Giuseppe Conte (Ansa)
Conte rievoca il tempo della pandemia: «La mia più grande paura era la ribellione popolare ai nostri provvedimenti». E prova a scaricare sulle Regioni il flop sanitario.
Il «modello Italia». Quante volte ne avete sentito parlare? Quante volte vi è stato ripetuto che i nostri governanti sono stati bravissimi, i primi in Europa, una fonte di ispirazione per tutto il mondo nella gestione dell'emergenza Covid? Il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha addirittura scritto un libro per ribadire quanto lui e i suoi colleghi siano stati determinati poi il volume è stato ritirato dal commercio, ma vabbè). La prima e forse più grande vanteria è stata quella del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, pronunciata davanti alle telecamere di Lilli Gruber il 27 gennaio scorso. Alla giornalista che chiedeva lumi sulla risposta al virus, Giuseppi rispose: «Siamo prontissimi, continuiamo costantemente ad aggiornarci con il ministro Speranza, abbiamo adottato tutti i protocolli di prevenzione possibili e immaginabili».
E in effetti, stando ai comunicati stampa ufficiali dell'esecutivo, sembrava proprio che fosse stato schierato un vero arsenale contro la pandemia. Il 22 gennaio, ad esempio, gli italiani furono informati della costituzione di una «task force» voluta da Speranza e ricca di esperti di primo piano. Il comunicato si trova ancora oggi sul sito del ministero. «Questa mattina al ministero della Salute si è riunita, presso l'Ufficio di Gabinetto, la task-force con compito di coordinare ogni iniziativa relativa al fenomeno coronavirus 2019-nCoV», si legge. «La task-force a cui ha partecipato il ministro della Salute, Roberto Speranza, sarà attiva 24 ore su 24. Essa è composta dalla Direzione generale per la prevenzione, dalle altre direzioni competenti, dai carabinieri dei Nas, dall'Istituto superiore di sanità, dall'Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, dall'Usmaf (Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera), dall'Agenzia italiana del farmaco, dall'Agenas e dal consigliere diplomatico». A leggere queste righe si rimaneva impressionati dallo spiegamento di forze. Nel documento si leggeva pure: «Nella prima riunione è stato verificato che le strutture sanitarie competenti sono adeguatamente allertate a fronteggiare la situazione in strettissimo contatto con l'Organizzazione mondiale della sanità e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie». Purtroppo, nelle settimane e nei mesi successivi abbiamo appreso che le strutture sanitarie non erano poi così pronte e che il nostro sistema sanitario non era esattamente preparato all'impatto, anzi. Evidentemente, dunque, qualcosa è andato storto, e non si tratta certo delle mancate chiusure delle discoteche o delle feste agostane. Che cosa sia successo nei primi giorni di pandemia, però, è molto difficile da appurare, poiché le istituzioni non sono poi così disposte al dialogo.
«Quando in pieno lockdown sono iniziati a emergere i tanti errori del governo, il ministero ha rilasciato dichiarazioni con cui respingeva qualsiasi accusa affermando che già da gennaio operava un arsenale di primo livello per contrastare la pandemia: piani segreti, riunioni operative, circolari inviate a tutte le Regioni, persino una task force attiva 24 ore su 24 istituita al ministero», dice Galeazzo Bignami, deputato di Fratelli d'Italia. «Con l'onorevole Marcello Gemmato abbiamo formulato una serie di accessi agli atti mirati, chiedendo sempre e soltanto i documenti che il governo citava dinanzi all'opinione pubblica».
I due esponenti di Fdi, tra le altre cose, hanno chiesto chiarimenti sulla formidabile task force riunita il 22 gennaio. «I dubbi», continua Bignami, «ci sono venuti quando abbiamo letto sul comunicato che la task force aveva “verificato che le strutture sanitarie competenti sono adeguatamente allertate a fronteggiare la situazione in strettissimo contatto con l'Organizzazione mondiale della sanità e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie"». Dubbi legittimi, visto poi come ha funzionato il sistema sanitario. Come hanno fatto gli esperti di Speranza a verificare che tutte le strutture erano allertate e pronte se l'Italia non aveva nemmeno un piano pandemico aggiornato, e se ancora a marzo i dati delle singole regioni arrivavano in maniera confusa? Sarebbe interessante saperlo. Così, Bignami e il collega hanno chiesto al ministero i verbali delle riunioni della task force. «Prima non ci hanno risposto, poi abbiamo reinoltrato la richiesta segnalando che se entro 5 giorni non ci mandavano tutto andavamo in Procura», racconta il deputato di Fdi. «A quel punto si sono svegliati e il direttore delle Malattie trasmissibili e profilassi internazionali, Francesco Maraglino, ci ha detto che non aveva nulla. Vi dice qualcosa questo nome? Forse sì, è il funzionario, secondo quanto riferito in alcune note di stampa mai smentite, che non partecipò alla riunione convocata il 15 gennaio dal Centro europeo di prevenzione e controllo per le malattie infettive con lo scopo di redigere un piano comune di misure preventive per contenere la diffusione del coronavirus nel continente europeo. Volete sapere perché non partecipò? Perché, sempre secondo queste fonti, non aprì la mail. E sapete dove è oggi? Non solo è ancora ai vertici del ministero, ma è stato anche cooptato nel Cts».
La mail dei due deputati, però, Maraglino l'ha aperta e ha passato la richiesta di informazioni al capo di gabinetto di Speranza. Dopo due settimane, finalmente è arrivata la risposta sui famosi verbali della task force. Solo che questa risposta è per lo meno sorprendente. I verbali non possono essere resi pubblici. Per quale motivo? Il capo di gabinetto del ministro lo spiega: «L'attività della task force», scrive, «si è caratterizzata nel consistere in un tavolo di consultazione informale del ministro della Salute, tanto è vero che nemmeno sussiste un decreto ministeriale istitutivo o altro atto regolamentare [...] che ne disciplini formalmente l'attività, i tempi e modalità di procedimento».
La task force, secondo il ministero, avrebbe semplicemente fornito una «attività di supporto istruttorio informale». Nessuna «attività procedimentalizzata», insomma. Scritto così. Nero su bianco. La fenomenale squadra di Speranza, presentata fra squilli di tromba e sfruttata da Conte per vantarsi in televisione, si limitava a una consultazione «informale». Come se gli esperti si trovassero in amicizia a fare merenda invece di dover gestire la più invasiva epidemia della storia recente. Il «compito di coordinare ogni iniziativa relativa al fenomeno del coronavirus 2019-nCoV» è stato affidato a un tavolo «informale».
E visto che le conversazioni erano informali, non possiamo sapere che cosa si siano detti gli esperti. Avranno parlato del piano pandemico che mancava? Su che dati avranno ragionato (numeri dei posti in terapia intensiva, personale disponibile...)? Chissà. Speriamo almeno che nelle piacevoli «riunioni informali» sia stato servito un buon tè con i biscotti: visto che la salute, in Italia, non viene prima di tutto, almeno si salvi la cortesia.