Scusate, ma quando Draghi parla di normalità da difendere con le unghie a che Paese si riferisce? No, perché se sta alludendo all’Italia c’è qualcosina che non torna. A voi sembra normale un Paese dove in vista del Natale e del Capodanno si moltiplicano le ordinanze più assurde per vietare tutto ciò che è vietabile a parte respirare, ovviamente solo al riparo di una mascherina? Normale che ovunque si rinunci a feste pubbliche e private e che persino il cenone in famiglia sia condizionato dal tampone preventivo? Normale che per il secondo anno consecutivo piovano disdette che mettono in ginocchio i superstiti abitanti delle nostre montagne? Normale accendere la televisione e sentire parlare solo e ossessivamente di un argomento, peraltro a senso unico? Normale che la suddetta televisione sia popolata e controllata da manganellatori verbali, con o senza baffi, travestiti da giornalisti, all’esclusivo scopo non di confutare tesi, ma di impedire che alle orecchie del telespettatore possa arrivare una versione difforme da quella stabilita dal governo?
Ma quale versione, poi, visto che il Verbo muta di settimana in settimana come nella orwelliana fattoria? Virus innocuo, anzi mortale. Tamponi no, sì, no e ancora sì. Mascherine idem. Restrizioni a capocchia, tanto chissene: gli abitanti dei talk di cui sopra sono politici, medici o giornalisti, che le limitazioni semplicemente non sanno che cosa siano. Vaccino salvezza universale, anzi forse no, ma comunque facciamolo anche ai neonati. Green pass «garanzia di non contagiarsi», salvo che se vieni al mio cospetto, perché allora ti ci vuole anche il test genico, molecolare e pure atomico. E dato che ci siamo, quello serve anche per entrare in Italia, ma non basta per andare al ristorante, mentre al lavoro per ora sì perché non abbiamo ancora trovato il modo di fare a meno delle tue braccia, ancorché precarie e sottopagate.
Andiamo, non c’è davvero nulla di normale in tutto questo. È stata ridotta una Costituzione (ex «più bella del mondo») di 139 articoli, a uno soltanto, il 32. Anzi, a mezzo, perché la seconda parte della norma a tutela della salute («Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana») è nella sostanza ignorata. Altri diritti fondamentali, dal lavoro all’istruzione, sono stati allegramente calpestati tra gli applausi del sistema mediatico. Dei diritti dei più giovani, in particolare, è stata fatta carne di porco. Salvo poi piangere lacrime ipocrite sulla Dad versata e registrare con finto sbalordimento gli allarmi (ahimè tardivi) degli specialisti riguardo ai danni subiti dalla psiche dei nostri figli e nipoti.
Per non parlare di intere categorie professionali - sempre le stesse, le non garantite, le famigerate partite Iva – private dei mezzi di sostentamento e risarcite, quando è stato fatto, con una manciata offensiva di spiccioli. O del fatto che il governo ha appena esteso al 31 marzo uno stato d’emergenza, ormai pluriennale, che non poteva assolutamente essere prorogato oltre il 31 gennaio. Questo senza neppure il bisogno di fornire spiegazioni. E senza, soprattutto, che nessuno gliele chiedesse.
Abbiamo creato la categoria dei malati-sani e poi li abbiamo trasformati in untori. Abbiamo (hanno) lasciato credere che il contagio fosse non solo inevitabile, ma pure letale, tralasciando sistematicamente di parlare di quel 95% di malati che smaltiscono l’infezione in pochi giorni e senza conseguenze. Non contenti, abbiamo diviso la popolazione in cittadini di serie A (vaccinati) e serie B («no vax!»), salvo poi informare i primi che il loro scudo magico li proteggeva fino a un certo punto e comunque solo per pochi mesi. Sono state divise amicizie e famiglie. Sono stati seminati odio e diffidenza, la gente è stata invitata alla delazione.
Soprattutto, sull’intera Penisola è stato steso un velo di terrore, di insicurezza, di ansia da allarme continuo di cui pagheremo le conseguenze per chissà quanto tempo. È questa la normalità che ora dovremmo difendere con le unghie, come da proclama draghesco? Davvero?
E pensare che un altro modo, meno isterico, un po’ più rispettoso delle nostre vite «normali», ci sarebbe. Qualche nazione l’ha adottato da subito, qualche altra ci è arrivata un po’ più tardi. E i loro ospedali non sono più in difficoltà dei nostri e lungo le loro strade non si raccolgono cadaveri. Però è vietato dirlo. Pronunciare nomi come Svezia, Svizzera, Spagna, Gran Bretagna… nel 1984, pardon 2021, è bestemmia: il manganellatore (con o senza baffi) ti sta già saltando addosso.