L’ironia è fin troppo facile: dopo giorni di assenza dalla scena politica, con minaccia da parte di Carlo Calenda di sollecitare l’intervento di Chi l’ha visto?, Elly Schlein è riapparsa e ha ritrovato la voce per parlare della Fiat. Peccato che arrivata a Pomigliano d’Arco, sede di uno degli stabilimenti italiani del gruppo, la segretaria del Pd sia stata accolta da 97 lettere di licenziamento. La cronaca delle iniziative adottate dalla segretaria del Pd per arginare la crisi della casa automobilistica si potrebbe dunque anche concludere qui, con il resoconto di un fallimento. Infatti, la sua presenza ai cancelli della fabbrica campana, invece di indurre i vertici di Trasnova, azienda di logistica che lavora per il gruppo Stellantis, a maggior cautela, ha impresso un’accelerazione alle procedure di rescissione dei contratti. La colpa non è di Schlein, ma non è neppure un merito per un’esponente della sinistra che dice di battersi per i lavoratori.
Tuttavia, se la presenza della leader del Pd non è bastata a fermare i licenziamenti, e forse addirittura ha spinto la dirigenza di Transnova ad anticiparli, c’è molto altro da aggiungere sull’ipocrisia di un partito che a parole solidarizza con gli operai, ma nei fatti è alle radici dei loro guai. Mi spiego. Gran parte dei problemi con cui l’industria automobilistica, italiana ma non solo, oggi deve fare i conti è causata da scelte decise dai compagni di Schlein e portate avanti contro ogni logica e senza un minimo di buon senso. Infatti, la transizione energetica, quella che costringe i produttori di vetture a dire addio al motore termico per virare verso quello a batteria, sta uccidendo un settore e con esso anche tutte le aziende della componentistica. E la perdita di posti di lavoro è l’inevitabile conseguenza. Non serve a nulla precipitarsi davanti ai cancelli di una fabbrica che licenzia per solidarizzare con i lavoratori e dire di aver presentato ben 32 atti parlamentari, se poi invece di rimuovere gli ostacoli che impediscono la prosecuzione dei rapporti di lavoro, se ne mettono di nuovi.
Per sostenere di essere dalla parte di operai e impiegati che rischiano di restare senza stipendio, Schlein ha citato le iniziative del partito depositate in Parlamento. Peccato che chiunque legga le proposte non possa fare a meno di rendersi conto che la maggior parte recepisce le indicazioni dell’Unione europea, ovvero di quelle misure volute dalla sinistra e dai Verdi di stanza a Bruxelles che sono alla base della crisi del settore. Abbiamo spiegato nei giorni scorsi perché tutte le più grandi case automobilistiche stanno chiudendo gli impianti e mettendo alla porta i dipendenti. Non è solo perché la crisi spinge le famiglie a rinviare l’acquisto di auto nuove: a indurre i vertici dei gruppi a fermare le catene di montaggio sono soprattutto le clausole capestro della transizione green. La scadenza per lo stop del motore termico non è il 2035, come ufficialmente viene detto, ma dopodomani, perché le limitazioni alla produzione scattano molto prima, ovvero già nel 2025. A cominciare dall’anno prossimo, le case automobilistiche dovranno ridurre la percentuale di autovetture inquinanti immesse sul mercato, allo scopo di raggiungere l’obiettivo di diminuire le emissioni per chilometro percorso. E per rispondere ai diktat di Bruxelles ci sono soltanto due possibilità: o si riescono a vendere più macchine elettriche, innalzando la percentuale di veicoli che non emettono CO2, oppure si devono vendere - e di conseguenza si devono produrre - meno veicoli a benzina o gasolio, pena essere sanzionati con pesanti multe. Siccome di piazzare più auto a batteria al momento non se ne parla, in quanto gli automobilisti non sono disposti a pagare di più una quattro ruote che rende di meno (con riferimento a ricariche e autonomia), ai produttori non resta che fermare le catene di montaggio ed è quello che sta accadendo.
Dunque, invece di cianciare di deroghe sugli aiuti di Stato, di ammortizzatori sociali, di futuri investimenti nell’elettrico e di improbabili tavoli sindacali per parlare di crisi dell’auto, il Pd dovrebbe fare la sola cosa possibile, ovvero convincere i suoi compagni in Europa a mandare al macero il Green deal perché la metà, se non tre quarti, dei problemi delle case automobilistiche europee, arrivano da lì. Sono il Pd e la sinistra ad assassinare lentamente l’industria più importante del vecchio continente. Dunque, non c’è ironia né cinismo nell’inviare le lettere di licenziamento proprio il giorno in cui Elly Schlein arriva a Pomigliano: c’è solo la presa d’atto che le impronte ritrovate sul luogo dell’assassinio sono quelle dei compagni. I quali hanno sostituito il comunismo con l’ambientalismo, perseguendo i propri obiettivi con lo stesso furore ideologico.