Mario Draghi (Ansa)
Assestamento di bilancio e altro deficit: «trovati» 14,3 miliardi in più dovuti all’inflazione e relativa Iva. Il prossimo esecutivo dovrà ricorrere a nuovo debito, cercando di evitare la mannaia dell’Unione europea.
Il commento si riferiva alle decisioni adottate dal governo Draghi per far fronte all'epidemia di Covid, ovvero al green pass per lavorare, descrivendole come le più severe al mondo, o per lo meno di quel mondo in cui siano riconosciuti i diritti umani e dove sia il popolo a essere sovrano e non un autocrate. «L'Italia è un laboratorio che sta provando a capire che livello di controllo della società i cittadini siano disposti ad accettare», sottinteso in cambio di una promessa di tutela della propria salute. La mia risposta di ieri era piuttosto semplice: se siamo agli occhi del mondo civile un esperimento, beh, io non voglio essere il topolino da usare come cavia nella gabbietta. Poteva sembrare una battuta, a conclusione di un articolo incentrato sugli scarsi risultati ottenuti con l'obbligo di possedere una tessera per poter lavorare (segnalo che anche ieri le prime dosi sono state meno della metà delle terze, segno che il giro di vite non sta avendo successo e il raggiungimento dell'obiettivo si sta allontanando nel tempo). In realtà ieri mattina, leggendo un editoriale di Paolo Mieli sul Corriere della Sera, mi sono reso conto che la mia forse non era una battuta, ma la reazione a un clima che sta avvelenando la democrazia di questo Paese. L'ex direttore di via Solferino, nel suo fondo in prima pagina, non parlava di passaporto vaccinale bensì di equilibri politici, in vista del voto prossimo venturo, quello in cui si dovranno decidere il nuovo Parlamento e il nuovo governo. L'incipit dell'articolo era di per sé illuminante: «E se decidessimo di non votare mai più?». In principio, quella di Mieli poteva sembrare una provocazione, un pugno nello stomaco per risvegliare l'interesse del lettore. Tuttavia, passando al periodo successivo si capiva che non lo era affatto: «C'è un'Italia che in modo ogni giorno più esplicito auspica un futuro post elezioni politiche con assetti più o meno simili a quello attuale». E quale sarebbe questo assetto? «Mario Draghi dovrebbe restare a Palazzo Chigi per il resto dei suoi giorni (cioè per la vita? ndr), meglio se sostenuto da una maggioranza più profilata». Che cosa intendesse l'ex direttore del Corriere lo si comprendeva un passo dopo, con il riferimento alla formula Ursula, ossia a quell'alleanza trasversale tra sinistra, grillini e Forza Italia che a Bruxelles ha portato alla presidenza della commissione Ue la signora Von der Leyen. In pratica, si tratterebbe di tagliar fuori Lega e Fratelli d'Italia, per avere un governo «dotato della stabilità adatta ad affrontare un quinquennio che si annuncia pieno di occasioni ancorché assai complicato».
Secondo questo schema, spiega ancora Mieli, gli italiani voterebbero sì, tra un anno o due, per le politiche, ma l'effetto sarebbe «per così dire, fortemente mitigato». Tradotto in parole povere, i partiti di ciò che decideranno gli elettori nell'urna se ne dovrebbero fare un baffo e di fatto le consultazioni si risolverebbero solo nel ridefinire le quote ministeriali dei partiti di maggioranza, cioè qualche poltrona in più al Pd, qualcuna in meno ai 5 stelle se, com'è probabile, dimezzeranno i voti, qualche incarico di prestigio in più a Forza Italia se accetterà, come possibile, di essere della partita.
Certo, il ragionamento deve fare i conti con tre piccoli ostacoli che lo stesso Mieli riconosce. Il primo è costituito dal fatto che il fronte della sinistra anti-sovranista (Lega e Fdi secondo l'ex direttore sono comunque da considerarsi fuori gioco) è dominato dal Partito democratico e questi dispone di leader - come Enrico Letta e «un personale governativo del tutto rispettabile» - che potrebbero ambire a spodestare Draghi. Il secondo è il sistema elettorale, che non favorisce l'operazione, e dunque dovrebbe essere modificato per consentire l'esito elettorale desiderato. «C'è infine un ultimo, trascurabile, problema». E cioè che i governi li decidono il capo dello Stato e il Parlamento, ma «l'idea di non voler più coinvolgere, neanche marginalmente, il corpo elettorale nella scelta di chi ci dovrà guidare […], potrebbe rivelarsi poco adatta a combattere l'astensionismo».
Insomma, cari Letta, cari Conte, cari D'Alema e cari Mattarella, state attenti a non chiedere agli italiani da chi desiderano farsi governare, aggirandone con qualche escamotage le intenzioni, perché potreste incontrare problemi, come ne incontraste nel 1994 quando, avendo fatto i conti senza l'oste e pensando di aver spianato la strada verso Palazzo Chigi, vi ritrovaste davanti Silvio Berlusconi. Il messaggio è chiaro: ci vuole prudenza nel fregare gli elettori, perché il rischio è di essere fregati. Già, perché a volte, nel loro piccolo, anche i topolini destinati al laboratorio s'incazzano e a finire in gabbia sono gli scienziati pazzi, meglio noti come apprendisti stregoni.
Ps. Su una cosa sono d'accordo con Mieli, a forza di fare esperimenti i virus scappano di mano e qualche volta si creano mostri, come l'ondata anti-sistema chiamata 5 Stelle.