La migliore che ho sentito, partecipando alle trasmissioni che hanno preceduto l’elezione di Donald Trump a 47° presidente degli Stati Uniti, è che non serviva un adulto, un politologo o un filosofo per capire che il candidato repubblicano non era uno statista, ma sarebbe bastato un bambino. «Se un bambino lo guarda», ha spiegato su Rete 4 l’editorialista del Fatto Quotidiano, Luca Sommi, «capisce che Trump è un reazionario eversivo, un uomo pericoloso. Un bugiardo seriale». In pratica, uno da cui stare alla larga, augurandosi di non vederlo mai alla Casa Bianca. Forse qualche bambino avrà pensato ciò che dice Sommi, ma 71 milioni di americani invece hanno guardato in faccia Trump e lo hanno votato, preferendolo a Kamala Harris la quale, nonostante fosse sostenuta praticamente da tutti i media americani e pure da quelli europei, oltre che supportata da donazioni per molti miliardi di dollari, ha raccolto 66 milioni di voti, 5 in meno dello sfidante. Tutti babbei quelli che hanno creduto nel tycoon, oppure a non capire sono gli altri, quelli che lo rappresentano come il demonio? Nei talk show che hanno accompagnato le elezioni qualcuno ha cercato di anticipare il risultato e, interpretando il comportamento dei due sfidanti, dalla rilassatezza con cui la vicepresidente uscente aspettava di conoscere l’esito del voto ha dedotto che fosse certa di averla spuntata. Allo stesso tempo, l’atteggiamento cupo di Trump è stato la conferma di un possibile insuccesso. Tuttavia, come si è pensato che un bambino potesse scegliere meglio della maggioranza degli americani, anche le conclusioni a cui si è giunti osservando i volti dei candidati non sono servite a nulla, perché tutti i bravi commentatori che si sono susseguiti nelle notti elettorali hanno scambiato i propri desideri per la realtà. Esattamente come accadde nel 2016, nessuno dei tanti che si sono cimentati nelle analisi pre voto ha voluto guardare in faccia i segnali che arrivavano dagli States. Attenzione: non dai giornali, che sono da sempre contro Trump. E nemmeno dalla tv, in larga parte vicina ai democratici. Bisognava prestare attenzione ai sentimenti delle persone. Non solo quelle di New York, Los Angeles, Boston o San Francisco, ovvero i luoghi dove di solito soggiornano gli inviati delle principali testate e le star di Hollywood. No, occorreva conoscere l’opinione degli elettori della cosiddetta Rust belt, la cintura della ruggine, quei Paesi dove i blue collar faticano ad arrivare alla fine del mese. Ma anche le intenzioni degli agricoltori dell’Ohio o dell’Arizona.
Tutti gli osservatori pensavano che a influire sul risultato sarebbero state le donne, le quali avrebbero votato in massa per Kamala Harris, spaventate dal bullismo e dalla volgarità (sono i giudizi che ho ascoltato nelle trasmissioni tv) di Trump. Anche i referendum sull’aborto avrebbero influito, perché la sentenza della Corte suprema, i cui giudici in gran parte sono stati nominati durante il periodo in cui il candidato repubblicano era alla Casa Bianca, aveva riportato indietro le lancette della storia di50 anni. E invece, le riflessioni di chi immaginava che un’onda rosa avrebbe travolto le aspirazioni di rivincita di Trump, si sono schiantate sugli scogli della realtà. Nonostante il Me too, sebbene i magistrati della Corte suprema avessero cancellato l’aborto dai diritti costituzionali, affidandone le regole ai singoli Stati, le donne non hanno votato come i progressisti auspicavano. E così pure le minoranze, africane, asiatiche o sudamericane, le quali non hanno votato una vicepresidente che per quattro anni, accanto a Joe Biden, non ha mosso un dito per migliorare le loro condizioni di vita e arrestare i criminali.
Con una buona dose di provincialismo, gli inviati di giornali e tv hanno dato sfogo ai loro pregiudizi, pensando che il mondo debba andare come dicono loro e che a convincere gli elettori bastassero Julia Roberts, Beyoncé, Bruce Springsteen o Taylor Swift, che dalle loro ville milionarie hanno rivolto accorati appelli in favore di Kamala Harris. La guerra, l’inflazione e la criminalità non le fermi impugnando una chitarra e nemmeno dimenandoti sul palcoscenico. Joe Biden, e di conseguenza Kamala Harris, dopo quattro anni lasciano un mondo più insicuro, sia per le guerre, che se non hanno alimentato di certo non sono riusciti a fermare, sia per un rincaro dei prezzi che ha ridotto il potere d’acquisto della classe media. E questi, più dei diritti del movimento Lgbt o del presunto razzismo, hanno pesato nell’urna. Lo capiranno mai i nostri dotti colleghi? E, soprattutto, riusciranno a imparare la lezione e trarne le debite conseguenze in Italia?
Ps. Trump ha vinto nonostante contro di lui si siano scatenate le Procure di mezza America e sebbene un tribunale lo abbia condannato per aver pagato una pornostar. In questo caso, sono i giudici degli States a non aver imparato la lezione: per 30 anni la magistratura ha inseguito Silvio Berlusconi, ma questo non gli ha impedito di vincere le elezioni per ben tre volte e di conservare, anche dopo la sua morte, un ruolo importantissimo nella politica italiana.