Nella conferenza stampa dell'altra sera, ha destato sconcerto la risposta - vaga e allusiva - lasciata cadere da Mario Draghi a proposito della durata dello stato di emergenza, ormai prossimo a scadere (31 dicembre). Dapprima, il premier si è concesso una battuta («Non mi azzardo a dir niente, se no Cassese mi sgrida); poi si è tenuto le mani libere («valuteremo la situazione a mano a mano»), e infine, con un sostanzialismo che ha insospettito i cultori delle forme, è sembrato più attento ai poteri da tenersi che non al modo giuridicamente più appropriato di confermarseli o riattribuirseli («A noi cosa interessa? Prolungare l'emergenza o avere a disposizione tutta la struttura di mobilitazione sanitaria? Credo che la risposta sia la seconda. La strada di buon senso è quella di mantenere questa struttura senza prolungare un altro stato di emergenza»). Tutto nasce da una oggettiva discrasia temporale. L'attuale stato di emergenza scade a fine anno, mentre il green pass (specie nella versione cosiddetta «super») durerà indubbiamente di più. E allora viene naturale chiedersi quale rapporto ci sia tra la certificazione e lo stato d'emergenza. Può la prima vivere senza la seconda? E se sì, sotto quale ombrello legale?
Giova ricordare che l'attuale stato di emergenza è stato ricondotto giuridicamente al cosiddetto Codice della Protezione civile. Insomma, si è agito con l'epidemia come se si fosse trattato di un terremoto o di un'alluvione. La latitudine di questo stato d'emergenza è larghissima: se vogliamo, è un enorme «attaccapanni» al quale si possono appendere provvedimenti e attrezzi di ogni tipo. E allora che fare adesso? In modo a dir poco audace e discutibile, il ministro Renato Brunetta aveva suggerito, nei giorni scorsi, di attribuire «tutti i poteri straordinari ad una struttura di missione di Palazzo Chigi». Più prudentemente, in una trasmissione televisiva, Sabino Cassese aveva evocato le norme del Testo unico delle leggi sanitarie del 1934, in combinato disposto con la legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale (la 833/1978): usando le norme previste in caso di contrasto alle pandemie, secondo Cassese, sarebbe possibile adottare interventi sanitari anche non ordinari, e tuttavia molto più circoscritti, senza la vastità dello stato d'emergenza e l'anomalia di un'emergenza che non finisce mai.
Non sappiamo ancora che strada prenderà il governo. L'impressione è che l'esecutivo (le parole di Draghi vanno in quella direzione) si terrà consistenti poteri emergenziali anche senza un formale stato d'emergenza. In questo contesto, il governo potrebbe agire disegnando un nuovo quadro normativo, come se la questione dello stato d'emergenza neppure si ponesse più.
Del resto, già nel precedente decreto green pass si era assistito allo sproposito di un'urgenza molto differita nel tempo (un decreto legge dovrebbe scattare sulla base di un'urgenza presente, non di un'urgenza futura), mentre le norme annunciate l'altro ieri, compiendo un passo giuridicamente ancora più avventuroso, stabiliscono regole rispetto a un'urgenza assente e ipotetica (in zona bianca non c'è emergenza per definizione: eppure, dal 6 dicembre, a cittadini sani e con tampone negativo sarà precluso l'accesso ad alcuni luoghi ed eventi). Una volta presa la rincorsa, dopo l'urgenza differita e l'urgenza ipotetica, c'è da temere che il governo si spinga oltre: poteri d'emergenza (di fatto) senza che sia proclamata l'emergenza (di diritto).
Il green pass appare come il perfetto cavallo di Troia per trasferire l'emergenza anche nel tempo «ordinario». Depone in questo senso il fatto che pure il vecchio green pass (che pareva destinato a «morire» a fine anno) sembri implicitamente confermato oltre quella data e destinato a convivere con il nuovo (quello in versione «super»).
Come giustificare l'ingiustificabile? Elementare, Watson: buttandola in politica, e quindi molto probabilmente usando un organo (la cabina di regia) totalmente informale, tecnicamente fuori dalla Costituzione, ma che potrebbe essere il paravento per dare una copertura politica a ciò che appare giuridicamente insostenibile. Sarebbe un ennesimo sbrego, una toppa peggiore del buco. Qualcuno, al Quirinale o altrove, obietterà qualcosa?