobbiamo un intervento che ci ha consentito 77 anni fa di liberarci dal nazifascismo.
Questo però non giustifica il fatto che Paesi economicamente e politicamente avanzati si facciano dettare la linea e subiscano la decisione di armare fino ai denti gli ucraini. Il prezzo di queste scelte, infatti, non lo pagano solo gli Usa, che pure stanno stanziando centinaia di milioni di dollari per inviare mezzi che consentano a Kiev di resistere. Il conto è anche a carico della Ue e non si tratta di pochi spiccioli. Non mi riferisco naturalmente solo alla decisione di aumentare la percentuale delle spese militari in rapporto al Pil, che pure non è poca cosa. Penso soprattutto agli effetti, economici e politici, delle misure che in qualche modo ci sono state imposte da Washington. Oggi nessuno è in grado di valutare quali saranno gli effetti dell’embargo decretato dagli Usa e assecondato dalla Ue. Pare certo che la Russia pagherà un prezzo altissimo, ma altrettanto capiterà all’Europa. Ribadisco: non so se a Putin riuscirà il sogno di conquistare il Donbass e le città che si affacciano sul mare di Azov, né mi è chiaro se Mariupol sia definitivamente persa per gli ucraini o possa essere riconquistata. Però Bruxelles è sconfitta in quanto non è riuscita ad avere alcun ruolo dal punto di vista diplomatico e un eventuale cessate il fuoco non sarà di certo merito suo.
Non serve che Charles Michel, politico di terza fila, visiti Kiev dopo quasi due mesi di bombe. E neppure ha senso che Ursula von der Leyen accorra a Bucha. Il ruolo che la Ue doveva interpretare a questo punto è delegato a personaggi del calibro di Recep Tayyip Erdogan o di Xi Jinping. La pace, se mai si raggiungerà, sarà merito del loro intervento, non certo del nostro. Due mesi di guerra hanno anche dimostrato che di fronte a una potenza come la Russia, per quanto disorganizzata e priva di mezzi, la supremazia militare dell’Europa è un’illusione. Abbiamo le armi, abbiamo sistemi di difesa e anche di offesa e noi e l’America ne abbiamo elargiti in abbondanza all’esercito e ai volontari ucraini, ma finora siamo solo riusciti ad aumentare la mattanza, non a fermare Putin.
C’è poi un altro elemento che mi induce a ritenere che la Ue uscirà da questo conflitto con le ossa rotte. Non ci sono solo le questioni economiche, che pure sconteremo e stiamo già scontando. Non ci sono solo le divisioni e l’assenza di una linea politica condivisa. C’è che da questa guerra esce a pezzi la leadership della Germania. Per anni Berlino ha dettato la linea. Sia che si trattasse di imporre sanzioni alla Grecia, sia che si decidesse di far digerire scelte economiche rigoriste a tutta la Ue. I tedeschi erano alla guida della locomotiva, gli altri europei viaggiavano su vagoni agganciati al locomotore. Oggi, con la guerra, la Germania non solo ha rallentato la corsa, ma è deragliata la sua capacità di guidare il continente. Vi sareste mai aspettati il rifiuto di Volodymyr Zelensky di ricevere la visita del presidente tedesco? Avreste mai immaginato che Berlino negasse l’invio di armi pesanti all’Ucraina e per questo fosse attaccata da Estonia e Paesi confinanti? Chi poteva credere che il cancelliere tedesco avrebbe respinto la richiesta di staccarsi dal gas russo, dimostrando così la fragilità del sistema imprenditoriale ed economico di Berlino?
No, oltre a dimostrarsi divisa e gregaria, l’Europa con questa guerra si è scoperta priva di leadership proprio nel momento in cui ne avrebbe bisogno. Per fermare il conflitto, ma soprattutto per evitare il degrado economico e politico a cui siamo destinati se, fatti tacere i cannoni, l’equilibrio del mondo si sposterà verso l’Asia.