I trasferimenti di migranti in Albania previsti dal protocollo Italia-Albania si scontrano con le decisioni delle toghe rosse anche in Appello. La sezione protezione internazionale di Roma, quasi con provvedimenti al ciclostile, ha sospeso il giudizio di convalida dei trattenimenti dei 43 migranti trasferiti venerdì scorso, in Albania. Non si tratta di un rigetto, ma sospendendo i giudizi di convalida in attesa della decisione della Corte di giustizia europea (alla quale sono stati rimessi gli atti) scadono i termini (le 48 ore previste) e i migranti trattenuti tornano liberi. E in Italia: sono attesi stasera a Bari.
«L’opinione di questo consigliere», è scritto in uno dei provvedimenti che ha potuto consultare La Verità, «è che il diritto unitario non consenta di designare sicuro un Paese con esclusione di categorie, e a maggior ragione di dichiararlo sicuro per intero quando risulti che per alcune categorie di persone non lo sia, per considerazioni che corrispondono sostanzialmente a quelle già espresse nella motivazione della sentenza del 4 ottobre 2024 dalla Grande sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea con riferimento alla esclusione per parti del territorio, sentenza pregiudiziale avente efficacia erga omnes (per tutti, ndr)». È il nucleo centrale della questione affrontata dalla giudice Maria Rosaria Ciuffi (ma anche gli altri provvedimenti presentano passaggi simili), una delle toghe che in tribunale si era occupata delle procedure accelerate di frontiera non convalidandole e che, dopo la riforma del governo, con una «trovata» burocratica giustificata dalla carenza di personale, è stata applicata con altri cinque giudici alla Corte d’Appello. E nonostante la Corte di Cassazione chiedesse di valutare caso per caso le posizioni dei migranti, sul punto i giudici si sono limitati a certificare che potevano essere sottoposti alla procedura accelerata di frontiera. Perfino le presunte violenze in Libia vengono liquidate con poche righe: «Il racconto ha suscitato dubbi in ordine alla possibile vulnerabilità e tale aspetto merita ulteriore opportuno approfondimento istruttorio, che potrà avvenire nell’ambito del procedimento di protezione internazionale, non ritenendosi sufficienti gli elementi emersi nell’odierna udienza». Le decisioni della Corte d’Appello, insomma, sono in linea con le sentenze del tribunale di Roma che avevano già annullato i trattenimenti in due occasioni, a ottobre e a novembre 2024, disapplicando la procedura prevista dal governo, ritenendo che i Paesi di origine non potessero essere considerati «sicuri». Nel frattempo il governo ha aggiornato la lista dei Paesi sicuri, ma la modifica non ha cambiato l’esito del giudizio. I magistrati d’Appello hanno sospeso la convalida e rimesso la questione alla Corte di giustizia europea. Uno snodo fondamentale, a questo punto, sarà l’approvazione del nuovo regolamento Ue sull’elenco dei Paesi di origine sicuri, che ammetterebbe le eccezioni territoriali (ora un Paese deve essere sicuro in ogni sua parte e senza eccezioni). Ursula von der Leyen aveva annunciato chela Commissione avrebbe rivisto «entro il prossimo anno il concetto di Paesi terzi sicuri designati». La revisione sostanziale è prevista dal nuovo Patto per la migrazione e l’asilo, adottato la scorsa primavera (ma sarà applicato a partire dal 2026), che ammetterebbe la possibilità di designare un Paese sicuro anche soltanto parzialmente.
La questione è stata affrontata giovedì sera da Silvia Albano, giudice della sezione immigrazione del Tribunale di Roma e presidente di Magistratura democratica (la corrente più progressista), che è stata la prima toga a disapplicare il protocollo Italia-Albania, durante una intervista con Corrado Formigli a Piazzapulita (su La 7), dopo un siparietto durante il quale ha affermato che il tono usato da Giorgia Meloni nel suo intervento ad Atreju (che a proposito del protocollo Italia-Albania ha detto che «funzionerà») le fa «un po’ paura» e che lo ha percepito come «un po’ minaccioso». La Albano ha ribadito le convinzioni alla base delle sue sentenze: «Il diritto Ue prevale su quello nazionale». Poi ha ricordato che «la Corte di giustizia ha già stabilito che i giudici nazionali devono verificare la legittimità delle designazioni governative sui Paesi sicuri». E che «la Corte di Cassazione, chiamata a esprimersi sui ricorsi presentati dal ministero dell’Interno contro le prime decisioni, ha confermato l’attesa per il pronunciamento della Corte di giustizia europea». Non sono mancati rimbrotti contro il governo e contro la riforma della Giustizia. Nel frattempo, proprio nel giorno dell’udienza, una delegazione del Pd, in visita al centro di Gjadër, ha avviato un’azione di pressing mediatico, sostenendo che «non esiste» nessun «modello» Albania, ma «solo ingiustizia e sprechi». Anche Mediterranea saving humans dell’ex tuta bianca Luca Casarini, con il supporto di 17 Ong, ha sollevato nuove contestazioni contro il protocollo Italia-Albania, criticando l’uso di medici militari per il pre-screening, l’assenza di certificazione individuale e le modalità di accertamento dell’età. Bentornata accoglienza indiscriminata (per ora).