L'ad di Generali Philippe Donnet (Imagoeconomica)
Gli eventi naturali hanno impattato per 1,127 miliardi, ma i profitti sono aumentati del 14% e garantiscono quasi due miliardi agli azionisti. L’ad Philippe Donnet non si sbilancia sulla ricandidatura e auspica modifiche al ddl Capitali sulle norme per nominare il cda.
Donnet rimarrà ad di Generali, ma sarà difficile comandare
Philippe Donnet resterà alla guida delle Assicurazioni Generali anche dopo l'assemblea di oggi attesa da mesi come il giorno del giudizio. Ma è proprio quello che oggi non ci sarà.
Secondo le previsioni ragionate della vigilia a presentarsi in assemblea è previsto fra il 70 e il 71% degli azionisti, ed è un a quota altissima che dimostra come i due schieramenti che si fronteggiano hanno suscitato grande interesse sia pure su versanti opposti. Gli sfidanti- la coppia Francesco Gaetano Caltagirone e Leonardo del Vecchio- hanno raccolto per strada adesioni importanti che ne hanno fatto crescere le possibilità di successo. Ma non andranno molto oltre il 30% dei voti.
Quindi ne avrà di più lo schieramento messo insieme da Alberto Nagel, l'amministratore delegato di Mediobanca che sosteneva Donnet. Quindi Nagel uscirà vincitore dalla battaglia, e si è dimostrato un combattente e uno stratega militare capace di arruolare tutto quello che poteva e di schierare sul campo di battaglia ogni forza disponibile, perfino battaglioni un po' inventati per l'occasione. L'importanza di quella vittoria si capirà dalla distanza fra i due schieramenti: se sarà superiore ai numeri di quei battaglioni che già si sa che non resteranno nell'azionariato stabile, avrà una sua solidità. Se invece la distanza sarà inferiore, la battaglia sarà vinta ma la guerra non finirà.
Quando le società- anche quelle più importanti- risultano contendibili è un bene anche per quella parte di mercato che di solito viene ignorata: le truppe silenti dei piccoli azionisti, risparmiatori e cassettisti. Hanno solo da guadagnare dalla contesa che ha sì consentito qualche buon affare nei momenti in cui l'esito era più incerto, ma che non ha sconvolto né messo a rischio il loro investimento quando poi inevitabilmente il titolo ha spento le fiammate.
Le Generali erano e restano un titolo sicuro per i piccoli investitori, chiunque ne prenda il comando. Hanno buoni dividendi e non fanno rischiare l'infarto ai normali risparmiatori viaggiando sulle montagne russe. Un po' di contendibilità- condizione che non finisce affatto con questa assemblea- fa contenti tutti soprattutto quando il cuore della battaglia non ha solo una questione di potere che in fondo interessa solo chi si scontra, ma le idee per rendere più performante la compagnia facendola crescere in quote di mercato e dividendi.
Che accadrà ora? Quel che sapevamo già alla vigilia: la contendibilità non verrà meno per qualche punto di differenza fra i due schieramenti. Quindi o si troverà una soluzione per la convivenza pacifica (e tocca a chi vince fare la prima mossa), o vedremo presto il secondo tempo di questa battaglia che da un lato unisce tutti gli azionisti italiani importanti salvo Mediobanca e sull'altro fronte mette insieme a Nagel investitori internazionali, fondi e anche chi - come De Agostini - si è schierato oggi ma domani non sarà più in campo avendo già annunciato la vendita del suo pacchetto.
E pure le truppe mercenarie di chi ha affittato i titoli per la battaglia ma poi- fatto l'affare- ne tornerà in possesso disinteressandosene. Intendiamoci, non ci fossero state queste truppe di complemento forse Nagel sarebbe lo stesso prevalso di misura (lo capiremo oggi), forse di una incollatura sarebbe prevalso lo schieramento Caltagirone. Ma nella sostanza sarebbe stato pareggio, perché nessuno è in grado con azionisti così variegati, di amministrare una compagnia avendo contro il 30% almeno del capitale, minoranza ben più alta di quella che viene chiamata di blocco.
Potrebbe esserci una coda in tribunale, ci sono già cause incrociate, domande rivolte a Consob in attesa di risposte chiare e altro potrebbe essere aggiunto. Ma la storia di queste battaglie insegna che possono terminare in due soli modi: con un armistizio, il disarmo e una convivenza ragionevole dove ognuno rinuncia a parte dei suoi cavalli di battaglia accettando quelli dell'altro. O con la resa di uno schieramento all'altro, che sarebbe molto costosa e forse non nell'interesse economico e nelle disponibilità finanziarie di entrambi i contendenti.
Anche se non è stata gradita la nostra domanda rivolta nei giorni scorsi, pensiamo che quello che è avvenuto richieda una pronuncia della Consob sulla liceità delle armi che si possono mettere in campo in battaglie così. Alcune soluzioni- come l'affitto titoli- non avevano precedenti in un testa a testa così serrato. E richiederebbero un parere che resti lì come precedente valido per tutti, quale che sia l'orientamento della commissione.
Se ne possono avere di un tipo o di quello esattamente opposto, ma non averne lascia campo a qualsiasi interpretazione e non aiuta certo la trasparenza di cui ha bisogno il mercato e che deve tutelare i piccoli azionisti. Siccome questa storia andrà avanti ancora a lungo (ed è golosa per noi che siamo nati liberi da interessi e senza parteggiare per alcuno dei concorrenti per fare informazione finanziaria), c'è tutto il tempo ancora per battere un colpo e fare sentire che l'autorità che protegge il mercato c'è.
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