«Che fai, mi cacci?». Questa volta potrebbe legittimamente chiederlo Elisabetta Tulliani a Gianfranco Fini, uscito dal sarcofago per comparire davanti al giudice nel processo che lo vede imputato per riciclaggio a Roma proprio con la compagna, il «cognato» Giancarlo e il «suocero» Sergio. Il tema è quello disempre: la vendita della casa di Montecarlo, lo scandalo che mise fine alla sua carriera politica. Ieri l’ex presidente della Camera ha puntato il dito contro i congiunti: «Sono stato raggirato. Sono stato ingannato da loro. La vendita dell’appartamento di Montecarlo è stata la vicenda più dolorosa per me. Solo nel 2010 ho scoperto che il proprietario era Giancarlo Tulliani e ho interrotto i rapporti con lui».
Recuperato a vita mediatica qualche mese fa da trasmissioni televisiva in chiave «antimeloniana», l’allora leader di Alleanza Nazionale è finito di nuovo sotto i riflettori per il processo che lo accompagna da anni. E ha deciso di difendersi negando ogni coinvolgimento, secondo la rassicurante formula a sua insaputa. «Anche il comportamento di Elisabetta mi ha ferito», ha spiegato Fini al giudice. «Loro insistevano perché mettessi in vendita l’immobile. Giancarlo mi disse che c’era una società interessata ad acquistarlo ma non sapevo che ne facevano parte lui e la sorella: la sua slealtà e la volontà di raggirare credo si sia dimostrata in tutta una serie di occasioni».
Durante l’interrogatorio l’ex ministro degli Esteri non ha avuto alcun problema a passare per sprovveduto. «Ho scoperto solo dagli atti del processo che Elisabetta era comproprietaria dell’appartamento e poi appresi anche che il fratello le bonificò una parte di quanto ricavato dalla vendita. Tutti fatti che prima non conoscevo». Per poi concludere la deposizione con un’accusa precisa: «Sono stato coinvolto in questo processo in seguito a decine di dichiarazioni palesemente false fatte da Amedeo Laboccetta (ex parlamentare di Forza Italia, anch’egli imputato, ndr) per un astio politico nei miei confronti che era ben noto. Il 2010 era l’anno del mio scontro con Silvio Berlusconi, il clima era diventato incandescente e agli occhi di molti ero un bersaglio da colpire».
Il cuore della vicenda è contenuto nei 45 metri quadri della casa di Montecarlo, lasciata in eredità dalla contessa Maria Colleoni ad Alleanza Nazionale nel 1999 e venduta dal partito nel 2008 a una società offshore dell’isola Santa Lucia, per la cifra di 300.000 euro, quindi affittata all’imprenditore immobiliare Giancarlo Tulliani, fratello minore dell’avvocatessa compagna di Fini.
Dopo una denuncia di Francesco Storace, la Procura di Roma aprì un fascicolo contro ignoti. Un’inchiesta giornalistica di Gianmarco Chiocci illuminò le penombre dell’affare e Fini dichiarò in un comunicato: «Se dovesse emergere che l’appartamento di Montecarlo appartiene a Giancarlo Tulliani mi dimetterei da presidente della Camera». Per lui fu l’inizio della fine.
Una successiva indagine evidenziò che quell’abitazione sarebbe stata acquistata proprio dai Tulliani con un finanziamento del «re delle slot» Francesco Corallo, accusato di associazione a delinquere finalizzata al peculato, riciclaggio ed evasione fiscale. L’operazione immobiliare fruttò una plusvalenza di un milione e 360.000 dollari. Da qui l’accusa di riciclaggio per tutti, formalizzata nel 2018 con il rinvio a giudizio dei protagonisti da parte del procuratore aggiunto Michele Prestipino e della pm Barbara Sargenti, che ieri ha guidato l’interrogatorio.
Preso direttamente di mira dalla deposizione di Fini, Laboccetta (oggi presidente dell’associazione culturale Polo Sud) non ha tardato a replicare alle accuse. «Gianfranco Fini continua a mentire pesantemente. Per quanto riguarda la vicenda specifica io non ero mosso da astio. La mia è stata un’iniziativa politica che ho descritto nei minimi particolari nel libro La vita è un incontro del 2015 nel quale accuso esplicitamente Fini e Giorgio Napolitano di avere orchestrato un vero e proprio colpo di Stato nei confronti del governo di Silvio Berlusconi. Non ho mai ricevuto né querele, né smentite. Che lui ora dica di trovarsi in un processo per colpa mia o per astio, è un’accusa risibile. Vedremo come uscirà dalla vicenda ma nel frattempo non si deve arrampicare sugli specchi. Ho raccontato la verità e sarebbe il caso che Fini la smettesse di mentire e rivelasse tutto su quegli anni terribili».
Chiamato a deporre come teste, l’ex dirigente Rai Guido Paglia ha raccontato un episodio di familismo.
«Conobbi Giancarlo Tulliani quando mi fu mandato dalla segretaria di Fini, voleva vendere film alla Rai. In un’altra occasione Fini mi disse che Tulliani voleva avere un minimo garantito su offerte di cinema e fiction alla Tv pubblica. Su queste insistenze i rapporti fra noi si ruppero». Fini ha replicato: «Se avessi saputo chi era Tulliani non avrei disturbato Paglia».
A 71 anni l’uomo che sdoganò la destra con la svolta di Fiuggi è ancora prigioniero delle sue ombre, aggrovigliato attorno ai suoi fallimenti. Abbandonato dagli elettori e dai fedelissimi, in contrasto con la famiglia accusata di slealtà. Di lui Bettino Craxi diceva con leggiadra ferocia: «È un vuoto incartato. Dentro, non trovi il regalo».